Vi vorrei proporre un viaggio un po’ speciale: un viaggio nel tempo. Vi prometto però che non sarà molto faticoso, perché non ci sposteremo di tanto, resteremo tutto il tempo a Genova. Anzi, ve la faccio ancora più facile, non ci muoveremo dal centro storico di Genova: Granarolo a ponente e il Righi a levante saranno i nostri estremi della mappa. Geomorfologia urbana di Genova.
È l’inizio del XVII secolo e passeggiamo spensieratamente in Sottoripa. Da cinquecento anni questa via rappresenta il porticato pubblico più antico da Torino a Palermo. Merci da ogni dove vengono scaricate dai camalli e portate nelle botteghe e nei magazzini. Il mare è proprio lì, accanto a noi.
Da Sottoripa infatti si estendono le banchine. Che fermento qua tutti i giorni! Quanti incontri, commerci e traffici sotto questi archi, lungo questa costa. Man mano che ci inoltriamo nel traffico delle bancarelle, ci accorgiamo tuttavia che queste si diradano e si fanno sempre meno numerose.
Il tempo passa in fretta e quelli che sembrano minuti sono in realtà anni. Quasi non ce ne accorgiamo e tutto a un tratto ci ritroviamo nel 1638. Le Mura nuove sono quasi ultimate. Queste sono state erette fra Sottoripa e il mare, separandoli. Non saranno mai più a contatto come prima.
Ma il tempo scorre veloce e divora tutto. Le Mura Nuove non sono più l’ultima novità.
Ora in città non si parla d’altro che della costruzione del Molo nuovo. Getteranno pietre e calce fino a cinque metri di profondità pare, una lingua di terra del tutto artificiale emergerà dall’acqua. Dicono che sarà lunga quasi 400 metri e permetterà di chiudere la baia del porto su se stessa. Che tempi frenetici questi, non solo prima qua a Sottoripa era tutto litorale, ma fra non molto, guardando a ovest, non ci resterà altro da vedere che strade e impalcature.
Proseguiamo il nostro giro e ci spostiamo più a ponente possibile, proprio dove costruiranno il Molo nuovo.
Qui imperiosa si erge la nostra Lanterna, su cui saliamo in cima, scalino dopo scalino. Da quassù possiamo lasciare che il nostro sguardo si perda nell’intensità del blu marino. Solo qualche nave qua e là fa da riferimento su una superficie che, altrimenti, ci parrebbe sconfinata.
Ci giriamo su noi stessi e a destra ammiriamo Genova e il suo porto, mentre a sinistra possiamo scrutare le maestose ville di San Pier d’Arena adagiate proprio sulla spiaggia. In mezzo poi, a dividere i due comuni, il verde si arrampica sul promontorio di San Benigno e sulla collina degli Angeli. Oltre a questa, in lontananza, riposa placidamente il lagaccio, chiuso dalla diga voluta circa cent’anni fa dal grande Andrea Doria. Pare che ora anche quel bacino farà parte di Genova, poiché inglobato dalle Mura Nuove.
Torniamo sui nostri passi, verso levante quindi, ma passando un po’ più nell’interno questa volta.
Il rivo Carbonara è la nostra meta. Man mano che procediamo gli anni passano velocemente, ma il Carbonara per ora non si vede. Ci imbattiamo invece in una stazione ferroviaria dedicata al principe di Melfi, Andrea Doria, che nel frattempo non è stato dimenticato. Quindi, con ancora in noi il dubbio sull’epoca che stiamo attraversando, percorriamo la Via Nuovissima, che un tempo delimitava il confine nord della città.
Non appena arriviamo in fondo, ci accorgiamo che la vicina Strada Nuova non è più l’unica via possibile per proseguire verso est. Delle modernissime vetture che pare si chiamino tram, ridicoli scompartimenti tutti ricoperti di fili, passano ora attraverso un tunnel che buca la montagna e conduce direttamente in quella che ora chiamano Piazza Portello. Ma del Carbonara, ancora, nessuna traccia.
Piuttosto, laddove prima vi era una voragine, una piattaforma è stata innalzata e, su di essa, un enorme albergo che ospita i poveri bisognosi si staglia imponente.
Decido di chiedere a una signora che scende da uno di quei tram in che anno ci troviamo e questa, senza nascondere lo stupore e una smorfia di biasimo, mi dice che siamo nel 1902. Insomma, abbiamo attraversato non solo la città dal centro a ponente e quindi di nuovo indietro, ma facendolo sono trascorsi quasi tre secoli!
Non so voi, ma tutti questi cambiamenti, tutti assieme, mi hanno un po’ affaticato. Decido di tornare a casa e, quando arrivo, mi accorgo di essere tornato nel mio presente, il 2021.
La Genova che vi ho descritto non è frutto di una fantasia, ma una rapida ricostruzione, nel tempo, di ciò che è stata.
Probabilmente alcuni nomi sono del tutto nuovi ai più, altri ci suonano dolcemente familiari. Qualcuno penserà ci siano degli errori, perché onestamente in quanti hanno mai sentito parlare del rivo Carbonara?
Come già detto, tutto tiene fede alla storia. Una storia che è stata ricostruita e riportata in un articolo scientifico. Parlo di “Urban geomorphology of Genoa old city”, paper del 2020 di Faccini e colleghi dell’Università di Genova, con la collaborazione dell’Università e del CNR di Torino. Il viaggio che vi ho proposto è in realtà quello che io ho intrapreso leggendo questo documento.
Incredibile quanto possa essere appassionante un articolo scientifico!
Quante volte, infatti, ci capita di girare per Genova e magari chiederci come fosse un tempo quella via o quella piazza che stiamo attraversando. Quante altre (molte più) volte invece semplicemente transitiamo senza porci nessuna domanda, quando magari un luogo avrebbe tanto da raccontare. Il lavoro condotto da Faccini lascia proprio intuire quanto il centro storico di Genova sia radicalmente cambiato nei secoli. Angoli e scorci che pensiamo essere così da sempre in realtà erano inimmaginabili anche solo non molti anni fa.
Come suggerisce il titolo del paper, si parla di geomorfologia urbana
Termine complicatissimo che sta a indicare lo studio delle attività umane che hanno trasformato il paesaggio da naturale ad antropogenico. Tutto questo rimanda subito a un’altra parola complessa ma più nota che è Antropocene, ovvero una nuova era geologica dove gli effetti dell’azione umana superano quelli dovuti ai processi naturali. Il centro storico di Genova si presta perfettamente per studi di questo tipo, dal momento che la sua area urbana copre ben il 50% del territorio ed è frutto di stratificazioni perpetue. Il modello è talmente adeguato che potrà essere utile per studiare altre città simili alla nostra.
Faccini e il suo gruppo si sono occupati di raccogliere enormi quantità di dati e confrontarli per ricostruire la storia del centro. In primis, hanno rispolverato mappe geologiche, geomorfologiche e topografiche risalenti fino al Regno di Sardegna e al 1815. Sono state molto utili anche vecchie fotografie aeree del secolo scorso e immagini del contemporaneo Google Earth.
Tutte le informazioni estrapolate sono poi state comparate tra loro e con osservazioni dirette sul campo. Infine, i territori artificiali sono stati catalogati servendosi della classificazione fornita dalla British Geological Survey.
Così, ripercorrendo il nostro viaggio nel tempo, scopriamo come nell’area dove oggi si trova il porto (la parte più antica, quella compresa tra i Magazzini del Cotone e la Lanterna) un tempo vi fosse tutta una serie di spiaggette ghiaiose, in cui sfociavano diversi fiumi. Proprio questi scendevano dalle alture e drenavano il paesaggio ai lati delle loro sponde: tratti di costa rocciosa alternati fra loro davano vita a un anfiteatro naturale a picco sul mare.
Nei secoli, oltre alla costruzione delle mura, un gran numero di interramenti è stato eseguito e su questi sono stati costruiti i Moli Vecchio e Nuovo, la zona dei Magazzini del Cotone e tutta la parte centrale di Caricamento, laddove una volta era tutto mare.
Come detto, la Lanterna segnava il confine della città, oltre questa sorgeva l’odierna Sampierdarena: una zona di villeggiatura, prima dell’industrializzazione e dell’annessione alla Grande Genova nel 1926.
I due comuni erano prima divisi da un monte, il promontorio o colle di San Benigno, che dopo l’annessione fu completamente raso al suolo per facilitare la comunicazione fra il centro e la zona di ponente.
La collina degli Angeli invece fu risparmiata, anche se non del tutto – vi fu ricavata una cava di calcare, che fu però abbandonata nel 1909. In seguito, nel 1931, proprio lì nei pressi della cava fu costruita una serie di case, tra cui il n° 8 di via Digione, un condominio; accadde purtroppo che il 21 marzo 1968 la pioggia battente provocò il distacco di un ammasso di roccia dalla cava e, a causa della forte pendenza della collina, questo colpì il palazzo violentemente, provocando 19 vittime.
Magari poi qualcuno si sarà fatto delle domande quando ho tirato in ballo il lagaccio.
Quello che ha dato nome al quartiere era in realtà prima un lago artificiale, generatosi grazie alla diga voluta da Andrea Doria. Negli anni il lago è stato coperto per naturale sedimentazione prima e con un intervento di riempimento artificiale poi, nel 1970. Oggi al suo posto troviamo la pista d’atletica e il campo da calcio Felice Ceravolo, oltre al campo da hockey su prato Giorgio Arnaldi.
Quello che ancora chiamiamo Lagaccio non è stato l’unico riempimento del centro storico.
Altrettanto massiccio è stato l’intervento umano necessario per costruire l’Albergo dei Poveri. È stato accumulato un milione di metri cubi di detriti e su questi è sorta un’area larga otto ettari, capace di ospitare quello che inizialmente era un rifugio per i poveri. Proprio l’odierno corso Carbonara, su cui si staglia l’Albergo dei Poveri, prende il nome dall’omonimo corso d’acqua, meta delle nostre peripezie precedenti.
Oggi non v’è traccia di alcun fiume o torrente, almeno superficialmente. Tuttavia, bisogna sapere che il centro storico era attraversato da ben sette rivi (tra cui il Carbonara), i quali scendevano dalle alture e sfociavano in mare, al porto. Oggi sono tutti ricoperti da strade ed edifici.
La copertura del Carbonara e del Sant’Ugo, oltre che altri scavi e riempimenti di varia natura, ha poi permesso la creazione dell’area della stazione Principe. Non molto diversamente sono state costruite la Strada Nuova e la Via Nuovissima, cioè via Garibaldi e Via Balbi rispettivamente.
In aggiunta, verso la fine del XIX secolo, sono state scavate le gallerie per arrivare a Corvetto, collegando molto più velocemente quelle che un tempo erano vallate diverse, attraversate da corsi d’acqua diversi, e che oggi sono Portello e Corvetto.
Non si è scavato solo in orizzontale, ma anche in verticale e come testimonianza ci restano gli ascensori che collegano il centro a Castelletto, sollevandosi per decine di metri nella terra.
Tutto è mutato, insomma.
Se da un lato questo ha reso la nostra città una straordinaria sovrapposizione di storie, culture, imprese ingegneristiche e stili architettonici, dall’altro dobbiamo constatare il cambiamento drastico che l’uomo ha imposto al paesaggio, talvolta così massivo da rendere l’ambiente fragile ed esposto a tragici eventi.
Inoltre, tutta una Genova che fu, per quanto ricostruita puntualmente dagli studi geomorfologici, non potrà più tornare e possiamo solo immaginare, ricostruire con la mente questa terra dove l’uomo viveva circondato da costa, monti e fiumi.
Immagine di copertina:
Fonte Assonautica di Genova
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