Nota di Redazione: Questo è l’ultimo dei tre articoli della serie “Sostiene Parodi” ambientati nei luoghi che sono stati, in qualche modo, i luoghi di Antonio Tabucchi a Genova. Perché vi ha passeggiato mentre insegnava letteratura portoghese all’Università di Genova dal 1978 al 1990, perché vi ha ambientato il romanzo “Il filo dell’orizzonte” (1986), confondendoli con la sua Pisa, perché ha portato alcuni di questi luoghi a Lisbona, nella sua opera più famosa e impegnata, “Sostiene Pereira” (1994). Su questa geografia, usando alcuni elementi tipici di Tabucchi, quali lo scherzo, la toponomastica, la confusione cronologica, il vero e l’immaginato, l’autore ha pensato a come si sarebbe comportato un eventuale cugino genovese di Pereira, nel contesto socio-politico della Genova contemporanea, mosso dal suo spirito antifascista. Wall:out vi invita a immergervi in questi testi, che offrono spunti così adatti a queste giornate tra 25 Aprile e campagna elettorale per le Amministrative. |
Batucchi fece un lungo respiro di sigaretta, poi, con la gola annodata, si spiegò come le persiane verso la notte. Sostiene Parodi che parlò lentamente, mentre il fumo gli usciva un poco dalla bocca e un poco dal naso, senza un apparente controllo.
“Ho vissuto in questa città, vi ho più passeggiato che lavorato, forse sulle orme di Camus. Ho portato negli occhi quel luogo geometrico che prende il nome di ‘filo dell’orizzonte’ e che mi ha fatto immaginare di poter conservare l’umanità, e non il potere, attraverso le parole. Dando un nome a un terrorista ucciso in Via Casedipinte n. 2, oppure cercando di dare un senso alle sere fredde in solitudine davanti a una finestra come questa. Ospitavo sempre, in quella piccola stanza, il campanile di San Donato. Eppure ci ho messo anni per far sì che le parole potessero cambiare il mondo: ho dovuto mettere le parole in lingue d’oceano, in dittature più nitide, in toponomastiche ancora più ripide di questa città. Alla fine, scrivo perché temo che l’obbedienza possa impedirci di renderci conto di quel che è davvero importante per gli uomini, cioè la libertà di scegliere come vivere. Non può esserci libertà in un mondo a misura di merci e di consumo, quello è un mondo ricco e veloce, ma tossico”.
“Se vuole”, chiuse Batucchi, “le farò avere una copia di quel manoscritto che vede sulla scrivania, ho pensato a una persona come lei, però nella Lisbona di Salazar!”.


Si lasciò la notte alle spalle e, sostiene Parodi, le sue ultime parole furono più un mandato che una richiesta:
“Dott. Parodi, lei deve impedire l’avvio di quei cantieri, lo deve alla cittadinanza che è il suo vero datore di lavoro, lo deve all’umanità che è la sua vera famiglia. Non esistono modelli di felicità se non sono condivisi, se violentano le fragilità invece di proteggerle”.
Gli spifferi si spensero, fuori dalla finestra l’insegna era diventata opaca, Parodi riprese la strada di casa con in tasca la sua statuina e due biglietti della corriera per la Pieve.
Sostiene Parodi di aver percorso la litoranea deserta e, dopo il mercato dei fiori, la corriera ha raggiunto la mezza costa, gli ulivi, le acacie, e le mimose sul punto di fiorire anche fuori stagione. Sotto, il mare e la costa, l’uno spavaldo, l’altra refiosa, promettevano di sciogliere la tensione in un largo pianto, da golfo a golfo, con il campanile che sbucava dai lecci come suo epicentro.

Sostiene Parodi di essere entrato in chiesa da una porta laterale vicino ad alcuni affreschi che rappresentavano il Cavaliere, l’Angelo, la Morte, l’Impiccato; Sostiene Parodi che sembravano figure di tarocchi e che, sui muri, calligrafie ingenue avevano tracciato frasi di devozione.

“Si avvicini, legga pure”, si rivolse a lui il prete, che silenzioso si era messo alle sue spalle. “Sono preghiere impure per questa istituzione, lo sa? Non sono rivolte alla Madre di Dio ma alla Moglie di Dio. Sa, a volte gli uomini hanno più fiducia nelle storie che gli somigliano, anche se non riconosciute da un potere istituzionale”.
Sostiene Parodi che le sue parole cadevano pesanti come gambe di giganti e che, quindi, dovevano essere interpretate proprio come si fa con le figure marsigliesi.
“A Maria Maddalena hanno tolto le parole perché, delle femmine, il potere ha sempre paura. E lei sa cosa ha fatto? Ha parlato con le figure, alfabeto universale di chi è pronto a comprendere il messaggio.”
“Qui lavorò un padre”, proseguì il prete, “che divenne Papa con il nome di Beneletto VX, provò anche a sopire le grandi guerre di questo stupido occidente. È grazie a lui”, continuava il prete passando il dito sulle frasi incise dei devoti, “se questi affreschi non sono stati cancellati, perché rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia della cultura, delle istituzioni pubbliche e religiose. Mi vuol dire che hanno tutelato la prova di una devozione non riconosciuta dalla Chiesa di Roma?”, lo interrogò Parodi.
“Esattamente, ma solo perché fu il Papa a volerlo, usò il suo potere per tutelare una minoranza. A proposito, lei sa dov’è nato il nostro unico Papa?”.
Sostiene Parodi che, anche quella volta, le parole camminarono verso di lui come un mandato.
“Ora la devo salutare, Dott. Parodi, si goda il viaggio di ritorno e si sbrighi, non ha sentito il clacson della corriera? La sta aspettando in piazza”.
Sostiene Parodi che, mentre correva per non perdere la via del ritorno, si mise a pensare al suo direttore, a quella tristezza che aveva nel frequentare il passato.
Si mise a pensare all’obbedienza e, questa volta, gli fu possibile capire il perché.
Quando raggiunse i sedili in tessuto pesante delle corriere genovesi, il Dott. Parodi era fradicio di pioggia, sorrideva ebete come Millelire e Mersault la sera prima.
Cercò nella tasca il biglietto del ritorno e si dispiacque di non avvertire più la presenza della statuina tribale di argilla. Sostiene Parodi che doveva averla persa nella corsa giù dalla Pieve ma, quando tornò a casa, si accorse che non l’aveva persa: si era sciolta per la pioggia abbondante, non rimaneva che una poltiglia senza vita.
Il giorno dopo, dentro al suo ufficio, nel mezzo dell’infinito odore di minestrone, con i sondaggi dell’androne e le parole del prete che gli muovevano le dita sopra le lettere della tastiera, il responsabile tecnico-amministrativo dei lavori di Via Digione pensava all’Ing. Calvino, allo scrittore Tonino Batucchi, a Millelire e a Mersault.
Pensava alla Signora Zanfretta, a lui a Lisbona, a Salazar con la faccia di tutti quelli nei cartelloni e nei santini. Pensava alla Lanterna Magica che aveva sempre ritrovato chiusa.
Pensava all’obbedienza.

La luce era feroce sulla città e, Parodi, aprì la porta per farne entrare, come se volesse imprimerla sul provvedimento che stava redigendo:
“Dato atto che presso l’abitazione di Via Digione n. 8 è nata l’illustre figura del nostro unico papa Beneletto VX, vista l’assenza del Direttore dell’ufficio competente per congedo elettorale, ritenuto pertanto di condizionare l’avvio dei cantieri dell’area sopra indicata alla preventiva verifica dell’interesse culturale da parte della Soprintendenza dei Beni Culturali, …”.
Il decreto, poco dopo, era esecutivo; però, non si sentì rassicurato, sentì invece una grande nostalgia, di cosa non saprebbe dirlo, ma era una grande nostalgia di una vita passata e di una vita futura, sostiene Parodi.
Immagine di copertina:
Grafica wall:out magazine su foto di Mattia B.
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