Ora parliamo di aborto.” presso il Chiostro di Santa Maria di Castello

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Vi raccontiamo cosa è successo durante l’evento “Ora parliamo di aborto.” il 5 novembre, in attesa degli esiti dei tavoli di lavoro.
13 Novembre 2022
8 min
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Come abbiamo anticipato anche sulle pagine virtuali di wall:out magazine, il 5 novembre si è svolto l’evento “Ora parliamo di aborto.” presso il Chiostro di Santa Maria di Castello.

Ad opera delle donne rosso-verdi, la manifestazione si è composta di una prima parte introduttiva, divulgativa e informativa sullo stato dell’arte in fatto di aborto in Italia e in Liguria, e di una seconda parte più operativa, il cui fulcro è stata la messa in opera di tre tavoli di lavoro aperti a tutt l presenti con lo scopo di produrre richieste specifiche alla pubblica amministrazione.

La partecipazione da parte della cittadinanza è stata così numerosa da eccedere di gran lunga le aspettative delle organizzatrici, fatto che ha contribuito non solo a rendere tutto l’evento più sentito e urgente, ma ha anche creato la necessità di proseguire i detti tavoli di lavoro in una data di prossima comunicazione. 

Ça va sans dire, wall:out vi terrà aggiornatɜ su tutti gli sviluppi!

Veniamo ora a quanto accaduto nella prima parte del pomeriggio, in cui si sono susseguiti gli interventi di diverse personalità a vario titolo impegnate attorno al diritto all’aborto.

La professoressa Luisa Stagi, docente di sociologia all’Università di Genova, ha moderato i contributi di: Laura Casale per l’UDI – Unione Donne Italiane; la professoressa di filosofia e sociologia del diritto Isabel Fanlo Cortez; il ginecologo Salvatore Garzarelli, responsabile dell’introduzione della pillola RU-486 in Liguria; Mercedes Bo, storica presidente di AIED Genova; Giulia Crivellini, che ha rappresentato l’associazione Libera di abortire; Donatella Siringo, presente in nome di Liguria Pride; e, infine, il duo formato dall’attivista Alice Merlo e dalla filosofa nonché nostra contributor Selena Pastorino.

Tutto questo per dire che la ricchezza del palinsesto presentato e l’importanza delle voci chiamate a contribuire lasciavano presagire un incontro denso di informazione scientificamente accurata, di testimonianze pregnanti e di prese di posizione nette nei confronti dell’attacco al diritto all’aborto che si sta manifestando in maniera sempre più pressante, ogni giorno di più.

E tutto questo, in qualche misura, c’è stato. 

A partire dalle parole della professoressa Cortez – chiamata a fare parte della consulta che ha scritto e promosso la nuova legge sull’aborto in Colombia, una delle più progressiste in essere al mondo – che si sono focalizzate sulle ombre della legge 194/78.

Una legge che, sebbene esito di lotte femministe mai davvero esaurite, ha un carattere meramente autorizzativo rispetto a una pratica medica che è stata depenalizzata specificatamente all’interno di un recinto di condizioni specifico. Che è un altro modo di dire che l’interruzione volontaria di gravidanza in Italia di fatto è ancora un reato, non punibile solo ed unicamente quando viene messo in pratica in presenza di un conclamato pericolo per la salute della donna, ed entro 90 giorni dal concepimento (salvo eccezioni).

Una legge che prevede che il personale medico abbia il ruolo di dissuasore della donna – per carità, la legge non si riferisce affatto a tutte le persone con utero! – e per questo prevede l’attesa dei famosi sette giorni in virtù di un eventuale ripensamento, un tempo cuscinetto per la rimozione degli ostacoli che indurrebbero la gestante a interrompere la gravidanza.

Una legge che non prova nemmeno a nascondere una concezione della donna come essere necessariamente destinato alla maternità, un essere fragile che va guidato alla scoperta di ciò che è meglio per la sua salute e quella del nascituro.

In estrema sintesi, la 194 privilegia la tutela della maternità e della famiglia rispetto alla volontà della persona gravida.

Al di là di una chiara matrice culturale, paternalista, maschilista e patriarcale, che a ben vedere non si è smossa poi così tanto dagli anni Settanta a oggi, Laura Casale ha illustrato la storia politica che ha condotto alla redazione della legge 194/78, sottolineando come l’epoca del Compromesso Storico abbia favorito un’operazione che sarebbe stata impensabile fino a pochissimi anni prima.

E ancora, il dottor Garzarelli ha delineato un quadro terrificante di cosa fosse la pratica dell’aborto clandestino, prima del 1978 (eppure, ricordiamo, ben lungi dall’essere una pratica estinta): ricerca segreta di mammane, decotti di erbe più o meno velenose, oggetti contundenti, fino a veri e propri vademecum su come calciare il basso ventre di una donna incinta. Pratiche per lo più autoinferte, di una violenza inaudita. Anche per questo, la violenza ostetrica (presa in senso molto ampio) dovrebbe a pieno titolo rientrare nel computo delle violenze di genere.

E visto che ci avviamo verso la fatidica data del 25 novembre, concediamoci di focalizzare il tema della violenza sulle donne considerandolo da questa particolare ottica. 

Ora parliamo di aborto.” presso il Chiostro di Santa Maria di Castello
“Ora parliamo di aborto.” presso il Chiostro di Santa Maria di Castello

Il lavoro egregio dell’associazione Libera di Abortire si concentra nel riportare al centro del dibattito pubblico il diritto a una IVG libera, sicura e gratuita raccogliendo testimonianze di persone su tutto il suolo nazionale e accompagnando chi ne ha necessità attraverso l’iter burocratico e ospedaliero.

Quest’ultimo è un vero calvario per chiunque non mastichi pane e politiche sociosanitarie tutti i giorni, visto che nemmeno il sito del Ministero della Salute indica quali siano gli step da affrontare qualora si decida per un’interruzione volontaria di gravidanza.

L’avvocata Giulia Crivellini ha sottolineato una situazione sconcertante riguardo all’accesso alla pillola abortiva, la famigerata RU-486, per la cui somministrazione sono state indette nuove linee guida ministeriali, di fatto seguite solo nel Lazio e parzialmente in Emilia-Romagna; altrove si preferisce fare leva sulle zone grige della legge 194 in modo da impedire il ricorso all’aborto farmacologico. 

Diritti negati, ostacoli burocratici, obiezione di coscienza, prevaricazione ideologica e mancanza di empatia non sono tipici solo dell’esperienza delle donne, giacché, come si diceva, non sono solo le donne a essere in grado di portare avanti una gravidanza.

Della feroce discriminazione nei confronti delle persone transgender e non binary negli istituti di salute pubblica e privata ha parlato diffusamente Donatella Siringo, presidente di Agedo e in rappresentanza di Liguria Pride, ponendo l’accento sulla preoccupante rete organizzata in anni di lavoro dalle destre conservatrici transnazionali che mira al ripristino del cosiddetto “Ordine Naturale” e che non si limita alla propaganda con vergognose manifestazioni, la più nota delle quali fu il Family Day del 2019 a Verona, ma stanzia fondi ingenti al fine di impedire l’accesso alle cure alle persone che non si riconoscono nella sfera eterosessuale e cisgender. Figuriamoci farle abortire.

Come si diceva più su, il palinsesto proposto lasciava presagire un ottimo livello di preparazione e consapevolezza del contesto da parte di chi avrebbe preso in mano il microfono, ma non si può dire che non ci siano stati momenti a dir poco problematici.

I sette minuti – severamente contati dalla moderatrice Stagi – a disposizione di Aied hanno avuto un côté scioccante.

Mercedes Bo ha delineato brevemente il ruolo cruciale dell’attività dei consultori per la salute delle donne (sempre solo loro, sic!), risalendo all’apertura della sede genovese di Aied nel 1971 e ricordando l’attività, illegale fino al 1978, di accompagnamento all’aborto a fianco dei Radicali e di medici sostenitori della causa. Ha individuato nella presenza di associazioni pro-vita negli ospedali un pericolo per le gestanti e menzionato l’assenza di un vero welfare familiare a sostegno di chi una gravidanza vorrebbe portarla a termine. 

Ora parliamo di aborto.” presso il Chiostro di Santa Maria di Castello
“Ora parliamo di aborto.” presso il Chiostro di Santa Maria di Castello

Salvo che il ragionamento si è poi inceppato su un’interpretazione singolare dei dati che abbiamo a disposizione: se è vero che in Italia il numero di IVG è sceso dai 250mila nel 1979 ai circa 66mila di oggi, e che a Genova il computo si è abbassato dai 4mila nel 1979 ai 2mila di oggi, difficile dedurne che “va tutto bene” (cit). Difficile non restare perplesse di fronte alla presidente di una struttura consultoriale sostenere che in Liguria l’accesso all’aborto non presenti alcuna problematicità, specie alla luce di un’obiezione di coscienza stimata al 52% tra il personale medico (dati del 2020) e della sfacciata obiezione di struttura condotta in due dei più importanti ospedali di Genova (Galliera e Gaslini).

Difficile sostenere questa tesi anche alla luce di un progressivo invecchiamento complessivo della popolazione regionale, dei problemi legati all’assenza di educazione sessuale nelle scuole e dallo smantellamento della sanità pubblica a opera del presidente Toti e del depotenziamento dell’attività degli stessi consultori, nonostante una forma di coordinamento con le attività consultoriali da parte delle Asl liguri decretata nel 2019 e di cui non si conoscono gli esiti. Difficile anche restare ad ascoltare quando, a seguito dell’ammissione dell’impossibilità di implementare l’uso della pillola RU-486 a livello ambulatoriale a causa della scarsità del personale, Bo è arrivata ad auspicare un aborto farmacologico condotto in via esclusiva da istituti privati.

Lasciando da parte i commenti alla gravità di queste affermazioni, la brevità dell’intervento ha evitato che gli animi si surriscaldassero, nonostante qualche voce contrariata si sia effettivamente levata. 

Eppure, forse è stato un errore presentarsi alla manifestazione prefigurando un blocco coerente di opinioni su una materia così discussa e controversa.

Ciò che più di tutto ha lasciato di stucco è stata l’assenza di un contraddittorio tra posizioni così manifestamente incongruenti.

O meglio ancora, il fatto che l’unico contributo che ha provato a rimettere in ordine le stranezze di quell’intervento nello specifico (e di altre storture che qui e là sono comparse) sia stato il duetto Merlo-Pastorino.

A dimostrazione del fatto che preparazione, competenza, conoscenza e capacità non sono solo prerequisiti essenziali quando si parla in pubblico, ma anche strumenti che permettono un’inversione di rotta e, perché no, una certa dose di improvvisazione di fronte all’inaspettato, Alice Merlo e Selena Pastorino hanno deciso all’ultimo di virare il loro intervento rispondendo punto per punto alle prese di posizione di Bo (e non solo).

Il canovaccio previsto era invero un singolare intreccio di esperienze in fatto di gravidanza: l’attivista dell’aborto felice e la filosofa della maternità a confronto, per dimostrare quanto il diritto all’autodeterminazione delle persone con utero sia costantemente violato quale che sia la strada che decidono di percorrere.

E invece, hanno preso su di sé la responsabilità di rimettere a tema le minimizzazioni e le superficialità degli interventi precedenti e non solo hanno portato dati che disconfermavano quanto sostenuto da altre relatrici, ma hanno inoltre ricondotto quei dati alle proprie relative esperienze pratiche, corporee, emotive e psicologiche, dando vita al quarto d’ora più appassionato e agguerrito dell’intero evento. 

Purtroppo non è stata data loro l’occasione di terminare un contributo tanto apprezzato, in nome di un tempo tiranno su cui forse poteva essere serenamente chiuso un occhio. Anzi, Pastorino si è vista addirittura strappare di mano il microfono prima della sua conclusione, senza se e senza ma.

Un vero peccato non solo per le parole preziose che certamente la filosofa avrebbe ancora speso, ma anche perché si è chiaramente trattato di una leggerezza nella lettura degli umori del pubblico: l’energia si era fatta molto intensa nel chiostro e, a partire dall’intervento di un gruppo di rappresentanti del nodo genovese di Non una di meno, è iniziata una vivace discussione tra lɜ presenti intorno ad aspetti che le relatrici non avevano toccato in precedenza.

Ora parliamo di aborto.” presso il Chiostro di Santa Maria di Castello
“Ora parliamo di aborto.” presso il Chiostro di Santa Maria di Castello

Per chiudere questo lungo racconto di una giornata intensa, una chiosa:

è evidente che a Genova le istituzioni, anche le più progressiste, facciano molta fatica a prendere posizione rispetto al diritto all’aborto, a differenza delle singole studiose e/o attiviste. Non stupisce, siamo chiare. È l’ennesima riprova del fatto che il tema è trasversalmente problematico sia a destra sia a sinistra. Eppure, prendere una posizione è vitale, per la salute fisica, riproduttiva, emotiva, psicologica di noi, persone con utero, tutte.

Ché siamo stanche di dover ribadire che l’aborto è un diritto e non una concessione.

Siamo stanche di vedere i nostri corpi usati come bandierine dalla politica.

Siamo stanche di non avere accesso al più basico livello di autodeterminazione, ossia cosa fare di e con noi stessɜ.

Siamo stanche di non poter mai abbassare la guardia, di essere chiamate a difenderci perfino nei luoghi di cura.

Siamo stanche che la nostra vulnerabilità sia un’arma a doppio taglio.

Siamo stanche di giocare un gioco in cui non possiamo vincere, mai.

Quindi sì, prendere posizione è importante. È una scelta che non può più essere rimandata.
Perché io scelgo ogni giorno di combattere per me e per le mie sorelle.
La politica, le istituzioni, gli enti di cura, lo Stato sono dalla mia parte?

Immagine di copertina:
“Ora parliamo di aborto.” presso il Chiostro di Santa Maria di Castello


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Un passato da ballerina, un presente da laureata in Storia dell’arte contemporanea, ambizioni da superstar. Non esce di casa senza rossetto, un libro in borsa e il fiatone di chi è sempre in ritardo. Si diletta a organizzare il Cotonfioc Festival e a tradurre testi d’arte dall’inglese.

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