Il 5 ottobre, molti di noi sono scesi in piazza per esprimere il proprio dissenso contro una politica che tenta di silenziare o eliminare chi non è d’accordo. Ancora peggio, etichetta come criminali coloro che chiedono la fine del genocidio e il riconoscimento dello Stato di Palestina.
È paradossale, che le persone di tutte le età, che si dichiarano contrarie a una politica complice delle mire coloniali israeliane e della violazione del diritto internazionale, vengono dipinte come il nemico dell’umanità, mentre chi commette crimini atroci resta impunito e, anzi, supportato dalla comunità internazionale.
Tuttavia, la storia e le generazioni future ci giudicheranno per le scelte che facciamo oggi e nei prossimi giorni.
Capire da che parte stare in questo momento è fondamentale. Lo è perché la libertà di manifestare, riunirsi ed esprimere dissenso è sotto attacco.
Il dissenso è dialogo
Senza dissenso, non esiste dialogo. Lo stesso dialogo che sembrava avessimo ottenuto, almeno in parte, quando, dopo giorni di lotte, la questura di Roma ha finalmente autorizzato il presidio statico in Piazza Ostiense, per poi mostrare tutta la sua forza repressiva alla richiesta di farci uscire dalla piazza per proseguire il corteo.
Ci tengo a sottolineare che è anticostituzionale non autorizzare manifestazioni pacifiche previo preavviso da parte degli organizzatori.
In Italia, l’articolo 17 della Costituzione afferma un principio generale di presunzione a favore delle assemblee pubbliche, prevedendo un mero preavviso alle autorità competenti.
Il regime di notifica non dovrebbe essere in alcun modo utilizzato per controllare le proteste pacifiche, né per sanzionare coloro che le organizzano, compatibilmente anche con lo spirito originario della Costituzione.
Ma non sarà un idrante, qualche fumogeno o la vostra violenza a fermare la nostra determinazione nel denunciare un genocidio e ogni qualsiasi violazione dei diritti umani in questo mondo.
La protesta dei portuali
Il 16 ottobre 2024, i lavoratori portuali italiani incroceranno le braccia per 24 ore in un importante sciopero nazionale, dalle 00:00 alle 23:59.
L’iniziativa è stata proclamata per denunciare la crescente militarizzazione dei porti, il traffico di armi e la repressione del dissenso sociale e delle lotte sindacali.
Le organizzazioni promotrici, tra cui il Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali di Genova (CALP) e l’Unione Sindacale di Base (USB), puntano il dito contro l’attuale terza guerra mondiale, che aggrava le condizioni sociali ed economiche di ampie fasce della popolazione.
Repressione del dissenso: il DDL 1260
Lo sciopero si oppone al DDL 1660, attualmente in discussione al Senato, considerato un attacco ai diritti dei lavoratori e delle lavoratrici e alle libertà sindacali.
Questo decreto, già approvato alla Camera, limita drasticamente la possibilità di organizzare proteste, picchetti e occupazioni, restringendo anche la libertà di raccontare queste lotte attraverso la stampa e i media.
Il DDL 1660 rappresenta una continuazione della linea repressiva adottata negli ultimi anni e costituisce un duro colpo per chi si batte per i diritti sociali e del lavoro.
In particolare, il provvedimento mira a colpire chi, come i lavoratori della logistica e delle fabbriche, utilizza la lotta sindacale per difendere i propri diritti.
Vengono limitate le possibilità di creare blocchi, occupare stabilimenti e organizzare picchetti, strumenti fondamentali per la difesa dei diritti di chi lavora. Si tratta di una vera e propria strategia di invisibilizzazione delle proteste, che mira a isolare e reprimere chi continua a lottare contro le ingiustizie sociali.
No al traffico di armi nei porti
Uno dei temi centrali dello sciopero è la denuncia del ruolo dei porti italiani nel traffico internazionale di armi.
Le armi prodotte ed esportate attraverso i nostri porti alimentano conflitti in tutto il mondo, spesso in violazione della legge italiana e della Costituzione. In particolare, la Legge 185/1990, che regola il controllo sull’esportazione di materiale bellico, e l’articolo 11 della Costituzione, che ripudia la guerra come strumento di offesa e di risoluzione delle controversie internazionali.
La petizione lanciata da Labiba, USB Genova e CALP chiede la fine del traffico di armi attraverso il porto di Genova, evidenziando il ruolo dell’Italia nella fornitura di supporto logistico a conflitti come quello in Yemen e, più recentemente, in Palestina.
Nel solo dicembre 2023, in pieno conflitto tra Israele e Gaza, l’Italia ha esportato armi e munizioni verso Israele per un valore di 1,3 milioni di euro, contribuendo alla distruzione e alla sofferenza della popolazione civile palestinese.
Un invito alla mobilitazione
Lo sciopero del 16 ottobre è un appello a tutti i cittadini e cittadine, lavoratori e lavoratrici, movimenti sociali e studenteschi a unirsi per fermare la militarizzazione dei porti, il traffico di armi e le politiche repressive che minacciano il diritto di sciopero e di dissenso.
Le risorse pubbliche destinate alla guerra e alla repressione devono invece essere investite in politiche attive contro il carovita, a favore di salari dignitosi e di una giustizia sociale che tuteli i diritti delle classi popolari.
Unisciti allo sciopero contro uno Stato di polizia, contro la repressione e la militarizzazione dei nostri porti.
Immagine di copertina:
Grafica realizzata da Emanuele Giacopetti
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[…] Il Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali di Genova (CALP), in linea con quanto accaduto negli anni passati con carichi diretti verso navi saudite che trasportavano armi per la guerra in Yemen, ha invitato i lavoratori a rifiutarsi di caricare container che chiaramente risultavano essere diretti verso l’entità sionista. (Articolo di wall:out Contro la repressione, contro la militarizzazione) […]