“Saranno i cittadini a proporre la loro idea di centro storico, attraverso un logo e un nome che contribuiranno al suo rilancio. Il Comune di Genova dà il via a un concorso di idee, aperto a tutti, per disegnare l’immagine dell’ampio piano per il centro storico che la giunta sta elaborando. Sul sito del Comune è già presente un form dedicato, intitolato: “Progetto centro storico, le idee partono da te”. Il form è attivo fino alle ore 18 di mercoledì 18 novembre 2020.”
Alzi la mano chi ha sentito una fitta allo stomaco leggendo le righe qui sopra. Chi invece non ritiene di aver letto alcunché di problematico, gentilmente, drizzi le antenne.
Avete appena letto l’incipit della call for ideas indetta giovedì 12 novembre dal Comune di Genova, e conclusasi la bellezza di sei giorni dopo, alla ricerca di materiale per l’immagine coordinata del progetto di riqualificazione del centro storico.
Il documento prosegue spiegando lo scopo della ricerca:
“[il materiale] accompagnerà le operazioni che, via via, verranno messe in campo per migliorare la vivibilità del quartiere per residenti e turisti. Il piano prevede interventi a 360 gradi, all’interno di un grande disegno complessivo, che si delinea attraverso una serie di assi portanti quali ad esempio il miglioramento del tessuto urbanistico, il potenziamento dell’illuminazione, il rilancio commerciale, la pulizia e la socialità delle aree pedonali e la rigenerazione delle piazze. Il logo e il nome prescelti diventeranno il segno di riconoscimento degli interventi destinati a lasciare un’impronta sul quartiere.”
Il resto è la solita supercazzola prematurata con scappellamento a destra sull’importanza della storia di “uno dei più grandi centri storici medievali d’Europa”, le tradizioni, i sapori, De André, i Rolli e la retorica dell’ascolto dei cittadini “secondo la logica bottom-up”.
Se il vostro stomaco ancora non si ribella – complimenti! – cerchiamo di scendere nel dettaglio del senso di questo concorso.
È bene iniziare da quello che considereremo un principio condiviso: copywriting e grafica sono mestieri. Il che significa che ci sono persone che spendono le proprie energie, il proprio tempo e il proprio estro nell’apprendimento e nello svolgimento di questi lavori. E che, in funzione di tutto questo, hanno tutto il diritto di vedersi corrisposta una retribuzione economica, per iniziare.
Il fatto che la pubblica amministrazione chieda apertamente a *chiunque* di prodigarsi nella concezione di un titolo (copywriting) e un logo (grafica) per un suo progetto e, per di più, non preveda alcun genere di compenso è come minimo imbarazzante, svilente, fuori luogo e indecoroso.
Andiamo oltre, poniamo che qualche individuo di buon cuore ritenga accettabile questo tipo di trattamento e si metta in testa di partecipare alla call.
La riqualificazione del centro storico è stata un cavallo di battaglia – e un tallone d’Achille – per tutte le amministrazioni da che se ne ha memoria; il tentativo corrente ha dalla sua quel piglio pragmatico che richiama in modo diretto le glorie (o presunte tali) del “modello Genova”: si decide, si nomina un referente, si discute, si fa. Benissimo.
Qualora il piano per la riqualificazione andasse in porto e fosse apprezzato dalla cittadinanza, il sindaco Bucci entrerebbe di diritto nella storia della città da superstar. Da cui ne consegue, tornando alla call, un nuovo interrogativo:
come ci si inventa un titolo e un logo all’altezza delle aspettative, in grado di comunicare la forza e l’importanza dell’obiettivo che andrebbero a illustrare, senza conoscere il progetto?
A ora, tutto quello che è emerso riguarda superficialmente le aree di intervento, come descritto sopra; le modalità in cui si invererà il “grande disegno complessivo” rimangono un mistero.
Si potrebbe obiettare che il materiale per l’immagine coordinata non debba necessariamente rispondere a criteri di grande impatto comunicativo, o che al meglio sarà considerato come un canovaccio su cui il Comune costruirà una campagna più solida. Anche qui, però, emergono ulteriori criticità:
chi riceve le candidature? Chi le valuta? Secondo quali criteri? In che forma avviene – se avviene – il riconoscimento dell’autorialità della proposta migliore (o delle proposte migliori)? Chi è responsabile dell’immagine coordinata definitiva?
Il punto, qui, non è screditare la formula della call for ideas come se fosse il diavolo incarnato. Il coinvolgimento della cittadinanza nei processi di cambiamento – e ci si auspica: miglioramento – della città è alla base di una pratica democratica sana ed è importante sottolineare come il Comune abbia comunicato di aver avviato un dialogo con associazioni e gruppi attivi nel centro storico per raccoglierne le proposte* (benché degli esiti di tale confronto non si sappia nulla).
L’unico modo per mettere a frutto una vera logica bottom-up è trovare un punto d’incontro tra bisogni di base e volontà programmatiche nell’ottica di un coinvolgimento responsabile di tutti gli attori interessati, tale per cui la condivisione dei diritti e dei doveri si configuri come un valore aggiunto.
A prima vista, sembra questa la direzione espressa dal Sindaco durante la presentazione del piano di riqualificazione presentato il 23 novembre, occasione che ci ha dato anche modo di scoprire la fantomatica coppia titolo e logo vincitrice: “Caruggi”, della graphic designer Maria Silvia Guagnano.
D’altro canto, è bene tenere presente, al di fuori di ogni demagogia, che la strada del dialogo non rechi in sé nulla di particolarmente meritorio in quanto dovuta, ragionevole e indispensabile.
Senza contare che è emersa, in seguito alla divulgazione del piano, una circostanza assai spiacevole: un certo numero di associazioni – tra cui Libera – hanno immediatamente richiesto la rimozione del loro nome dal novero degli enti collaboratori, usato in modo avventato dal Comune, con cui secondo loro non erano stati presi accordi in tal senso.*
La questione problematica che emerge dal testo del concorso è tangente a tutto questo.
A fronte di un’amministrazione che chiede a gran voce la collaborazione di tutti, sbandierando la facilità di reperire i fondi per ogni proposta ausiliare se ritenuta valida, ci ritroviamo per l’ennesima volta di fronte a una forma di discriminazione sempre più diffusa: il lavoro immateriale non merita validazione.
Il che significa, tradotto, che se non tutte le professioni hanno pari dignità, allora non tutte le persone meritano di essere pagate a parità di tempo, energia e professionalità.
Il che significa che alcuni lavori valgono meno, perché “lo può fare chiunque”.
Il che significa che – alimentando questo circolo vizioso fatto di pagamenti in visibilità, righe aggiuntive sul curriculum, sorrisi alle fotocamere e pacche sulle spalle – non è possibile per nessuno reclamare alcun diritto, alcuna remunerazione, alcun riconoscimento, perché ci sarà sempre da qualche parte qualcuno pronto a svilire un’intera categoria in nome di quei nauseanti quindici minuti di gloria.
Il che significa che stiamo dando un implicito consenso ad accettare l’esistenza di cittadini di serie A e di serie B.
In quasi una settimana, sono pervenute più di cento candidature alla call del Comune. La vincitrice ha avuto una manciata di minuti per illustrare la sua di fronte a una sala semi vuota e non vederla nemmeno pubblicata sul materiale informativo del progetto – alla faccia dell’immagine coordinata.
Ora, dai, riproviamoci: alzi la mano chi non sente fitte allo stomaco.
Immagine di copertina:
Foto di Andrea Piacquadio
EDIT*
L’articolo è stato modificato in data 04/11/2020 per correggere l’informazione secondo cui il Comune avrebbe collaborato con le associazioni del territorio per la realizzazione del piano di riqualificazione, anziché averle semplicemente invitate a esporre le loro istanze. Al momento non si sa se tali indicazioni saranno parte integrante del piano e alcune associazioni hanno addirittura richiesto la rimozione dal progetto del loro nome, usato in modo improprio dal Comune.
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