Esiste una pianta esotica ma al tempo stesso ligure? Che sia estremamente utile per scopi pratici e quotidiani ma al contempo poetica? Recente ma con una storia avvincente? Nota a tutti ma comunque ignorata? Sì, esiste. È l’agave.
L’agave ci tocca da vicini per tanti e sorprendenti motivi. E non solo perché è la pianta da cui deriva quel distillato, la tequila, che alleggerisce e ubriaca le notti.
La storia del rapporto tra l’agave e l’uomo occidentale inizia con un genovese
Ovviamente mi riferisco a Colombo, il quale, giunto nell’isola Guanahani nelle Bahamas con i suoi equipaggi, la incontra per primo. Durante il successivo secolo questa pianta viene importata in Europa, trovando terreno fertile nelle collezioni dei botanici e classificatori, tra cui l’immancabile svedese Linneo che le attribuì l’attuale nome.
Lo studio accademico e tassonomico richiese molto tempo e centinaia di specie di agavi diverse furono identificate. Solo più tardi gli esemplari vennero fatti crescere spontaneamente in natura. Poiché si tratta di una pianta proveniente dall’America centrale, questa attecchì solamente nella zona mediterranea. Nessuna eccezione per la Liguria. E se vi state iniziando a chiedere se mai avete visto un’agave in Liguria, la risposta è, di nuovo, sì.
Ancora non avete capito a cosa mi riferisco? La foto vi sarà di grande aiuto.
Non lasciatevi ingannare, non è una fake news. L’immagine è proprio quella di un’agave. Però, per essere più preciso, dovrei dire delle infiorescenze di un’agave. Non tutte le piante di agavi producono infiorescenze ma talvolta, con un processo che può richiedere anche decine di anni, lo fanno e restituiscono simpatici e attraenti strutture alte anche diversi metri.
Fatalità vuole che questo fenomeno sia seguito dalla morte beffarda della pianta stessa
La quale, però, non abbandona questo mondo prima di aver dato alla luce nuovi semi. Questi cadranno nel terreno e forse qualcuno di loro darà vita a un nuovo esemplare, chiudendo il ciclo naturale. Magari i cosiddetti “fiori della morte” non erano noti a Montale, ma il poeta fu comunque attratto da questa creatura. Tanto che ad essa dedicò una poesia della sua arci-ligure raccolta:
“Ossi di seppia”: “L’agave sullo scoglio”.
O rabido ventare di scirocco
che l’arsiccio terreno gialloverde
bruci;
e su nel cielo pieno
di smorte luci
trapassa qualche biocco
di nuvola, e si perde.
Ore perplesse, brividi
d’una vita che fugge
come acqua tra le dita;
inafferrati eventi,
luci-ombre, commovimenti
delle cose malferme della terra;
oh alide ali dell’aria
ora son io
l’agave che s’abbarbica al crepaccio
dello scoglio
e sfugge al mare da le braccia d’alghe
che spalanca ampie gole e abbranca rocce;
e nel fermento
d’ogni essenza, coi miei racchiusi bocci
che non sanno più esplodere oggi sento
la mia immobilità come un tormento.
Tuttavia, come si diceva in apertura, l’agave conserva anche una notevole utilità pratica
Essa infatti viene impiegata in tantissimi modi. L’ingegno umano sfrutta questa pianta da millenni. Negli ultimi secoli e addirittura anni le opportunità che offre sono sempre maggiori e sempre più sofisticate.
Partiamo dall’uso forse più noto: la produzione di bevande alcoliche.
Per quanto la tequila sia una bevanda che ormai ha fatto il giro del mondo e venga apprezzata da palati più o meno raffinati, questa è un’invenzione piuttosto recente, si fa per dire. Gli aztechi infatti si limitavano a produrre il Pulque fermentando il succo dell’agave. Questo veniva e viene tutt’oggi consumato come digestivo o mischiato con birra o succhi (in questo caso prende il nome di curado).
Furono solo gli europei a importare la tecnica della distillazione, in grado cioè di estrarre la componente più alcolica di una bevanda come quelle che hanno conosciuto una fermentazione alcolica. Da qui nacque la tequila, che prende il nome dall’omonima cittadina dove è stata distillata per la prima volta. Da citare anche la famosa variante del mescal, ottenuto usando solo la parte centrale dell’agave, l’espadin.
Restando nel campo culinario, un altro uso che sempre più è di moda anche in Europa è quello dello sciroppo di agave.
Si tratta di un prodotto simile allo sciroppo d’acero, anche se il colore è solitamente più chiaro. Trattandosi di uno sciroppo, il contenuto zuccherino è molto elevato (circa due terzi disciolti in acqua) e vede una grossa percentuale di fruttosio libero. Facendo un piccolo passo indietro: lo zucchero da tavola è saccarosio puro e una volta digerito si scinde, liberando tante molecole di glucosio quante sono le molecole di saccarosio da cui origina. Il suo indice glicemico è quindi molto elevato.
Per quanto riguarda invece lo sciroppo d’agave l’indice glicemico è limitato, proprio grazie alla predominanza del fruttosio rispetto al glucosio, una caratteristica molto importante per esempio per una persona diabetica.
L’altro fattore che è sempre più apprezzato è la sua origine totalmente vegetale, a differenza del miele che coinvolge la partecipazione delle api per la produzione, strizzando l’occhio ai vegani. Va ricordato che il fruttosio è più dolce del saccarosio, per questo motivo lo sciroppo d’agave risulta molto dolce e non bisogna esagerare, anche per non sovraccaricare metabolicamente il fegato. Inoltre, dal momento che si tratta comunque di una miscela di zuccheri, rappresenta un alimento altamente calorico, a differenza di altri dolcificanti come l’aspartame che però sono contraddistinti da altri rischi nutrizionali.
Un altro utilizzo che tutti inconsapevolmente conosciamo è quello delle fibre dell’agave.
Queste possono raggiungere lunghezze importanti e, una volta seccate, essere impiegate nel settore tessile. Il nome della fibra che ne deriva è sisal, come il porto messicano da cui in origine partiva questa merce.
Sin dalla preistoria venivano intrecciate corde in sisal, oggi ancora lo facciamo. Ovviamente la tecnica è stata implementata e gli utilizzi moltiplicati: dai tappeti e materiali edili, alle spugne per lo scrub, fino ai famosi tiragraffi per gatti.
Le fibre dell’agave sono infine anche protagoniste di una chicca per la sostenibilità.
La produzione di tequila prevede un ampio scarto di fibre che possono trovare nuova vita venendo trasformate in bioplastiche, all’interno di un’ottica di economia circolare. Questa tecnologia è stata studiata e applicata dalla Jose Cuervo Tradicional, un famoso brand che produce il distillato più famoso del Messico. La bioplastica derivante dagli scarti di agave è stata impiegata per la produzione di cannucce biodegradabili, in grado di degradarsi naturalmente entro 1-5 anni.
Immagine di copertina:
Taylor Simpson
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