Hiroshima Appeals, ottant’anni dopo la mostra che denuncia l’uso dell’arma nucleare. Genova, Museo Chiossone.

Hiroshima Appeals, ottant’anni dopo la mostra che denuncia l’uso dell’arma nucleare

Sono 29 i manifesti in esposizione per “lanciare un monito anche al di fuori del Giappone, affinché tali errori non vengano mai più ripetuti”.
10 Ottobre 2025
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L’orologio ticchettava, segnando fedelmente l’ora anche quel 6 agosto. Era una mattinata tranquilla, finché, alle 8:15, il cielo sopra Hiroshima si colorò di rosso e un lampo spazzò via tutto ciò che trovava sul suo cammino: oggetti, edifici, strade, persone.

Sono passati anni da quel giorno, ma ciò che non è passata è la minaccia che, prima o poi, le armi nucleari annientino tutto quanto. 

In occasione dell’80° anniversario del bombardamento atomico su Hiroshima e Nagasaki, giunge a Genova una mostra temporanea per trasmettere un messaggio universale di pace e speranza per il futuro.

È questo l’obiettivo che si prefigge “Hiroshima Appeals. Messaggi di pace”, curata dalla dottoressa Miki Shimokawa e allestita al museo d’arte orientale E. Chiossone fino all’11 gennaio: in esposizione, 29 manifesti di denuncia ideati dalla Japan Graphic Design Association (JAGDA) e alcuni poster documentaristico-didattici provenienti dall’Hiroshima Peace Memorial Museum.

“Credo sia essenziale non solo trasmettere alle generazioni future i numerosi e straordinari risultati dell’umanità – afferma Miki Shimokawa, curatrice della mostra – ma anche condividere gli errori e i tragici eventi del passato. In questo modo, desidero lanciare un monito anche al di fuori del Giappone, affinché tali errori non vengano mai più ripetuti”. 

Hiroshima Appeals, ottant’anni dopo la mostra che denuncia l’uso dell’arma nucleare. Genova, Museo Chiossone.
Hiroshima Appeals, “Burning Butterflies” di Yusaku Kamekura (1983), Museo d’Arte Orientale E. Chiossone. Foto di Lucia S.

L’iniziativa

Dal 1983, ogni anno, la Japan Graphic Design Association affida a un designer locale la creazione di un manifesto contro l’uso delle armi nucleari e, più in generale, la guerra: la prima opera, “Burning Butterflies” di Yusaku Kamekura, primo presidente della JAGDA e figura di spicco del graphic design giapponese, rappresenta delle farfalle in fiamme che precipitano nel vuoto, a indicare la bellezza che si spegne, soppressa dal fuoco.

“Avendo vissuto in prima persona l’esperienza della guerra e del bombardamento, Kamekura riteneva che il messaggio pacifista e antinucleare non dovesse essere trasmesso con immagini ideologiche o aggressive – commenta Miki Shimokawa – Al contrario, ha cercato di comunicare il suo ideale tramite la potenza del design grafico, senza ricorrere a rappresentazioni letterali, convenzionali o legate alla politica e alla religione”.

Ottant’anni dopo il lancio della bomba atomica, la mostra che denuncia l’uso dell’arma nucleare. Genova, Museo Chiossone.
Hiroshima Appeals, “Burning Butterflies” di Yusaku Kamekura (1983), Museo d’Arte Orientale E. Chiossone. Foto di Lucia S.

Nonostante un’interruzione nel 1990 a causa della crisi economica, la campagna è stata ripresa nel 2005 in occasione del 60º anniversario della fine della Seconda guerra mondiale, non per conto di un cliente o a fini commerciali, bensì esclusivamente come appello alla fine di tutte le guerre.

“È così che la visione di Kamekura continua a vivere attraverso la JAGDA, che fino a oggi ha realizzato 29 manifesti, diversi per stile e resa, ma uniti da un unico messaggio: commemorare il bombardamento delle città di Hiroshima e Nagasaki e portare avanti un’idea duratura di pace e armonia”, racconta la curatrice.  

Tra le altre cose, i poster vengono esibiti ogni anno in un tour mondiale chiamato “Peace Poster Exhibition” in modo da contribuire a diffondere questo messaggio dentro e fuori i confini del Giappone.

“Fare in modo che tali tragedie non si ripetano più è una responsabilità che riguarda ciascuno di noi – afferma Shimokawa – Perciò, diffondere la consapevolezza di questi fatti a livello globale rappresenta un passaggio urgente e necessario: questi eventi non possono essere dimenticati”. 

La mostra era già stata allestita in Giappone, Germania e Austria, prima di approdare in Italia:

“ho sempre avuto l’impressione che, in Europa, le informazioni riguardanti i bombardamenti atomici fossero limitati, anche a causa della distanza geografica e della barriera linguistica – dichiara la curatrice – Oggi, le armi nucleari sono spesso evocate negli scontri geopolitici tra le grandi potenze e spero sinceramente di poter presentare i manifesti non solo in Italia, ma nella maggior parte di luoghi possibile”.

Un po’ di contesto storico: le bombe su Hiroshima e Nagasaki e i suoi effetti a breve e lungo termine

La mattina del 6 agosto 1945, precisamente alle 8.15, la prima bomba fu sganciata sul centro di Hiroshima, dove esplose a 600 metri dal suolo, mentre la seconda colpì Nagasaki il 9 agosto, alle 11.02.

L’esplosione creò una palla di fuoco del diametro di 280 metri e le aree furono esposte a temperature tra i 3 mila e i 4 mila gradi (basti pensare che la temperatura di fusione del ferro è di 1536 gradi), senza contare l’onda d’urto successiva, che raggiunse una pressione di 35 t/m e una velocità di 440 m/s.

Così, a Hiroshima, il 92% degli edifici venne distrutto: la maggior parte delle abitazioni venne spazzata via, i vetri si polverizzarono o si liquefecero e i muri delle case, colpiti dalle radiazioni, si scolorirono.

Le uniche tracce del colore originale si trovavano in corrispondenza dei punti coperti da persone e oggetti, quasi come ombre di ciò che era stato.

Ottant’anni dopo il lancio della bomba atomica, la mostra che denuncia l’uso dell’arma nucleare. Genova, Museo Chiossone.
Hiroshima Appeals, un dettaglio del poster “A Time Never To Be Forgotten, 815” di Katsumi Asaba (2009), Museo d’Arte Orientale E. Chiossone. Foto di Lucia S.

Dal punto di vista delle perdite umane, i bombardamenti portarono rispettivamente alla morte di circa 140.000 e 70.000 civili a Hiroshima e Nagasaki per ustioni e altre lesioni provocate dall’onda d’urto, dalla radioattività e dalla cosiddetta “pioggia nera”.

Le conseguenze dell’esplosione sono rimaste evidenti per decenni e, nonostante oggi il livello delle radiazioni sia nella norma, i sopravvissuti, noti come “hibakusha”, continuano a soffrire di tumori e gravi complicazioni di salute causate dalle radiazioni primarie e residue, che sono andate a influire anche sui feti.

“Per coloro che non hanno mai vissuto gli orrori della guerra, l’unico modo per comprendere la paura è attraverso le circostanze del passato – sostiene la curatrice della mostra – La storia è un testimone insostituibile e imparare da essa e da coloro che la compongono è fondamentale per sensibilizzare le nuove generazioni e, per quanto possibile, prevenire tragedie future”.

I sopravvissuti al bombardamento: alcune storie e testimonianze

Secondo alcuni dati riportati da “Il Post”, a marzo del 2025, gli “hibakusha” riconosciuti ufficialmente in Giappone toccavano quota 99.130, con un’età media di 86 anni.

Anche a livello psicologico, i danni riportati dai superstiti sono stati profondi: tra le altre cose, sono stati per molto tempo vittime di pregiudizi, discriminazione e isolamento sociale per paura che potessero essere contagiosi.

“Anche se diplomata, a causa dei cheloidi sul mio viso non riuscii a trovare lavoro – si legge in una testimonianza proveniente dall’Hiroshima Peace Memorial Museum – Quando ero in età da marito, ero stata etichettata come non adatta al matrimonio, proprio per il rischio di avere aborti spontanei o morte del feto, causati dalle radiazioni”.

O ancora: “nel 1991, mi recai in Germania, dove parlai della mia esperienza in una scuola. Notai che gli insegnanti non mi si avvicinavano nemmeno. Quando chiesi loro il motivo, mi dissero che avevano paura di venire contaminati dalle radiazioni”.

A oggi, Hiroshima e Nagasaki restano le uniche città al mondo su cui siano mai state sganciate delle bombe atomiche.

Tuttavia, nella situazione attuale, i conflitti armati continuano e non si può escludere la possibilità che vengano impiegate armi nucleari, dal momento che se ne continuano ancora a sviluppare di nuove.

“Il 2025 segna l’80º anniversario dei bombardamenti su Hiroshima e Nagasaki – ricorda la curatrice Miki Shimokawa – Attraverso quest’esposizione, speriamo di trasmettere al pubblico in Italia e in tutta Europa le gravi conseguenze delle armi nucleari: distruzione, morte, devastazione ambientale e gravi effetti sulla salute a lungo termine”.

Ottant’anni dopo il lancio della bomba atomica, la mostra che denuncia l’uso dell’arma nucleare. Genova, Museo Chiossone.
Hiroshima Appeals, “The Weight of Hiroshima” di Taku Satoh (2018), Museo d’Arte Orientale E. Chiossone. Foto di Lucia S.

“Ogni poster di Hiroshima Appeals racchiude i pensieri e le intenzioni del proprio autore, ma io sceglierei quello del 2025 di Issay Kitagawa, che presenta la sola parola “peace” (pace) all’interno di uno spazio bianco vuoto – racconta Miki Shimokawa – Credo che sia l’immagine che parla, nel modo più diretto, al cuore di ognuno, oltre i confini, le religioni e le razze”.

Anche se, a un primo sguardo, i poster possono apparire distanti dalla crudezza della realtà, basta osservare più da vicino per cogliere l’immagine appena accennata di un fungo atomico dietro a una colomba o la “pioggia nera” e la cenere che vanno via via a coprirla, l’orologio carbonizzato o il vestito strappato incastonati nel layout. Insomma, un messaggio struggente nascosto sul foglio bianco. 

A volte, per non commettere gli ennesimi errori nel presente, basterebbe voltarsi poco più indietro nella storia.

“È veramente difficile – si legge in un’ultima testimonianza proveniente dall’Hiroshima Peace Memorial Museum – Ma sono convinto che il mio compito sia quello di raccontare ai giovani la storia di coloro che dovettero morire senza motivo. Vorrei parlare loro della disumanità e della crudeltà della guerra e della sofferenza dei sopravvissuti”.

Hiroshima Appeals, ottant’anni dopo la mostra che denuncia l’uso dell’arma nucleare. Genova, Museo Chiossone.
Hiroshima Appeals, locandina della mostra. Fonte Museo d’Arte Orientale E. Chiossone

Immagine di copertina:
Fonte Museo d’Arte Orientale E. Chiossone


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Martina PA.

Classe 2000, si è laureata alla magistrale di Informazione ed editoria all’Università di Genova. Da linguista, la affascina tutto ciò che riguarda la cultura araba. Nel tempo libero, adora leggere e gestisce il blog letterario 20mila libri sotto i mari. Sogna, un giorno, di coniugare il giornalismo e la lotta sociale, in particolare quella femminista.

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