Museo Chiossone

Musei e Covid: l’esperienza del Museo Chiossone

Come hanno affrontato la pandemia i musei? Abbiamo analizzato il caso del Museo Chiossone parlandone con la sua direttrice, la dottoressa Canepari.
22 Gennaio 2021
5 min
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È inutile girarci intorno: il 2020 è stato un anno difficile. Tutti i settori, nessuno escluso, sono stati colpiti.

Per quanto riguarda il settore culturale, più nello specifico quello museale, il 2020 ha costretto i musei di tutto il mondo a chiudere le loro porte per periodi di tempo indeterminati, al fine di contribuire a contenere la diffusione del virus.

Questa situazione ha generato incertezze e al tempo stesso suscitato domande: come sono cambiate le attività dei professionisti museali quando l’apertura al pubblico, servizio alla base dell’identità del museo, era impossibile? Come si sono adattate le istituzioni culturali a questa nuova forma di contatto, quella virtuale? Si possono trarre degli insegnamenti da questo annus horribilis?

Per avere risposte concrete bisogna relazionarsi a realtà concrete. Per questo motivo abbiamo intervistato la direttrice del Museo d’Arte Orientale Edoardo Chiossone, la dottoressa Aurora Canepari.

Originaria di Reggio Emilia, Aurora Canepari, mossa da una passione giovanile per i manga, si iscrive all’Università Ca’ Foscari di Venezia per studiare giapponese. Durante il percorso universitario approfondisce non solo la lingua e la cultura del Giappone, ma anche la storia, l’arte, la religione, la letteratura e la filosofia di questo paese.

Nel 2014 ottiene la laurea magistrale in Lingue e Civiltà dell’Asia e dell’Africa Mediterranea, indirizzo giapponese, e nel 2015 vince la selezione per diventare operatrice volontaria di Servizio Civile Nazionale proprio presso il Museo Chiossone, di cui viene a conoscenza tramite l’università veneziana che incoraggia caldamente i suoi studenti a partecipare a questa esperienza. 

Assieme a una sua collega di Ca’ Foscari, anch’ella vincitrice del bando per servizio civile, la dottoressa Canepari mette a frutto la conoscenza acquisita del mondo nipponico. Infatti, sebbene il museo si presenti come d’arte orientale, il nucleo della sua collezione consiste in artefatti giapponesi o in ogni caso, opere di arte orientale acquistate in Giappone dallo stesso Chiossone.

Terminato l’anno di servizio civile, continua a collaborare con il museo e vince la borsa di dottorato in Studi sull’Asia e sull’Africa presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Infine, nel 2018, vince il concorso per esami per il ruolo di direttore del Museo d’Arte Orientale Edoardo Chiossone.

I Musei Civici di Genova fanno capo alla Direzione dei Beni e delle Attività Culturali, perciò coloro che chiamiamo direttori dei musei (che in questo articolo continueremo a chiamare tali per coerenza) sono più propriamente considerati responsabili delle strutture e curatori delle collezioni. Come la dottoressa Canepari osserva, si tratta quindi di una posizione equiparabile a quella del conservatore, piuttosto che di una funzione organizzativa. 

In sostanza le mansioni della direttrice di un museo civico consistono nella programmazione museale, nel tutelare la struttura, conservarne le opere, assumersi la responsabilità del personale museale e studiare la collezione. 

Naturalmente, tutto questo prima dello scoppio della pandemia. 

L’avvento del covid-19 non solo ha imposto la chiusura del museo, ostacolando così persino le primarie attività di conservazione, ma ha anche stravolto il calendario delle attività.

Le mostre in programma sono saltate, le collaborazioni avviate sono state sospese. La riapertura dopo il primo lockdown è stata lenta e faticosa: da una parte la maggioranza del personale di custodia del museo appartiene alle fasce tutelate e quindi non poteva essere richiamato in servizio, dall’altra le tempistiche necessarie per indire un bando d’appalto per garantire i servizi di sanificazione essenziali per rendere gli ambienti museali visitabili si sono protratte nel tempo.

Museo Chiossone
Festival della Scienza, Museo Chiossone. Foto di Bruno Olivieri e Lorenzo Gammarota

Questi due fattori hanno fatto scivolare la riapertura al 16 ottobre, facendo così perdere al museo la stagione turistica. Nelle poche settimane di apertura, anche gli eventi programmati, come la partecipazione al Festival della Scienza, hanno visto una significativa riduzione. 

Una delle prove più ardue che il covid ha costretto i musei ad affrontare è stata la necessaria e sistematica adozione di strumenti di comunicazione online; necessità che alcuni hanno percepito come improvvisa e pressante, ma in realtà ormai imprescindibile da tempo.

La direttrice ci ha raccontato del lungo viaggio alla riscoperta del potente strumento chiamato Facebook.

Innanzitutto, ci ha spiegato perché questo social media è così popolare tra i musei. In primo luogo, molte istituzioni culturali possedevano già una pagina Facebook. Secondariamente, la fascia d’età degli utenti che più utilizzano questo medium coincide spesso con quella del pubblico dei musei. Infine, esso offre diverse alternative di comunicazione: testi, foto, video e possibilità di dilungarsi nelle spiegazioni.

La pagina Facebook del Museo Chiossone esisteva già da diversi anni e veniva utilizzata per promuovere gli eventi del museo. A partire da marzo, partecipando alle iniziative online organizzate dal MiBACT e dall’ICOM, il Chiossone ha preso sempre più confidenza con questo canale, aumentando la cadenza dei post, rafforzando da remoto il legame con i visitatori che di solito frequentavano il museo e raggiungendo un pubblico sempre più ampio e vario.

Andando per tentativi, analizzando i dati e rivolgendosi direttamente anche al pubblico virtuale per chiedergli cosa desiderasse vedere pubblicato, la pagina del museo ha visto crescere i like, le condivisioni e la recettività dei post. La natura dei contenuti è diventata più variegata: non solo arte giapponese, ma anche cultura, lingua e letteratura. 

La ricetta del successo?

Prendere esempio da buoni modelli (nel caso del Chiossone i riferimenti, ci svela Canepari, sono il Museo d’Arte Orientale di Venezia e il Sumida Hokusai Museum) e svolgere questo lavoro di ricerca e divulgazione con la massima serietà scientifica.

Inoltre dopo l’estate, il museo ha avviato tirocini con studenti di Ca’ Foscari, i quali hanno ideato e portato avanti rubriche, sempre sotto la supervisione della direttrice, focalizzate su diversi aspetti della cultura giapponese.

Questo ha contribuito a portare nuove idee, dando un ulteriore slancio alla strategia comunicativa del museo.

In definitiva, che cosa ha imparato il Museo Chiossone da questa esperienza?

Sicuramente a trasmettere e presentare la collezione in maniera diversa, creando collegamenti che prima non erano pensabili o possibili, grazie a una nuova padronanza degli strumenti di comunicazione online, le possibilità che offrono e il loro linguaggio.

Infine, il museo ha avuto ulteriore conferma dell’importanza del proprio pubblico e della necessità di mantenere vivo il legame con esso.

In generale, questo è un concetto importante che tutti i musei, si spera, abbiano compreso.

Infatti, se nel passato si poteva considerare il museo come struttura dove venivano conservati e mostrati antichi reperti, adesso è sempre più un luogo sociale.

Secondo Canepari, i visitatori vengono al museo per incontrare altre persone, che siano altri visitatori o il personale museale e prendere parte a laboratori e a visite guidate. Vengono per fare esperienze, creare ricordi e imparare.

La missione del museo e dei professionisti che vi lavorano consiste non solo nel conservare e tutelare le collezioni, ma soprattutto nel veicolare e spiegare al pubblico il loro valore e il significato. Senza il pubblico, il museo rimane un contenitore. 

E quale futuro aspetta il Museo Chiossone?

Dopo la pandemia, l’intenzione della direttrice Canepari è quella di continuare e intensificare le collaborazioni già avviate con le varie associazioni territoriali. Lo scopo è di riallacciare i legami tra il museo e il territorio per far passare l’idea che il Museo Chiossone è sì un museo d’arte orientale, ma è soprattutto un museo genovese: non bisogna dimenticare che il Museo d’Arte Orientale è nato proprio dalla volontà di un genovese, Edoardo Chiossone, di rendere la sua ricca collezione fruibile per i suoi concittadini. 

In un certo senso, si può quindi dire che il Museo Chiossone vede il suo realizzarsi nel pubblico, genovese e non, che si è susseguito nei decenni in una grande varietà di tipologie: da scolaresche a studiosi, da bambini ad anziani e da visitatori in carne ed ossa a visitatori virtuali.

Immagine di copertina:
Terrazza di palazzo rosso, Genova. Veduta sul Museo Chiossone. Foto di Sailko


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