Spesso, quando ci si indigna per situazioni di evidente discriminazione sociale, razziale o sessuale, ci si infiamma al grido di “Questo paese sta tornando al Medioevo!”. Certamente non è un mistero per nessunə che la società medievale non brillasse per inclusione ed equità, soprattutto per quanto riguarda la condizione della donna.
La convinzione diffusa in questa epoca era che il genere femminile fosse fragile, incostante e bisognoso di guida. Al tempo stesso, le donne erano presentate come esseri malevoli, pronti a peccare e indurre in tentazione. L’unico modo che queste creature avevano per redimersi della loro debole natura e raggiungere la salvezza era quello di porsi sotto la protezione e il controllo di uomini, che fossero padri, mariti o figure religiose e rimanere silenziose, caste, pure e confinate nelle mura di casa.
Questo è infatti il quadro confermato dai primi capitoli del libro Donne Medievali: sole, indomite e avventurose (Ed. Il Mulino 2021) di Chiara Frugoni, normalista e professoressa di Storia Medievale presso l’Università di Pisa e l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata.
Nella prima parte di questo raffinato volume corredato da preziose e puntuali illustrazioni, la professoressa Frugoni condivide le conoscenze e gli studi di una vita con il grande pubblico. In queste pagine viene descritta la condizione generale della donna medievale e si approfondiscono alcuni temi come l’utilità politica dei matrimoni, la “sfortuna” di nascere femmina e le considerazioni intorno al corpo delle donne.
Nella seconda parte del libro, tuttavia, la prospettiva si allarga e sono presentati cinque esempi di donne esemplari che sembrano andare contro corrente.
Di queste donne e delle loro sorelle spirituali abbiamo avuto occasione di parlare un venerdì sera.
Maria T: Il focus del suo libro ruota attorno a queste cinque figure femminili a loro modo eccezionali.
Sappiamo però che nel panorama medievale, per quanto desolante, le donne che hanno lasciato un segno fossero molte di più. Come mai solo cinque figure e perché proprio loro?
Professoressa Chiara Frugoni: Premetto che una scelta era necessaria perché nel Medioevo di donne famose e piene di talento ve ne sono moltissime. Le motivazioni di questa selezione sono varie.
In primo luogo, volevo evitare di parlare di donne già largamente conosciute, come per esempio Ildegarda di Bingen (1098 – 1179), monaca benedettina tedesca famosa per le sue visioni mistiche, ma anche teologa, erborista, linguista e drammaturga. Sulla sua figura sono stati scritti innumerevoli volumi ed ero consapevole che per aggiungere elementi nuovi e non scontati al dibattito occorreva una preparazione specifica che non possiedo. Infatti, le donne che ho scelto corrispondono a personaggi che avevo già studiato approfonditamente. A un certo punto ho pensato fosse arrivato il momento di condividere con le lettrici e i lettori quel che mi sembrava di aver compreso.
Inoltre, tramite questa selezione ho anche cercato di far capire quanto fosse varia e diversa la categoria di donne che per certe loro condizioni e qualità si sono distinte nel Medioevo e la cui memoria è giunta a noi.
Ho deciso infatti di parlare della monaca Radegonda (518 – 587), di nobili origini e fondatrice del monastero di Poitiers, perché lontanissima nel tempo. Oltre a ciò, mi interessava il fatto che fossero giunte a noi due sue biografie: una scritta dal vescovo Venanzio Fortunato e una dalla consorella Baudovinia. La differenza che emerge dal confronto dei due testi è interessante, soprattutto se si considera la rarità di una biografia scritta da una donna e la possibilità di leggere una testimonianza diretta che non sia stata mediata dalla voce di un uomo.
La seconda donna di cui ho parlato è Matilde di Canossa (1046 – 1115), potente nobile donna e vicaria imperiale. Questa figura è molto conosciuta e studiata per il suo affacciarsi nella Storia degli uomini. E invece in questo capitolo mi sono soffermata sulla sua vita privata per valutare il prezzo che ha dovuto pagare per poter ottenere un ruolo politico, ovvero rinunciare a una vita sentimentale. Questo per dimostrare l’entità dei sacrifici realizzati dalle donne per poter giungere a certi gradi di potere solitamente occupati da uomini.
Poi ho scelto la papessa Giovanna (IX secolo?), che secondo la leggenda governò sul seggio papale tra il 853 e il 855. Non è mai esistita, ma è comunque riuscita a terrorizzare la Chiesa per secoli. E la terrorizza tuttora, se si pensa che l’accesso al sacro alla donna è ancora impossibile. Questo è un lascito del Medioevo che è solo culturale. Non capisco perché una donna non possa dire messa. Non ha nessun senso.
Mi sono poi risollevata il morale con Christine de Pizan (1364 – 1430), la prima scrittrice donna di professione. L’ho trovata geniale nel suo modo di riuscire a diventare famosa attraverso la sua cultura, i suoi scritti, la sua ironia e il suo sapersi vendere. Il suo testo più famoso, Livre de la Cité des Dames, è ancora in commercio, ed è una lettura che consiglio vivamente a tutte e tutti per via della sua attuale contemporaneità.
La quinta donna, Margherita Datini (1360 – 1423), è quella che per me è stata la scoperta più grande. Dopo tutte queste donne eccezionali e potenti, volevo scrivere di una donna comune. Di lei abbiamo conoscenza grazie alle numerose lettere scambiate con il marito commerciante. Nella sua ordinarietà, la sua intelligenza, umanità e autoconsapevolezza mi sono sembrate straordinarie.
Infine, in tutta onestà, ho scelto di parlare di queste cinque donne, perché mi stavano simpatiche. Avrei voluto volentieri passare un pomeriggio a chiacchierare con Christine de Pizan o Margherita Datini.
MT: Vorrei ora entrare nel vivo del discorso e parlare di alcune tematiche da lei affrontate.
Nel capitolo dedicato a Radegonda, si confrontano due biografie: una scritta dal vescovo Venanzio, la seconda dalla consorella Baudovinia. Ne emergono due Radegonda molto diverse. La monaca descritta da Venanzio è una donna estremamente religiosa, che conduce una vita ascetica distaccata dal mondo terreno e che si autoinfligge severe punizioni corporali. La Radegonda presentata da Baudovinia è più umana, curiosa del mondo circostante, nutre lɜ pellegrinɜ e non disdegna una partita a dadi. Inutile sottolinearlo, la versione di Radegonda proposta dal vescovo è quella più diffusa e accettata.
Dunque, perché per riconoscere il valore e il potere di una donna, la sua figura e le sue azioni devono essere presentate da uomini o rispondere a criteri prestabiliti da autorità maschili?
Prof. CF: Perché la cultura era essenzialmente monopolio degli uomini e della Chiesa e doveva obbligatoriamente passare sempre da loro. Faccio un esempio.
Dopo che San Francesco ha ricevuto le stimmati, questo segno divino si è manifestato praticamente solo sul corpo delle donne. Perché? Perché per essere ascoltate le donne necessitavano di una prova tangibile. Dovevano essere in grado di dimostrare che le loro visioni fossero ispirate dal divino e non, per esempio, dal demonio.
Al contrario, un uomo non aveva bisogno di questi strumenti: il suo statuto di maschio era già sufficiente. Dunque, la donna aveva sempre bisogno di un’autorizzazione maschile e religiosa (condizioni che nel Medioevo spesso coincidevano) per poter essere accettata.
MT: Un altro tema ricorrente è che spesso, per ricevere una degna considerazione, le donne si trasformavano, fisicamente o metaforicamente, in uomini.
Matilde di Canossa viene definita dai suoi detrattori una femmina lussuriosa e peccatrice, mentre i suoi sostenitori la presentano come virago, donna-uomo, per via della sua fermezza e autorità politica [NB: non si è usato casualmente il maschile universale in questo contesto!].
La papessa Giovanna raggiunge vette di potere altissime grazie al suo camuffamento da uomo. Nel prologo di uno dei suoi testi, Christine de Pizan racconta di un sogno dove il suo corpo diventa più snello e agile e la sua voce più profonda: è diventata un uomo, metafora che usa per indicare l’aver preso il controllo della propria vita.
Prof. CF: Sì, però nel caso di Christine, ella perde l’anello nuziale e decide di non sposarsi mai più. Christine aveva infatti perso il marito da giovane e ciò l’aveva spinta a investire le sue energie nella carriera di scrittrice per poter mantenere la sua famiglia.
Quindi a mio parere, il sogno non vuol dire che lei si sente un uomo: Christine ha assunto l’autoconsapevolezza di valere tanto quanto un uomo. Giunge alla conclusione di non avere più bisogno di un uomo. Questo mi sembra un bell’esempio di autoderminatezza.
MT: Concentriamoci allora sull’unione matrimoniale tra donna e uomo.
Radegonda si è sposata, ma è nel momento in cui si separa dal marito che fonda il monastero e si dedica alla politica. Anche Matilde di Canossa, una volta lasciato il marito in terra tedesca, intraprende una carriera politica di un certo peso.
E se l’amato marito di Christine non fosse morto, potremmo oggi godere dei suoi scritti? E d’altra parte, la gravidanza della papessa Giovanna che ha posto fine alla sua carriera ecclesiastica, non è forse da incolpare a un uomo? Insomma, per dispiegare le proprie potenzialità, le donne devono affrancarsi dagli uomini?
Prof. CF: Non è un caso infatti che la maggior parte delle donne che sono riuscite ad esprimere i loro talenti fossero monache. Il motivo? Con le parole di Virginia Wolf: avevano una stanza per sé.
Fra le mura del monastero, erano protette, mantenute, nessun uomo poteva insidiarle o far loro del male e di conseguenza avevano un’aspettativa di vita più lunga, che combinata con l’accesso a una biblioteca, permetteva loro di seguire le loro disposizioni.
In queste condizioni, la donna era come un fiore: o rimaneva un bocciolo oppure sbocciava.
MT: A proposito di biblioteca…
Oltre a essere autodidatta, Christine de Pizane incoraggia le donne a studiare e formarsi, Radegonda adotta nel suo monastero la regola di Arles, che prevedeva l’insegnamento della scrittura e della lettura a tutte le monache e viene riportato che grazie alla sua immensa cultura la papessa Giovanna scalò tutti i gradi del potere religioso…
Che ruolo ha svolto l’istruzione nell’emancipazione della donna?
Prof. CF: Fondamentale. Christine dice infatti che finchè anche le bambine non vengono mandate a scuola non ci potrà essere parità tra maschi e femmine.
MT: Per finire le domande sul suo libro, vorrebbe proporre qualche riflessione che non ha trovato spazio tra le sue pagine?
Prof. CF: Un aspetto che vorrei sottolineare è questo mio modo un po’ diverso di fare storia medievale. Sin dalla tesi di laurea ho messo insieme i testi e le immagini perché ho sempre pensato che le immagini, se ben interrogate, diano informazioni che nei testi non si trovano, a volte in maniera molto immediata.
Un esempio: nella miniatura del 1270 dove si vedono Adamo ed Eva, il serpente ha il volto di donna e un’acconciatura del tempo del miniatore. Che cosa ci vuol dire?
Che, dai tempi di Eva fino alla contemporaneità, tutte le donne sono peccatrici. In una piccola miniatura subito si chiude il concetto che la donna corrisponde al male più grande da sempre.
MT: Quali sono le differenze e le similitudini tra la condizione della donna nel Medioevo e quella di adesso?
Prof. CF: Sono molte, perché le società sono cambiate e abbiamo fatto diversi passi in avanti. Tuttavia, penso che la parità non sia ancora stata raggiunta. La differenza è che oggi è più semplice essere consapevoli di questa ingiustizia. L’altra grande differenza è che ci sono molto più possibilità di studiare (almeno per quanto riguarda l’Occidente) e ciò permette di sviluppare una maggiore autoconsapevolezza.
Penso anche di aver scritto questo libro perché mi sarebbe piaciuto che anche delle ragazzine, leggendolo, capissero che legame c’è tra il passato e il presente, le rendesse più coscienti e questo le spingesse a essere più autonome.
MT: Parlando di legame tra presente e passato, cosa si potrebbe rispondere a coloro che a sproposito affermano indignatɜ: “siamo tornati ai secoli bui del Medioevo”?
Prof. CF: La frase “i secoli bui” è stata usata da Indro Montanelli ed è perfetta nel suo uso giornalistico, ma non ha senso per vari motivi.
In primis perché il Medioevo comprende mille anni e chiaramente il tempo dei Longobardi e il XIV secolo sono imparagonabili. Quali sono i secoli bui esattamente? Non si sa.
In secondo luogo, il secolo appena passato ha visto due guerre mondiali, i campi di concentramento e la bomba atomica. Questo invece è un secolo luminoso? Mi pare di no.
Infine, se il Medioevo ha le sue colpe, come mai non si parla mai delle nefandezze accadute durante il Rinascimento? Nessuno si scandalizza della caccia alle streghe (fenomeno rinascimentale!) e dei livelli altissimi di corruzione raggiunti dalla Chiesa.
Per chi fa queste generalizzazioni, il Medioevo diventa un luogo dell’irrazionale, una sorta di sgabuzzino dove stipare tutte le cose che non ci piacciono, delegarle a un tempo passato e pensare che non ci appartengono più. È un meccanismo per discolparsi. Ma l’idea di Medioevo non si può appiattire a ció.
Per questo ho scritto Medioevo sul naso. Occhiali, bottoni e altre invenzioni medievali (Ed. Laterza 2014), un volume dedicato a tutte le invenzioni medievali che hanno viaggiato nei secoli e sono giunte a noi, compresi gli occhiali, inventati nel 1280. Chiunque porti gli occhiali porta un po’ di Medioevo sul naso.
Immagine di copertina:
wall:in media agency con illustrazione di Martina Spanu
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