“Ma veramente a noi non risulta…”.
“Ah, no?”.
“Se ha le prove, che le porti in Questura e in Prefettura.”
Questo in estrema sintesi il botta e risposta lunare tra le Istituzioni dello Stato – Questura e Prefettura – e la Sindaca di Genova, non più di 14 anni fa. Sì, tra lo Stato e la Sindaca. Siamo nel 2009, il primo giorno di primavera.
Oggi, affermare che la mafia a Genova non esista, sembra uno scherzo amaro. Eppure qualcuno ha affermato ciò. Ripercorriamo qualche passo assieme.
21 marzo 2009: la marcia di Libera per la “Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie” si svolge a Napoli. Essa non è ancora festa ufficiale, ma già posto di azione potente e capace di infondere fiducia e forza a chi vi partecipa, una sorta di alto e autorevole pulpito da cui mandare messaggi e declamare parole di verità.
Diciamolo già e ancora una volta: “grazie Libera, grazie Don Ciotti!” per averlo creato e reso sì credibile.
Dicevamo, il 21 marzo 2009 a Napoli, la allora Sindaca di Genova, Marta Vincenzi, affermò con parole finalmente chiare e inequivocabili: «La mafia si sta mangiando interi quartieri di Genova». Fu il putiferio.
«Non abbiamo alcuna denuncia né dati che ci spingano a ipotizzare l’esistenza di infiltrazioni mafiose serie a Genova, come invece accade in altre zone della Liguria, specie nel Ponente»:
parole di Anna Maria Cancellieri, allora Prefetta di Genova, successivamente Ministra dell’Interno nel Governo Monti (2011-2013, ruolo da dove il 9 ottobre 2012 promosse lo scioglimento per infiltrazioni mafiose del Comune di Reggio Calabria, primo Capoluogo di Provincia sciolto, suscitando non poche polemiche, lancia in resta Angelino Alfano, allora leader del PdL e successore proprio di Cancellieri al Viminale) e Ministra della Giustizia nel Governo Letta (2013-2014), già Vice Presidente del Consiglio di Amministrazione di AMT Genova (da giugno a novembre 2011).
«A Genova non esistono gravi problemi relativi a estorsioni o infiltrazioni della mafia. Se lo dice il Sindaco, però, può darsi che abbia notizie a noi sconosciute: la incontreremo per parlarne. Da parte nostra l’attenzione è alta ma non emergono situazioni di particolare pericolosità»:
parole di Salvatore Profiti, Questore di Genova, che pochi mesi dopo, a giugno 2008, firmò un “Patto per la Sicurezza del Tigullio” in Comune a Lavagna, la stessa Lavagna sconvolta pochi anni dopo – ma per azioni già in essere – da indagini e processo “I Conti di Lavagna”.
Eppure la Sindaca aveva argomentato la sua dirompente dichiarazione:
«Non vorrei che passasse il messaggio sbagliato: Genova per molti aspetti sta rinascendo, il centro storico è vivo, ma noi sappiamo che ci sono famiglie vicine ad ambienti di ‘ndrangheta che stanno facendo incetta di appartamenti. Decine di bassi che poi vengono destinati alla prostituzione. E locali che vengono acquistati per riciclare denaro o magari spacciare cocaina».
E d’altronde la Sindaca, dotata di personalità forte, ma certamente usa vivere in un’alta torre eburnea, non aveva svolto indagini particolari,ma annotava due elementi incontrati già nel primo anno del suo mandato.
Uno sperimentale, provato sul campo:
«Molti negozi chiudono. Certo, per la crisi, ma non soltanto. C’è dell’altro. Chi vuole lavorare in modo pulito riceve messaggi inquietanti, a volte minacce. […] Il Comune ha presentato un bando di concorso riservato alle imprese che volevano insediarsi nel quartiere della Maddalena. Era un’occasione importante per distribuire fondi che sviluppassero l’attività economica, un milione e trecentomila euro. E com’è finita? Il bando è andato deserto. Sono preoccupata, non vorrei che i fondi andassero persi o, peggio, finissero nelle tasche della criminalità organizzata. […] Basta girare per la città, ascoltare la gente per accorgersi che qualcosa di insidioso sta accadendo. Alcuni mi parlano di richieste di pizzo. Purtroppo, però, pochi fanno denuncia».
Uno più documentale, anche meno analitico:
«Basta leggere le ultime relazioni della Commissione antimafia, Genova e altre città del Nord sono diventate terra di conquista per la criminalità organizzata».
Precisa proprio sul punto la risposta del Questore:
«A Genova non esiste l’humus sociale di certe Regioni del sud. I genovesi denunciano qualunque illegalità si trovino di fronte. In passato ci sono state alcune estorsioni ma sono state subito denunciate e sventate».
Ricostruzione delle vicende
Tralasciamo in questa sede il pregiudizioso e infondato luogo comune espresso dal questore nei confronti della popolazione italiana meridionale, magari ne riparleremo un giorno. Proseguiamo la ricostruzione delle vicende.
Stizzita, se è consentito dirlo, la risposta della Prefetta:
«Il Sindaco non ha mai fatto alcuna segnalazione e non ha mai chiesto la convocazione del comitato per l’ordine e la sicurezza per discutere di questi problemi. In passato ci sono stati alcuni episodi sporadici subito risolti e non legati alla criminalità organizzata. Non ci risultano neppure tentate estorsioni ai danni dei commercianti. Le dichiarazioni del Sindaco mi lasciano stupefatta: in ogni caso, poiché lei ha detto che si rivolgerà al ministro, approfondiremo la questione».
Oggi possiamo affermare che la Sindaca Marta Vincenzi aveva ragione – purtroppo, visto l’oggetto delle dichiarazioni.
Marta Vincenzi rivestiva l’incarico di Sindaca di Genova, sesta Città del Paese, primo o secondo porto italiano, città del Nord quindi presunta integra dalle mafie. Vincenzi scelse – sola, abbandonata da istituzioni, partiti, persone – di esporsi e affermare ciò che non si diceva ancora, o forse non si voleva dire.
Ricordiamo pure le vibranti parole del giornalista de Il Sole 24 Ore Roberto Galullo, autore del prezioso e poderoso volume “Economia Criminale”, scritte sulla sua nota rubrica “Guardie o Ladri” il 26 marzo 2009:
“Ora io dico: ma può un amministratore comunale di lunghissimo corso – Vincenzi è stata consigliere comunale, assessore negli anni 90, presidente della Provincia, eurodeputato e infine sindaco – accorgersi solo il 21 marzo 2009 dell’esistenza delle mafie a Genova?.”
E lo sfogo va compreso, a dire di Galullo, poiché il suo articolo del 27 maggio 2008 già titolava a chiare lettere “Genova, l’ombra della ‘ndrangheta” [nda: testo in calce all’articolo del 26 marzo 2009].
E ricordiamo anche le parole, proprio di quegli stessi giorni, di Nando Dalla Chiesa (presidente onorario di Libera dal 2012 e prima tessera onoraria di WikiMafia, libera enciclopedia sulle mafie):
“Suggerirei dunque di assumere come primo riferimento, più che le opinioni dei singoli, la relazione della Commissione parlamentare antimafia del 2006 [nda: di cui Dalla Chiesa era stato Presidente, da Senatore eletto nel Collegio di Genova-Bargagli], l’ultima a chiudere un’intera legislatura di lavoro. Vi si trovano ben trentadue pagine [nda, ai fini della consultazione: pagg. 690-716] dedicate alla Liguria (più che all’Emilia; più che al Lazio), con numerosi riferimenti alla realtà genovese”.
Da cui emergono due dati: la dissonanza di opinione degli stessi protagonisti istituzionali circa l’esistenza in città della mafia, nelle sue varie forme; la buona incisività degli interventi comunque realizzati in diversi settori investigativi.
Il primo dato riflette il cronico dibattito delle regioni del nord: c’è/non c’è. E nulla lo illustra bene quanto la dichiarazione di una magistrata stimata come Anna Canepa. “Ho speso dieci anni della mia vita professionale per cercare il riconoscimento del reato di associazione di stampo mafioso a Genova”, diceva alla Commissione, ricordando di non essere riuscita a ottenere la condanna per tale reato contro noti emissari di Cosa Nostra.
Ma per fortuna, da allora a oggi, di processi se ne sono tenuti svariati e di condanne ne sono piovute «Il secondo dato» l’incisività di alcune operazioni – proseguiva Nando Dalla Chiesa:
«dimostra che la materia per intervenire c’era e si riproduceva a macchia di leopardo. Le organizzazioni mafiose qui non spadroneggiano sul territorio, non sono contigue alla politica, ma esistono e tendono a insediarsi ulteriormente per una pluralità di motivi, anche strategici (la Francia, il porto, la Versilia, ecc). Basta leggere gli atti, dunque. Molti nomi sono già lì, se il problema è quello. A me sembra però che il dibattito sorto dall’allarme-denuncia di Marta Vincenzi sia soprattutto un “già visto” in piena regola».
Quando Dalla Chiesa dice che è “un già visto” non dice certo una falsità.
Eppure è vero tanto che la vulgata comune in città – distante dalla realtà investigativa più ancora che da quella processuale, come ricordava Canepa – era che la mafia non ci fosse, quanto che da quella dichiarazione, chiara, inequivocabile e solitaria, tutto cambiò.
Nenti sacciu e nenti vitti
Riguardo alla vulgata comune, elemento di tessuto culturale sociale cittadino, viene utile ricordare che una delle tante iniziative promosse dal Comune di Genova a guida Marta Vincenzi, in collaborazione proprio con Nando Dalla Chiesa, consulente sin dal 2008 della Sindaca, fu “Genova Città dei Diritti”, che tra le altre promosse la realizzazione di un recital, commissionato all’attore genovese Fabrizio Matteini che venne intitolato “Che ci fa la mafia a Genova?”.
Un monologo, in parte recitato e in parte cantato: “Nenti sacciu e nenti vitti, nenti vitti iu un c’era, e si c’era iu durmia, e cu dormi nenti vidi”, così si apre lo spettacolo, coi primi versi della canzone “La mafia nun esisti” di Pino Veneziano, per restituire sin dall’incipit l’idea chiara del problema cardine alla base del cancro mafioso: l’omertà.
Lo spettacolo andò in scena per la prima volta a settembre 2012, con lo scopo di raccontare prima di tutto ai genovesi, e in particolar modo agli studenti delle scuole, nonché per alimentare il dibattito cittadino sul tema, pur essendo già passati tre anni dalla denuncia civile della Sindaca. Tre anni e ancora poco si era smosso.
E pensare che proprio il 2012, anno conclusivo dell’esperienza di Marta Vincenzi Sindaca di Genova, si raggiunse il massimo della visibilità per la Città sul fronte della lotta alla mafia, per due motivi.
Il primo, più raccolto e forse simbolico – quanto forti sono i simboli se davvero evocativi! – è la intitolazione di un luogo del centro storico ancora “senza nome”, una piazzetta situata nel sestiere di Pre’ tra vico Nuovo e vico S. Fede, alle “Vittime di tutte le mafie”, avvenuta il 16 marzo 2012.
Il secondo è stato di risonanza nazionale, e chi c’era e lo ha vissuto lo ricorda bene ancora oggi: il 21 marzo 2012 la marcia nazionale di Libera per la “Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie” si svolse a Genova.
Il 7 e 8 ottobre 2011 si è svolto “Mafie al nord” seminario di Libera di studio, analisi e proposta sulla lotta alle mafie e sulla loro infiltrazione e radicamento al nord, e in quella occasione venne annunciato che l’edizione della marcia nazionale del 21 marzo 2012 di Libera si sarebbe svolta a Genova: Marta Vincenzi qui venne poi intervistata da Libera. In quel 21 marzo 2012 si chiuse idealmente il cerchio aperto il 21 marzo 2009.
E torniamo al 2009, a quel 21 marzo 2009, la data da cui tutto cambiò a Genova nella lotta alla mafia, perché la voce della Sindaca si era levata sopra tutto e tutti. Marta Vincenzi ricopriva la massima carica cittadina e scelse di dichiarare pubblicamente e apertamente che a Genova c’è la mafia.
Questo gesto, questa scelta, è l’esempio, la testimonianza che nel nostro territorio ci ha ispirato all’azione e all’impegno, ciascuno dal proprio posto di azione.
E poiché, oggi, la risposta civica, di associazioni, movimenti, gruppi e singoli all’appello lanciato da Wall:Out Magazine per costruire Mafi:Out è stata immediata, positiva e corale, una sola settimana non basta e non bastava: è così è nato “Aspettando Mafi:Out”, e così per tutto l’anno che ci aspetta sarà Mafi:out tutto l’anno.
Sia perché dobbiamo continuare a essere vigili sempre e tutto l’anno, sia perché la rete sociale e civica, fatta di tante associazioni e singoli, tanti nodi gli uni legati e connessi agli altri e animati da una vitale linfa che scorre nelle vene di chi crede nella legalità, è viva e attiva tutto l’anno, tutti i giorni dell’anno. E merita sempre di essere conosciuta. E merita sempre di arruolare nuove forze, nuovi volti, nuove storie.
E noi, come Wall:Out Magazine, non possiamo che scegliere di raccontare e portare alla luce anche queste storie. Dal nostro posto di azione, alla nostra maniera.
Ciascuno dal proprio posto, tutt3 unit3 dal filo mica poi così sottile della legalità. Perché “è il Noi che vince”, come dice da tempo e con profetica saggezza Don Luigi Ciotti: “è il Noi che vince”, sempre.
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