Partiamo da una considerazione magari poco pragmatica, ma comunque di rilievo: la campagna di vaccinazione rappresenta un fenomeno assolutamente interessante. Medici, statistici, giuristi, psicologi, economisti e molti altri sono coinvolti in un dibattito di interesse globale ricchissimo di sfaccettature e osservabile da svariati angoli. Alla faccia di chi diceva un anno fa che il vaccino avrebbe spazzato via ogni scetticismo, facendo leva su una società troppo scossa dalla pandemia per poter ancora immaginare anche solo l’ombra di un no-vax!
La realtà si è rivelata ovviamente ben più complessa e oggi ci ritroviamo in una situazione per cui: diversi antidoti sono stati realizzati in tempi sorprendenti, vengono distribuiti ma eterogeneamente, in molti li rifiutano, la crisi migliora ma non si chiude e non sembra destinata a farlo in tempi brevi.
Rispetto all’estate 2020 abbiamo capito quanto questo virus sia ostico, capace di riemergere sotto forma di nuove varianti, anche in stati completamente blindati come l’Australia. Un paese che si è chiuso totalmente su se stesso, arrivando a impedire ai suoi cittadini di uscire dai confini, ma che oggi si ritrova incagliato in una brutta situazione: i contagi galoppano e i vaccini scarseggiano.
Sembrerà banale, ma un fattore importantissimo e positivo è rappresentato dall’interesse universale di superare questa crisi.
Questo desiderio non è scontato ed è l’unica cosa che ci unisce e per questo deve restare il punto di partenza delle politiche e delle opinioni. Viviamo una guerra che ci vede fronteggiare tutti lo stesso nemico. Il vero problema, però, è vederlo il nemico. O meglio, vederlo allo stesso modo.
La sua natura strisciante e mutevole lo rende sfuggente, misterioso e controverso. Quello che ognuno di noi percepisce è diverso, le nostre differenze emergono con forza, le paure e la rabbia esplodono. La guerra cambia quindi fronte, diventa interna. Il dialogo sembra sempre più difficile.
Chiarezza sui dati
Questo articolo è soprattutto rivolto a chi su questa pandemia non ha le idee chiare (chi può dire il contrario?), a chi si sente frastornato dall’informazione quotidiana, a chi è arrabbiato (giustamente) perché il mondo gli ha voltato le spalle.
In quanto scienziato la cosa migliore che posso fare è mostrarvi dei dati, poi ognuno li interpreti come meglio crede. Spero possano esservi utili a sciogliere qualche quesito.
Il 21 luglio è stato pubblicato sulla rivista scientifica The New England Journal of Medicine l’articolo Effectiveness of Covid-19 Vaccines against the B.1.617.2 (Delta) Variant. Questo studio restituisce un’importante istantanea del momento in cui ci troviamo. In particolare, viene analizzata l’efficacia dei vaccini contro il virus e contro l’ultima variante Delta.
Si può riassumere l’intero articolo con questa tabella:
Un gruppo di persone è stato selezionato e tutti sono stati tamponati. Questo gruppo era composto da non vaccinati e da vaccinati.
Per quanto riguarda i primi, i non vaccinati, abbiamo un sotto insieme di persone che sono risultate negative al test (96 371) e un altro sottoinsieme di non vaccinati che hanno avuto invece un esito positivo (7.313 per la variante “inglese” Alpha e 4.043 per quella “indiana” Delta).
Per quanto riguarda i vaccinati, invece, questi si suddividono a loro volta tra quelli che hanno ricevuto una o due dosi di vaccino Pfizer (BNT162b2 vaccine) o due dosi di Astrazeneca (ChAdOx1 nCov-19). Per la cronaca si tratta di uno studio britannico condotto su persone che vivono in UK. Anche i sottoinsiemi di vaccinati sono a loro volta divisi tra negativi e positivi ad Alpha o a Delta.
Guardiamo i risultati
Con il vaccino Pfizer abbiamo 8.641 e 15.749 negativi, rispettivamente con una e due dosi. Tra quelli che sono stati infettati con la variante Alpha 450 avevano una dose e 49 due; con Delta invece 137 ne avevano ricevuta una di dose e 122 due dosi. Spostandoci infine su Astrazeneca: 42.829 negativi con una dose e 8.244 con due; 1.776 positivi ad Alpha con una dose e 94 con due; 1.356 positivi per Delta con una dose e 218 con due dosi.
Da questi numeri hanno ricavato delle percentuali di efficacia che compaiono sotto le voci Adjusted Vaccine Effectiveness (95% CI).
Il numero prima della parentesi è il valore medio e più riassuntivo, quindi per esempio si vede come Astrazeneca sia efficace al 67% contro Delta se si hanno entrambe le dosi, mentre la sua efficacia aumenta al 74,5% contro Alpha.
È doveroso fare una precisazione prima di commentare i dati. Bisogna distinguere i termini efficacy ed effectiveness, entrambi tradotti in italiano con la parola efficacia.
Efficacy descrive l’efficacia testata del farmaco durante i trial clinici, ovvero quelle fasi di sperimentazioni necessarie per approvare un medicinale e che per questi vaccini si sono svolte l’anno scorso. Bene, durante i trial si è guardato a due cose: la sicurezza (safety) del vaccino, quindi la mancanza di effetti avversi e l’efficacy intesa come la capacità del farmaco di impedire lo sviluppo di sintomi più o meno gravi se non fatali.
Per quanto riguarda gli effetti avversi non si notò nulla di preoccupante. Infatti ad un trial partecipano “solo” migliaia di persone, quando poi i vaccini sono stati usati su milioni di persone purtroppo sono insorti rarissimi casi, anche molto gravi, se non fatali (articolo di wall:out Camilla Canepa non doveva morire).
Per quanto riguarda l’efficacy invece, questa si dimostrò ottima e i vaccini mostrarono tassi d’efficacia altissimi, garantendo circa il 95% di possibilità di evitare effetti gravi.
Tornando allo studio britannico, questo introduce un nuovo aspetto molto interessante e di importanza vitale.
Non si considera più l’efficacy ma l’effectiveness, un parametro che include la diversa probabilità di infettarsi se vaccinati o meno (e quindi anche la possibilità di trasmettere il virus!). L’effectiveness diminuisce rispetto a quel 95% dei trial, ma resta comunque molto alta, parliamo dell’87,5% per la variante Alpha e 79,6% per Delta (voce Any vaccine): la percentuale dei positivi tra i vaccinati è molto minore rispetto alla stessa dei non vaccinati.
È poi totalmente giustificato che l’effctiveness sia minore dell’efficay, il gruppo degli ospedalizzati, per dire, non è che un sottoinsieme del totale dei contagiati.
Se poi andiamo a vedere le probabilità da parte di un individuo positivo di sviluppare sintomi, andare in ospedale e morire, queste non cambiano tantissimo tra un vaccinato e un non vaccinato. Sottolineo che si sta parlando di due persone che si sa già essere positive.
Ciò emerge da quest’altro studio svolto in Israele. Partendo da due gruppi, uno di vaccinati e l’altro di non vaccinati, i ricercatori hanno contato man mano quanti erano rispettivamente i positivi, i sintomatici, gli ospedalizzati etc. Ci si può accorgere come in effetti le differenze maggiori siano proprio a monte, tra positivi vaccinati e non vaccinati.
Quest’ultimo gruppo è molto più cospicuo e per questo poi le frazioni successive sono rappresentate da numeri molto maggiori rispetto a quelle dei vaccinati. Le singole proporzioni tra positivi e sintomatici, sintomatici e ospedalizzati, ospedalizzati e terapie intensive, terapie intensive e morti, non differiscono molto tra la colonna dei vaccinati e quella dei non vaccinati.
Questo accade anche perché i numeri diventano molto piccoli e poco rappresentativi, da prendere quindi con le molle. In generale questo non significa che un vaccinato ha più possibilità di finire in ospedale, al contrario!
Un vaccinato ha probabilità di infettarsi molto minori e per questo ha bassissime chances di finire in ospedale.
Alla fine da questi studi possiamo dedurre due cose:
- I vaccini prevengono in modo molto efficace la possibilità di contagiarsi e di contagiare. Sembrerebbe che agiscano a monte abbattendo immediatamente la carica virale qualora si venisse in contatto col virus.
- Le varianti sono un problema da non sottovalutare. Se buona parte della popolazione non è ancora vaccinata, il virus circola in fretta ed è più facile incorrere in nuove varianti che possono essere più resistenti al virus (tutti i valori di efficacia diminuiscono per la variante Delta rispetto alla Alpha).
Per mesi abbiamo sentito la storia secondo la quale il vaccino ci avrebbe protetto dai sintomi, ma non dal rischio di essere contagiati e trasmettere il virus. Non era una scemenza. Era la deduzione giusta in seguito ai trial clinici. Mancavano dati e studi tesi ad osservare l’efficacia dei vaccini contro la possibilità di infettarsi.
Lo stesso discorso va fatto per quanto riguarda gli effetti avversi. La campagna vaccinale rappresenta un fenomeno interessantissimo, anche perché si tratta della prima volta che un farmaco viene distribuito così velocemente e così capillarmente. Per giunta un farmaco nuovo. Il fatto che i risultati e gli effetti si aggiornino è normale ed inevitabile.
Oggi possiamo supporre che scegliere di vaccinarsi non solo protegge se stessi in prima persona, ma, prevenendo il contagio e limitando la possibilità di sviluppare nuove varianti, anche gli altri.
P.S.
Come sempre, quindi, la scienza si smentisce ed evolve. Se è quindi imprescindibile un approccio elastico, è altresì fondamentale rimanere critici. Già qui su wall:out ne abbiamo parlato, sia più in generale sia per quanto riguarda il caso dei vaccini e delle reazioni avverse. Per questo vorrei correggere una mia vecchia affermazione:
“che senso ha vaccinare a testa bassa in questo modo i giovani che soffrono molto poco il virus con Astrazeneca, considerato che il farmaco non impedisce loro di trasmettere il virus stesso?” in: “[…], nonostante il farmaco limiti abbondantemente la trasmissione del virus?”
Immagine di copertina:
Foto di Photosforyou
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