Chiunque sia passato per la stazione di Pra’ negli ultimi due anni vi è transitato davanti. Magari non l’ha notato, magari di fretta, magari con la testa annebbiata come quelle mattine in cui si rincorre un treno sperando che si fermi meno avanti del solito, per balzarci sopra al volo.
Il viaggio è il murales che si staglia sulla parete d’ingresso della stazione di Pra’. Una locomotiva a vapore che percorre un binario invisibile, un misterioso passeggero di spalle vestito dei colori del cielo, accanto una donna che legge un libro adagiata con serenità.
L’opera è una delle alcune che negli ultimi anni sono comparse sui muri della delegazione ponentina.
Volgendo lo sguardo oltre la stazione, si stagliano i due capannoni del Centro Remiero. Due chiazze giallo ocra sullo sfondo verde del Turchino. Sulla parete centrale degli hangar però un’altra meraviglia: i Figgiuei. Un altro muro. Due giovani intenti a giocare con una barca a vela che percorre un mare di sogni.
Qualche anno fa ho assistito silenziosamente e da distante alla stesura dell’opera. Frequento il centro remiero da 13 anni a questa parte. Ho notato con curiosità il montaggio delle impalcature, ho osservato il lavoro paziente e sereno di due artisti, un uomo ed una donna, armati di pennelli e barattoli di latta.
Troppo timida per avvicinarmi e soddisfare le mie curiosità, troppo affascinata per non rimanere nell’ombra ad osservare i progressi dell’opera giorno dopo giorno. Era il 2017.
Nel frattempo sono trascorsi 4 anni e Giuliogol e DrinaA12, i due artisti di cui voglio parlarvi oggi, non si sono fermati. Decido di andare a trovarli al cantiere-laboratorio a cielo aperto presso il Consorzio Pianacci, al CEP di Pra’.
Salgo in moto per Via Martiri del Turchino, poi Via della Benedicta. Lungo il percorso trovo già tracce indelebili del loro passaggio: Mater all’incrocio con una via che conduce ad una scuola primaria, donna con velo dallo sguardo profondo che lascia intravedere alle sue spalle il volto di un bambino dai boccoli scuri.
Mi rimetto in sella, poco oltre mi imbatto nel Centro Sociale Zenit, che sorge alle spalle della Biblioteca Civica Firpo. Riconosco la mano: colori che non sovrastano le strutture circostanti, ma che si fondono perfettamente; tratti leggeri che sanno trasportare in una dimensione onirica ma assurdamente tangibile.
Arrivo ai Pianacci. Attorno a me giocano i ragazzi dei centri estivi, un gruppetto di anziani ciacola sulle panchine. Seduta per terra a gambe incrociate, pennellino in mano, vestiti larghi c’è DrinaA12, inginocchiate vicino a lei due bambine che la assistono ed intrattengono.
Ho la fortuna di essere arrivata proprio nel momento in cui sta dando le ultime pennellate per finire il muro regalato al Consorzio: Follow your dreams. Poco più avanti Giuliogol, viso rilassato, lungo mazzo di dreadlocks, riposa sdraiato su una panca. Saluto ed attacco bottone.
Aerografista lui, pittrice ceramista lei, un passato tra le gallerie d’arte: “non ci siamo ritrovati, non facevano per noi. Le gallerie non sono democratiche, volevamo fare qualcosa che rimanesse aperto a tutti, visibile in ogni momento”.
E così DrinaA12 e Giuliogol, compagni di vita e di arte, decidono di lavorare non per sé stessi, ma per la comunità, regalando meraviglie al ponente genovese. La loro base-laboratorio, Magazzino41, è una vecchia cartiera a Mele. Lì nascono e si sviluppano le idee che poi riportano sulle strade della città.
“È pieno di muri liberi, mi piace definirci muralisti stanziali perché di fatto non ci allontaniamo da casa, torniamo sempre nei nostri luoghi. Ci piace la partecipazione sociale che c’è qui, la gente sente il territorio nel quale vive. Le nostre opere hanno un significato, abbiniamo sempre disegni e lettering perché sentiamo di dover dare un messaggio. Vogliamo che passi in ogni modo.”
In soli 10 minuti di chiacchere capisco cosa intende Drina con “i loro luoghi”. Un ragazzino passa e si ferma a parlare, dalla tensostruttura dedicata al pattinaggio esce una ragazza e racconta ai due come è andato il suo anno di allenamenti, dalle panchine si leva una voce di un ometto che chiede come stia procedendo il lavoro. Un’altra anzianotta che ha osservato il proseguire dell’opera chiede: “perché non ci mettete un cartellino sotto con la traduzione per noi che l’inglese non lo capiamo?”
Ciò che resterà sul muro ad opera finita è il regalo minore. Drina e Giulio fanno un vero e proprio volontariato, privo di orpelli e merletti. Il loro presidio sul muro dura a sufficienza per intessere relazioni sociali, far avvicinare timidi individui pieni di domande, intrattenere bambini curiosi.
Giuliogol riassume la chiave del loro lavoro:
“Quando partiamo con un muro ci assegniamo tempi di consegna lunghi. Non tanto per il lavoro in sé, ma perché ci piace proprio goderci il muro. Ci piace l’idea di avere uno scambio con la gente del posto, in qualche modo fidelizzarla all’opera. Siamo convinti che anche quando l’opera sarà finita e noi saremo a lavorare altrove, l’energia e lo scambio di idee che c’è stato, rimanga.”
Ed io l’energia la percepisco. Sono qui da un’ora, stiamo parlando di loro, di me, della delegazione di Pra’, di etica, di vita. E come lo sto facendo io, tanti prima di me in queste due settimane di cantiere sono passati, si sono fermati, hanno preso un caffè assieme a Giuliogol e DrinaA12, hanno fatto domande, regalato e ricevuto del tempo. Creato movimento e condivisione in una zona della città che soffre del cemento buttato centimetro su centimetro. E il murales e il segno che lascia alla gente del Cep è un fiore in quel cemento.
E così i muri arrivano ad avere una funzione sociale: visi che si incontrano, idee che circolano, “anche qualche rompiballe a volte!”. Tra i tanti passanti, ogni tanto capita anche qualche soggetto titubante, scorato, che chiede per quale motivo Drina e Giulio si impegnino così tanto per un muro che magari poi finirà imbrattato. Che è in qualche modo un complimento implicito di un’anima sfiduciata dalla società.
E alla fine invece imbrattato non lo è mai: perché se la gente partecipa all’esecuzione, assiste e vive il cantiere, svilupperà un sentimento per il muro e se ne farà carico. Territorialità? Forse. Ma forse qualcosa di più.
Finiamo a parlare dei Figgiuei e del cantiere del 2017 che ha avviato la serie di progetti per il ponente.
“Siamo stati lì a lavorare parecchio. Ad un certo punto certi visi diventano familiari, perché passano di lì spesso, si fermano. Un giorno mentre parlavo con un gruppetto di questi visitatori seriali mi sono resa conto di avere di fronte uno spaccato sociale: un anziano “bene”, un rom, una vecchietta dalle maniere semplici, un tossico, alcuni membri del circolo della pesca. Ed erano tutti lì. Tutti assieme. Tutti nello stesso luogo allo stesso tempo, in un quadro che in nessun altro caso avrebbe potuto vederli assieme. Per me questo è il dono più prezioso. Muovere energia, abbracciare differenze, creare confronto.”
E se lo dice Drina, che è un vulcano di energia, che trasmette vitalità, le credo.
Oggi il murales dei Pianacci è finito, ma il giro di vita che è nato non si ferma. Alla faccia di chi dice che è un quartiere dormitorio, in barba a chi pensa che i quartieri popolari siano privi di luce. Qui la luce la si tocca con mano.
In questo mese, contemporaneamente al cantiere, I Pianacci hanno ospitato anche un workshop di aerografia e arte urbana aperto soprattutto ai giovani. Ed è così che la piazza si popola, i ragazzini guardano meravigliati, gli adulti osservano incuriositi questa forma d’arte partecipativa.
Chi ne ha la possibilità, passi a respirare un po’ di movimento e vitalità.
Sto per congedarmi, chiedo se posso scattare delle foto al murales finito, che è di una potenza estrema. Un bambino addormentato, testa posata lieve su una mano. Colori tenui. Mi fermo in piedi esattamente al centro dell’opera. Forse un po’ troppo vicina per goderne appieno le linee armoniose. Giulio dietro di me, delicato sognatore: “se socchiudi gli occhi, lo vedi meglio”.
Immagine di copertina:
Giuliogol e DrinaA12. Foto di Carlo Besana
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