Viviamo in un’epoca in cui si viene in contatto con cascate di dati ogni giorno. Osservarli e analizzarli con cura aiuta moltissimo a capire quello che succede attorno a noi. Io, nel mio piccolo, quando scrivo per Wall:out cerco sempre di fare riferimento a dati di qualità per supportare le mie argomentazioni. Tra tutti quelli che ho letto, però, l’altro giorno ce ne è stato uno che mi ha colpito come poche altre volte era successo.
Lo voglio replicare: il 44,7% dei giovani italiani è favorevole all’introduzione della pena di morte.
Potrei quasi chiudere qua l’articolo. È una frase che mi fa gelare il sangue nelle vene. Non riesco a spiegarmelo, o meglio, qualche idea la ho, ma mi inorridisce. Il 54° Rapporto Censis sulla situazione sociale del paese, nel capitolo “La società italiana del 2020”, descrive una società terribilmente impaurita e arrabbiata.
Come siamo arrivati ad avere una popolazione giovane (18-34 anni) che per metà crede sia giusto adottare la pena di morte per certi reati?
Guardando ai dati Censis, la fascia mediana 35-64 anni fa ancora di peggio, ma poi, guardando agli over 65 la percentuale crolla al 21,9%. Perché la nostra società è così spaccata sull’argomento? Badate, 21,9% non è secondo me una bassa percentuale, ma è comunque molto meno sconcertante delle altre. E da quando gli anziani sono più progressisti dei giovani? Nel mio immaginario lo scenario descritto dal Censis stona tantissimo: ho un’idea totalmente sbagliata evidentemente. Dovrei rivalutare tante cose.
L’Italia è il paese che di fronte all’ONU ha proposto e spinto con più insistenza dagli anni Novanta per la Moratoria universale della pena di morte. Siamo la patria di Cesare Beccaria, che fu tra i primi al mondo a parlare di abolizione della pena di morte già nel XVIII secolo. Parafrasando Beccaria:
Uno Stato che ha bisogno di ricorrere alla pena di morte è uno Stato in guerra con il singolo cittadino, se ne sente minacciato perché non riesce a vivere in armonia.
La pena capitale genera spettacolarità, stupore e sdegno, nient’altro. Come si può guardare con disprezzo all’omicidio quando la legge stessa è autorizzata ad assassinare? La vita stessa è in realtà l’unica vera potestà di cui ognuno di noi gode e che ci caratterizza. “E quanto giusta pensate che sia una sentenza che decreta morte?” cantava Faber.
Mi riallaccio a quanto scritto da Eugenia per Wall:out qualche giorno fa:
“La vera domanda, quindi, non è quanto i giovani siano coinvolti nella politica, bensì quanto essi siano consapevoli del carattere inevitabilmente politico delle loro azioni”.
Se non siamo consapevoli e non maturiamo una coscienza politica non potremo mai emanciparci. Resteremo solamente dei minorenni. Dobbiamo trovare il coraggio di partecipare e decidere, di assumerci delle responsabilità. La libertà è partecipazione. Ignorando il messaggio di Gaber ci ritroviamo così nella società descritta dal Rapporto Censis. Il dato drammatico sulla pena di morte tra le righe dice una cosa ben chiara:
I giovani italiani sono politicamente pigri.
La scusa della classe politica scadente non può più bastare come giustificazione, non si fa politica solo in cabina elettorale o in parlamento, si fa politica sempre.
Non dobbiamo mai dimenticarci gli insegnamenti di Hannah Arendt: chiunque potenzialmente è capace di compiere atrocità. La mancanza di senso critico e di idee può portare ad accogliere le menzogne e a non diventare maggiorenni. Colui che resta minorenne vuole legittimarsi per nobilitarsi, ma in realtà si sta soltanto ingannando. Auspicare la pena di morte probabilmente restituisce un senso di giustizia nel singolo individuo, ma solo in termini vendicativi e rabbiosi.
In Italia nei prossimi anni dovremo essere molto prudenti riguardo al tema. Basterà accendere una miccia, infatti, per scatenare un putiferio. Il terreno è tristemente molto fertile.
Immagine di copertina:
The Light. Foto di Eyasu Etsub
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