Focaccia di Natale

Il pandolce è la focaccia di Natale

Succede a tutti, prima o poi, di sentirsi dire cose come questa. Qui vi parliamo di come si possa rispondere a dovere a queste perverse blasfemie.
24 Dicembre 2020
3 min
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Tutti (vabbè, quasi tutti) conoscono quel riferimento mitico che è “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, di Pellegrino Artusi. A volerla fare veloce, se oggi esiste una “cucina italiana” è per merito (o per colpa, of course) di quel libro. Non entriamo nei dettagli, ma mentre su questa tesi si accorda buona parte della letteratura storico-sociologica, c’è chi sostiene che per un momento avrebbe potuto vincere la battaglia di punto di origine della cucina italiana un altro libro, affatto diverso, scritto da un certo Filippo Tommaso Marinetti. E chissà che ne sarebbe adesso di quel che chiamiamo cucina italiana. Ma poi il pandolce è la focaccia di Natale?

Ma non divaghiamo. Perché forse non tutti, invece, conoscono altrettanto bene, un altro piccolo capolavoro mitologico del nostro mondo gastronomico, quale è “Vino al vino. Alla ricerca dei vini genuini” di Mario Soldati, in cui l’autore ha raccontato, tappa per tappa, i suoi “viaggi d’assaggio”, poi raccolti e pubblicati da Mondadori, per la prima volta, nel 1969. 

Anche in questo caso ci sarebbe dietro tutta una storia – molto bella – riguardo alla nascita di questo libro e al suo ruolo nella costruzione di una nazione fondata su di una eno-gastronomia a base regionale, come la conosciamo oggi. 

Prendete, per esempio, questo breve estratto dalle pagine dedicate a raccontare la Liguria e in particolare Genova:

“Si andava a cena dalla Carlotta, Sottoripa, in piazza Caricamento. Era un rito a cui Canepa e Ansaldo invitavano noi giovani letterati con la piena e orgogliosa consapevolezza di offrirci qualcosa di unico e addirittura simbolico. Un simbolo di tutto ciò che ancora in Italia andava bene e, nonostante tutto, sembrava potesse continuare ad andare bene, mentre invece tante cose cominciavano ad andare malissimo.” 
(p. 605, Mondadori, 2006)

E proprio queste parole cominciano ad avvicinarci alla storia della nostra focaccia-di-Natale 

(da qui in avanti FDN)

Infatti, si dà il caso che da qualche tempo, Paolo De Cristofaro e Antonio Boco, fondatori di un noto blog del mondo vino (www.tipicamente.it) decidono di onorare i 50 anni passati dall’inizio dell’avventura di Soldati, provando a ripercorrere i suoi viaggi, trasformando la rilettura degli itinerari regionali soldatiani, in altrettante puntate di un bellissimo podcast, Vino al Vino 50 anni dopo, ormai arrivato alla seconda stagione inoltrata.

Ed eccoci, così, a un passo dalla FDN. Dovete sapere, infatti, che, in una delle puntate più recenti, precisamente la quinta della seconda stagione (link), si parla proprio di Liguria e della cucina genovese. 

Come negli episodi precedenti, vengono invitati ospiti autoctoni e forest(ier)i esperti del territorio in questione, per discutere di quanto e cosa sia cambiato rispetto alla lettera di “Vino al vino”. Ascoltatela, se si va, perché vi troverete racconti, discussioni, suggestioni e spunti con cui essere più o meno d’accordo rispetto a cosa sia la cucina regionale ligure e la sua sineddotica controparte genovese. 

Cose tipo: ma i ripieni si fanno davvero come scriveva Soldati? Qual è il piatto simbolo della cucina genovese, se c’è uno? Dove si compra la focaccia migliore?

E altre questioni di apicale importanza, ne converrete.

E qui arriva il suo momento: è precisamente il minuto 30 e 21 secondi, quando l’ospite autoctono – al secolo Mario de Benedittis, genovese, docente universitario esperto sul tema e responsabile di una importante distribuzione nazionale di vino – è impegnato nel tracciare le lodi del pandolce genovese, chiosando con una onesta perifrasi: 

“uno dei dolci più assolutamente stellari, direi dell’intera galassia”. 

Ed è lì – proditorio e inopinato – che arriva, come una pugnalata tra le costole, il commento incommensurabile di uno dei due conduttori:

“Ah, ma non è la focaccia di Natale?”. Bum.

Adesso prendetevi un minuto e pensate cosa avreste risposto voi, a una cosa così, ammesso di essere in grado di farlo dopo la pugnalata, certo. Io ci penso da giorni e ancora non me ne sono uscito con niente di buono.

Perciò, mi sono convinto che le 5 mosse che ne sono seguite, si meritano la fatica di questo articolo. Nell’ordine:

1. pausa di silenzio assordante del buon Mario che risuona più micidiale dei 4 minuti (e 33) di John Cage; 2. il secondo conduttore che vede sbiancare Mario colpito da quella pugnalata e ce lo racconta in preda alle risa; 3. Mario che riprende la parola e incalza: “la focaccia-di-Natale, eh… interessante questa, e dove l’hai sentita?”, mentre percepiamo distintamente il rumore dell’armatura di Iron-man che lo ricopre dalla testa ai piedi; 4. il disperato e consapevolmente inutile tentativo del poveretto di schivare il colpo: “Ma.. la chiama qualcuno così?”; 5. la chiosa definitiva, da cintura nera di autoctonia genovese, di Mario, ormai privo di ogni compassione: “No.”. Altro silenzio. “E comunque stanno già partendo gli squadroni della morte, non ti preoccupare”. Click.

Piccola postfazione.

Trattandosi, come è chiaro, di evento epico, meritava una traduzione in veste pseudo-memetica, vaporwave, eccetera. Bene, eccola qui, youtubizzata, prêt-à-porter. Gustatevela. Prezioso memento mori per qualunque altro impavido foresto che, anche solo lontanamente, pensi di poter parlare della nostra cucina. Per tutti loro, lo sappiano fin d’ora “stanno già partendo gli squadroni della morte”.

Amen.

Immagine di copertina:
Foto di Conger Design


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Nasce e vive a Genova, dove ha studiato Economia e altre cose noiose. Finisce a lavorare a Milano, dove ora insegna Sociologia della cultura all’Università di Milano-Bicocca. Nel frattempo, ha scritto di cibo e altre cose divertenti su riviste scientifiche, quotidiani on line (Genova24.it) e su qualche libro (Carocci Editore). Per il resto, si dedica a due discipline antiche: arti marziali cinesi e degustazione di vino.

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