Villa Croce non è un museo, è un luogo d’incanto. Circondata dal blu del mare e dalla tranquillità del parco, è avvolta in un’atmosfera sua propria che la slega dalla realtà circostante, un’atmosfera che permette l’incontro degli stimoli del contemporaneo con il relax portato dal canto degli uccellini. Un piccolo paradiso, n’est-ce pas?
Il 19 giugno ha inaugurato “Sirotti e i Maestri“, mostra dedicata a Raimondo Sirotti, personaggio molto conosciuto nel panorama locale, non fosse altro che per la presidenza dell’Accademia Ligustica di Belle Arti e l’impegno come sindaco del comune di Bogliasco.
Non si tratta di una retrospettiva sull’opera dell’artista scomparso nel 2017 (l’onore spetterà l’anno prossimo a Palazzo Ducale, che nelle intenzioni pre-Covid avrebbe dovuto aprire parallelamente a Villa Croce), quanto piuttosto si concentra sul suo dialogo con grandi pittori del passato, tra cui Grechetto, Valerio Castello, Alessandro Magnasco, ed è concepita come un’esperienza emozionale, sulla scia dell’uso del colore tipico dei suoi dipinti.
L’idea è puntualmente simboleggiata dal murales di post-it variegatamente colorati di verde montato su una parete del grande scalone all’ingresso, realizzato dai contributi di decine di bambini. Ancora una volta, avvertite la poesia, la kundalini che si risveglia, la fiducia in quello che verrà?
Benissimo, perché poi i sogni svaniscono e una terribile realtà prende il sopravvento.
Il primo piano è ostaggio di un allestimento alquanto bizzarro. A cominciare dalle mattonelle del pavimento ricoperte dei colori fluo che saranno colonna portante del percorso di mostra (blu, verde, hot pink – sì, sul serio), che restituiscono da subito un’impressione cartoonish, a voler essere diplomatica.
Lo sbigottimento non esita a crescere nello spazio dedicato al celebrato rapporto tra Sirotti e il poeta Sanguineti, suggellato dal sonetto “Vedo Verde” del 2005, riportato con una certa quale ridondanza sia in duplice forma scritta, su carta e in prespaziato sul muro a fondo sala, sia in versione audio, recitato dall’attore Francesco Patané; inoltre, l’ambiente si completa con un discutibile pavimento di erba sintetica: che Sirotti fosse segretamente un fan del kitsch? Può essere una chiave di lettura.
Verso metà visita, il pubblico incontra e si scontra con un esperimento teso a mettere in evidenza il rapporto tra l’opera di Warhol – definito “grafico americano” (sic) nel relativo pannello esplicativo – e quella del nostro artista; la sala vede due pareti fitte di quadri a tema naturalistico a contorno di una terza parete interamente ricoperta di un’improvvisata tappezzeria pensata ad hoc per l’esposizione, realizzata con una versione dei Flowers warholiani usata come pattern.
Al di là del fil rouge che lega i soggetti delle opere, immaginare un parallelismo propriamente detto tra i due artisti appare un tantino avventato, ma tant’è, pare che basti una vaga idea di serialità per coniugare il maestro della Pop Art con chiunque altro. In questa involontaria Stanza dei Giganti (lo spirito di Giulio Romano mi perdonerà!) in cui manca tanto l’aria quanto un approfondimento della tematica presentata degno di questo nome, quasi quasi, ci si sorprende a sperare in un improvviso e non metaforico crollo del soffitto.
Le sorprese non finiscono qui. Come non restare esterrefatti dal passaggio dedicato alla rivisitazione degli affreschi perduti di Giulio Benso per la basilica della Santissima Annunziata del Vastato, in cui una proiezione sgranata dei detti affreschi affossa nel buio i bozzetti di Sirotti.
E come non fare riferimento a un allestimento che costringe lo sguardo a dondolare su e giù, come se la mostra fosse montata a bordo di un battello in mare aperto, nella speranza di azzeccare a quale lavoro si riferiscano le didascalie, accoppiate alle loro opere in maniera “creativa”.
Ultimo ma non ultimo, il piano terra, indicato nel comunicato stampa come fine percorso, ma prima tappa della visita per ragioni ignote. Se la sala dedicata all’esplorazione della tecnica dell’arazzo è una tra le poche vere perle che si incontrano, l’entusiasmo si sgonfia subito nel confronto con quella dedicata al video di presentazione dell’evento: un vecchio proiettore su un trabiccolo da cui si staccano le viti troneggia attorniato da pezzi della collezione permanente del museo, buttati lì nell’ombra senza alcuna descrizione o spiegazione, come oggetti di poco conto.
Ve lo immaginate un altro spazio espositivo in cui Fontana è trattato da soprammobile impolverato?
Vedere Villa Croce ridotta così, come casa dell’approssimazione e della superficialità, fa male al cuore e ferisce l’intelletto e la dignità di tant* professionist*, laureat* e student* che la vedono ancora come punto di riferimento istituzionale dell’arte contemporanea a Genova.
Se da una parte la difficile storia degli ultimi anni può forse giustificare l’infilata di eventi a carattere squisitamente locale, realizzati con i prestiti delle collezioni private degli amici, dall’altra non è più ammissibile assistere al declino perpetrato coscientemente di un centro culturale unico nel suo genere, ma abbandonato a se stesso, vuoto se non ai vernissage con la Genova bene, deprivato di qualunque rilevanza non solo a livello nazionale e internazionale, ma anche a livello cittadino.
Non si tratta davvero, qui, di proporre grandi nomi che attirino le folle e mandino in tilt i botteghini (per quanto, ogni tanto non guasterebbe), poiché la qualità sta anche in esperienze di minor grido, come sicuramente certifica questa di Sirotti.
Si tratta, invece, di ricostruire da capo la credibilità di un museo che fa e farà fatica a rialzarsi, proponendo operazioni condotte con serietà e competenza, con obiettivi di lungo termine, originati dal bisogno che la città disperatamente sente di aprirsi al resto del mondo in maniera attiva e coinvolgente. Poche cose come l’arte contemporanea possono produrre questo salto. E ci sono schiere di giovani curator*, critic*, operator* culturali adeguatamente preparat* e format* che non aspettano altro che l’occasione per dimostrare che nuovi approcci e nuove sinergie sono possibili.
“Sirotti e i Maestri” sarà visitabile fino al 13 settembre 2020. Entrate, a vostro rischio e pericolo.
Immagine di copertina:
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