Premessa: Questa rubrica è nata con l’idea di far conoscere ai lettori italiani Sarajevo e la Bosnia ed Erzegovina, nelle sue sfaccettature artistiche, urbane e culturali. Grazie alle conferenze di KUMA International è stato possibile ricercare, studiare ed espandere le basi che hanno portato alla scrittura di questi articoli. KUMA International è un’organizzazione senza scopo di lucro impegnata in diverse attività educative che lavora a stretto contatto con accademici e artisti. L’obiettivo principale del primo passo educativo di Kuma è sostenere la produzione artistica del dopoguerra dalla Bosnia ed Erzegovina. La serie di workshop organizzati da KUMA International per il mese dell’architettura sono volti a comprendere l’identità passata e contemporanea della Bosnia ed Erzegovina e della città di Sarajevo, offrendo un contesto sullo sviluppo storico, architettonico e urbano, fornendo anche spunti per sviluppare una prospettiva critica sulla città. Per sapere di più su come è nata e su quali principi si basa Kuma International trovate qui l’intervista a Claudia Zini, fondatrice e direttrice dell’organizzazione. * Titolo tratto dal libro “Sarajevo centro del mondo. Diario di un trasloco” di Dzevad Karahasan. |
In una città così variegata culturalmente e architettonicamente verrebbe da chiedersi quali e se ci sono punti che accomunino le sue sfaccettature. La risposta si trova nella dicotomia presente tra la realtà sociale passata e presente della città e il suo sviluppo urbano.
Sarajevo è una città geograficamente chiusa. I monti Igman, Treskavica, Bjelašnica, Jahorina e Trebević la circondano interamente, dando vita alla vallata su cui poi la città si è sviluppata.
Come è possibile allora che una città ‘chiusa’ e quindi interiore, sia luogo di incontro centrale di religioni, lingue e culture?
Sarajevo racchiude al suo interno l’Oriente e l’Occidente. Dapprima come intermezzo tra due imperi religiosi, quello romano e quello bizantino, poi successivamente al centro di altri due imperi, quello ottomano e quello austro-ungarico.
Nella sua interiorità e chiusura geografica, Sarajevo è completa esteriorità e apertura culturale e sociale. Una dicotomia che si rispecchia sia nella presenza dei diversi sviluppi urbani, sia all’interno di ognuno di essi.
La Baščaršija è la realtà che meglio rappresenta il dualismo tra l’urbano e il sociale. Circondata dalle mahale che ne delimitano l’estensione, essa è da un punto di vista urbano doppiamente chiusa al suo interno, prima dai monti Treskavica e Trebević e poi dalla presenza dei diversi quartieri etnico-religiosi. In realtà, nella sua totale chiusura e centralità geometrica, la Baščaršija è pura interiorità.
Il suo ruolo di anima e cuore della vita pubblica nella vecchia Sarajevo ottomana, continua, anche se in maniera diversa, ancora oggi.
La Baščaršija
Ideata dal disegno urbanistico dell’epoca come luogo centrale di commercio, il centro città è caratterizzato da aree commerciali sia aperte che chiuse. Queste ultime sono le botteghe, i negozi artigianali e i bezistan, che nel XVI secolo erano il fulcro della vita pubblica della città (Bezistans o bedestens, erano mercati coperti o bazar orientali costruiti durante il periodo dell’Impero Ottomano).
Insieme ai baazar, anche Sebilj, la fontanella simbolo di Sarajevo, rispecchia uno degli elementi tipici dell’urbanistica ottomana.
A differenza di quello che si possa pensare quando si discute di un luogo chiuso e delimitato, anzi, proprio a causa di questa apparente limitazione, la Baščaršija contiene in sé tutto ciò che si trova ai confini che la separano e dividono dall’esterno.
Contrariamente alle mahale, nella quali si sviluppa la vita privata e i principi etnico-religiosi di ognuna, nell’ anima di Sarajevo, si mettono in atto i valori umani universali che ciascuna cultura contiene naturalmente in sé. Tramite il suo ruolo di luogo di scambio, nella vita pubblica della Baščaršija si realizzano valori interreligiosi e interculturali, in quanto gli individui, spinti dalla necessità economica di comunicare, manifestano apertura nei confronti dell’Altro.
Lo stesso contrasto tra chiusura e apertura, avviene anche ad un ulteriore livello di analisi all’interno della Baščaršija stessa: negli edifici religiosi.
Nell’era ottomana, essi non furono costruiti solamente come luoghi di culto, ma anche come perno culturale, educativo e sociale. Per questo motivo il dialogo tra ciò che è esteriorità e ciò che è interiorità è accompagnato dalla struttura architettonica, come nella moschea di Gazi Husrev Bey.
Il primo livello di transizione spaziale è il muro del cortile che rappresenta la mutazione e la divisione fisica, visiva ma anche acustica tra la vita pubblica della Baščaršija (esteriorità e chiusura) verso il centro spirituale (interiorità e apertura). Successivamente, il cortile interno della moschea, rappresenta lo spazio intermedio, l’intermezzo che anticipa in modo suggestivo, con fontane e alberi, la pura interiorità emotiva del luogo religioso e tramite la sua semi apertura, rende ancora immerso nella vita pubblica (esterna) della città.
Le cupole a volta e il portico della moschea rappresentano la transizione finale verso la pura interiorità architettonica e spirituale del luogo: la cupola.
Un dialogo tra esterno e interno onnipresente
L’importante ruolo che l’architettura ha nel condurre, anche attraverso i sensi della vista e dell’udito, il fedele verso l’interiorità spirituale è caratterizzante non solo delle moschee ma anche di altri edifici religiosi di Sarajevo, come l’Antica Chiesa Ortodossa e l’Antico Tempio Ebraico.
Ancora una volta, la dicotomia tra la chiusura urbana e l’apertura spirituale si realizza, mettendo in atto non solo al proprio interno, ma contaminando anche l’esterno di valori umani universali. Questo dialogo tra esterno e interno è di fatto uno degli attributi onnipresente dell’architettura bosniaca del periodo ottomano.
La Baščaršija, cuore pulsante di Sarajevo, nella sua pura interiorità e apertura culturale, traduce in pratica quotidiana la dicotomia che vede la città centro del mondo come urbanisticamente chiusa ma semanticamente aperta, accorciando le distanze tra questo dualismo parallelo.
Immagine di copertina:
Foto di Chiara Reverdito
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