ESAGERATƏ | riscriviamo la storia dei nostri corpi”

#3 ESAGERATƏ | “Il corpo è mio, decido io” possiamo dirlo davvero tuttɜ?

Il reportage a puntate che racconta e riflette sulle tematiche dell’evento transfemminista di Sorelle di corpo. Oggi parliamo di corpi e salute.
24 Novembre 2024
7 min
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Questo articolo fa parte del reportage che ti racconta com’è andata questa avventura di un giorno: workshop, laboratori creativi, swap party, talk e panel, show e quiz. Un meraviglioso spazio di sorellanza e inclusività dove essere se stessə!  
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“Ma come sei esageratə!” Se ti hanno mai detto questa frase questo è il posto giusto per te. Tantɜ di noi si sono sentitɜ rivolgere queste parole – soprattutto donne (ma non solo).

Esageratə per come ci vestiamo, per lo spazio che occupiamo, per quello che mangiamo, perché ci lamentiamo o, per meglio dire, perché non stiamo zittə davanti a situazioni “normali” che però feriscono, e lo facciamo perché siamo delle femministe guastafeste che lottano per un mondo più inclusivo e meno giudicante alzando la mano facendo svanire il “bel clima goliardico” dei commenti sessisti, omofobi e grassofobici. 

Esageratə – riscriviamo la storia dei nostri corpi” è l’evento transfemminista organizzato da Sorelle di corpo ad Albisola Superiore (SV) lo scorso 7 settembre e che ci aspettiamo ritorni alla fine della prossima estate.

Questo è il reportage che ti racconta com’è andata: workshop, laboratori creativi, swap party, talk e panel, show e quiz. una giornata culturalmente arricchente ma anche divertente, perché chi lo ha detto che la lotta deve essere noiosa? Una lotta può essete gioiosa, carica di strass e di rosa barbie!

Ti hanno mai fattə sentire esageratə per aver manifestato esigenze di salute mentale e fisica?

#3 ESAGERATƏ | “Il corpo è mio, decido io” possiamo dirlo davvero tuttɜ?
Le relatrici del panel sul palco. Foto di Jacopo Grosso

È questo il tema dello spazio salute in cui Valuh ha dialogato con: Eleonora Guidubaldi ostetrica specializzata in riabilitazione del pavimento pelvico e nel dolore pelvico cronico; Alice Mormino psicologa specializzata negli ambiti endometriosi, dolore cronico, infertilità; Hellsy rapper e attivista transfemminista, cofondatrice di Zena Trans; Mattia Piccinini psicologo, psicoterapeuta, consulente sessuale e membro del Comitato Pari opportunità dell’ordine delle psicologhe e degli psicologi della Liguria.

La dottoressa Guidubaldi, ostetrica, ci parla di come la salute mestruale sia ancora oggi un tabù e il dolore mestruale sia normalizzato, anzi sembra che se soffri sia quasi meglio.

Tu donna partorirai con dolore, quindi la relazione fra femminile e dolore è vista come la norma.

Le donne che soffrono di endometriosi o dolore cronico faticano a ricevere diagnosi tempestive e spessissimo vengono etichettate come esagerate, come se tutto fosse normale e fossero loro a lamentarsi troppo di un dolore che hanno tutte, quindi non scoprono o scoprono tardi di aver bisogno di cure specifiche.

Non riuscire ad alzarsi dal letto, vomitare, non poter fare nulla nei giorni delle mestruazioni non è normale anche se spesso le figure mediche tendono a normalizzare il dolore o dire alle pazienti che esagerano, che sono troppo sensibili, che si devono rilassare o magari bersi un bicchiere di vino.

Tante donne si sono rivolte all’ostetrica come se fosse la “strega del villaggio”, l’ultima spiaggia a cui approdare quando il parere del medico non ci sembra normale pur avendo consultato decine di dottori e psicologi che non sono giunti a una diagnosi. 

Il ritardo nelle diagnosi delle patologie ginecologiche è di 7 -10 anni, ancora di più per l’endometriosi soprattutto se presente sin dalla prima mestruazione. Tutto questo è inconcepibile.

La diagnosi non può essere fatta dall’ostetrica che rimanda a specialistɜ competenti su quel tipo di patologia. Non sono patologie semplici, richiedono una cura prolungata nel tempo, ma già che siano riconosciute è un piccolo passo avanti.

Spesso si invalida il dolore dicendo che è psicosomatico, come a voler dire che quella sofferenza non è reale ma esiste solo dentro la tua testa, che è da delegare alla psicologia anziché affrontarlo dal punto di vista sanitario. Il dolore è reale, ma se il mio corpo di donna sta male tutti i mesi e quindi sa che stanno per arrivare mestruazioni dolorosissime è ovvio a quel punto che si aggiunga anche una componente psicologica di ansia anticipatoria; ma quella è la conseguenza, non la causa.

Spesso si suggerisce alle pazienti di dimagrire: si parte quindi indirettamente dall’aspetto corporeo, e poi si indaga tutto il resto, solo dopo si iniziano le indagini diagnostiche.

Questo non è corretto perché non è la forma del corpo ad avere la precedenza nel determinare la salute della persona.

Chi lavora in ambito sanitario ha a che fare con le persone prima che con i loro corpi, ma è difficile prendersi il tempo per ascoltarle soprattutto all’interno del sistema sanitario pubblico che è sotto organico, questo porta spesso a concentrarsi sul sintomo più visibile anziché sulla complessità del problema.

La dottoressa Mormino, psicologa, introduce il concetto di Medical gaslighting, cioè farti credere che non stai sentendo davvero quello che senti, si viene invalidatɜ da una figura in ambito sanitario e medico attraverso frasi subdole come “è normale”, “sei fatta così”.

Questo può accadere anche in seguito ad esami considerati oggettivi come una risonanza che apparentemente evidenzia che sia tutto a posto, ma bisogna tenere conto che anche un esame del genere va interpretato da occhi esperti capaci di identificare una determinata patologia.

È un problema quando vengono svalutati i sintomi, perché questo porta a far sì che professionistɜ medichɜ non identificano la patologia.

Questa invalidazione che arriva dall’esterno, per giunta da un’autorità come unə medicə, porta credere di avere una soglia del dolore bassa, di essere noi il problema e di non riuscire condurre una vita normale per via di un dolore che sentono tuttɜ, questo porta a isolarsi rispetto allɜ altrɜ.

Cosa succede dopo la diagnosi?

Non è un punto di arrivo che fa sì che tutto diventi semplice, perchè vulvodinia ed endometriosi non sono patologie socialmente riconosciute, sono malattie di “serie B”.

Affermano che di queste patologie non si muore ma la verità è che di queste patologie non si vive neppure perché sono invalidanti e di difficile gestione e conciliazione con la vita quotidiana, inoltre l’ansia e la depressione che possono conseguirne possono essere mortali.

Se nessunə ascolta lə paziente e lə prende sul serio, la persona si ritrova solə e questo è un fattore di rischio per patologie psicologiche che possono essere mortali.

Viceversa far sì che le persone non si sentano sole è un fattore protettivo e preventivo.

La diagnosi è un momento psicologicamente ambivalente, perché quell’etichetta è un peso, ma anche un po’ un sollievo perché finalmente si dà un nome a qualcosa e finalmente ne viene riconosciuta l’esistenza. Gli spazi di condivisione anche virtuali tra persone che hanno la stessa esperienza permettono di non sentirsi solɜ e isolatɜ.

Di endometriosi soffre una donna su 9, sono tantissime persone, ed è un dato ancora sottostimato, ma non è una patologia visibile e dunque la paziente non percepisce quanto la sua non sia un’esperienza isolata.

La nostra società invisibilizza questo tipo di patologie.

Cosa c’entra il patriarcato?

I corpi femminili e (ancor più i corpi queer) non sono studiati abbastanza in ambito sanitario.

Hellsy racconta di come le persone trans che intraprendono un percorso medicalizzato vanno incontro a lacune burocratiche, dopo la rettifica anagrafica non ricevo le informazioni per screening medici ad esempio per i controlli della prostata e questo influisce negativamente sull’accesso alle cure.

In un sistema estremamente binario una donna trans riceve dall’ASL le informazioni per mammografie o screening all’utero che non ha, ma non per la prostata che invece ha conservato nonostante gli interventi di rassegnazione di genere.

Questo è un bug nel sistema sanitario ma paradossalmente sono le persone a finire per sentirsi il problema.

La legge 164/82 che permette “il cambio di sesso” con questa definizione molto datata, non riguarda la salute delle persone trans, è una sanatoria di una situazione problematica in cui le persone andavano ad operarsi all’estero, si passa così nei documenti da M a F o viceversa, ma non viene riconosciuta l’identità trans, che viene così invisibilizzata.

La certificazione di incongruenza di genere è qualcosa che ti devi “meritare” passando per molti test e colloqui psicologici e medici che mettono in dubbio la tua sanità mentale, bisogna avere una certa struttura di sicurezza emotiva per riuscire ad affrontarlo.

Spesso sono lɜ pazienti trans a dover fornire informazioni mediche sugli ormoni alle medichɜ che dovrebbero curarli.

Se una persona va dallə gastrointerologə non è interessata a come funzionano i succhi gastrici, mentre una persona trans finisce per essere espertə di endocrinologia perché il personale medico che dovrebbe saperlo non lo conosce a sufficienza.

Spesso sono realtà dal basso che creano servizi e informazioni e che arrivano perfino a fare formazione specifica allo staff professionista sanitario.

Ne sono esempi la Cassetta degli attrezzi del Sextival (evento svoltosi a Rapallo di cui avevamo parlato qui), Non Una di Meno e Osservatorio Salute.

Il dottor Piccinini parla della presenza dello sguardo patriarcale nell’ambito della salute mentale. Il comitato pari opportunità dell’ordine delle psicologhe e degli psicologi di cui è membro ha lottato per aggiornare il nome dell’ordine stesso perché fino a pochi anni fa era solo al maschile, psicologi, pur avendo fra le iscritte per il 70% donne.

Fino agli anni ‘90 l’Ordine non accettava psicologi omosessuali per via della presunta origine traumatica dell’orientamento sessuale, fino al 1973 l’omosessualità era considerata un disturbo mentale dal Manuale Diagnostico delle Malattie Mentali (DSM), solo nel 2013 il DSM non parla di “disturbo di genere” ma di “disforia di genere” per le persone trans e solo dal 2014 le persone trans sono ammesse all’Ordine delle Psicologhe e degli Psicologi.

Anche per quanto riguarda la professione di psicologə il coming out è spesso osteggiato in ambito lavorativo.

Anche nella formazione dellɜ psicolghɜ non si parla di sessualità, psicologia di genere, queerness, bdsm, famiglie poliamorose che sono le persone alle quali Piccinini sta accanto come professionista.

Queste persone sono abituate a essere viste come sbagliate, ma occorre ricordarci che la parola “normale” non significa in salute o migliore, ma ha origine dalla statistica e significa semplicemente “più frequente”.

Se i corpi sono bizzarri, come nel significato etimologico di queer, non è facile creare un prodotto vendibile, quindi il capitalismo per vendere i propri prodotti cerca di controllare i corpi e renderli omogenei.

Corpi liberi e ZenaTrans sono progetti di Liguria Pride, spazi di confronto e alleanza intersezionale per creare uno sguardo queer che sostituisca quello patriarcale.

Continua a seguirci per leggere i prossimi articoli sulla giornata!
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Immagine di copertina:
Locandina dell’evento. Graphic designer Paolo Bona


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