La nascita e la storia delle università italiane è lunga e sfaccettata: iniziarono a comparire tra l’XI e il XIII secolo, inizialmente sotto forma di semplici associazioni studentesche non molto diverse dalle corporazioni, che si occupavano del funzionamento della didattica.
Una delle università italiane più antiche nasce a Bologna, madre (insieme a quella di Parigi) di tutte le universitates che comparvero da lì a poco.
Sin dagli inizi le università iniziarono ad accumulare oggetti, quali scettri, sigilli, documenti e ritratti. Per non parlare dei libri.
L’“invenzione” dei musei universitari è databile intorno alla fine del XVI secolo; nel 1683 l’Ashmolean Museum di Oxford aprì un’esibizione permanente al pubblico. Pertanto, i musei universitari hanno radici più antiche rispetto a quelli non universitari, così come le collezioni universitarie si collocano in tempi più remoti rispetto ai musei che le espongono.
Ed è proprio la loro antichità che, insieme alla loro storia, ci spiega il motivo delle dodici milioni di opere presenti all’interno delle università italiane10.
Il paradosso di tutto ciò?
Nonostante la ricchezza presente negli atenei e l’elevato numero di persone che frequenta questi luoghi, la conoscenza che si ha dei tesori conservati è veramente limitata.
Nel 2015 c’è stato un primo tentativi di mappare quest’universo invisibile: il Centro Studi e Archiviazione della Comunicazione (CSAC) dell’Università di Parma ha realizzato uno studio in collaborazione con la Business School de Il Sole 24 ore. La ricerca si è basata su un questionario, inviato a tutte le università pubbliche e solo ad alcune private: di settantuno solo quarantuno atenei hanno risposto. Tra questi, ben ventinove dispongono di una collezione.
Le raccolte prese in esame dallo studio riguardano pittura, scultura, arti decorative, disegni, fotografie e archivi d’arte. È stato invece escluso il patrimonio di immobili, arredi, biblioteche, musei di storia naturale e scientifici.
Questo è un altro dato interessante, soprattutto perché un terzo dell’universo museale sembrerebbe appartenere all’area biologica. La stessa Università degli Studi di Genova conta ben quattro musei e una collezione legati al campo scientifico. Questo ci mostra quanto più esteso sarebbe il patrimonio universitario.
Ma torniamo ancora un attimo sulla ricerca.
Nel complesso, il valore totale delle dodici milioni di opere mappate è di circa 365.000.000 euro. Come vengono gestiti questi musei? Nel 2012 il Miur si interessò finalmente alla valorizzazione di questo patrimonio nascosto, promuovendo “Progetto rete musei universitari” con un budget di 875.000 euro, coordinato da Unimore (l’unica università italiana che nel 2012 offriva un master in Catalogazione e accessibilità del patrimonio culturale), per catalogare e pubblicare sui vari siti web i musei e le collezioni.
Plot twist (o forse no): un monitoraggio completo non è mai stato effettuato. Il catalogo realizzato si limita a sedici università, per un totale di sessantotto musei e trentotto collezioni. In realtà, nel 2015 si contavano ben centonovantotto musei e quarantaquattro collezioni.
Insomma, sia la ricerca che il progetto risultano incompleti e ciò deriva principalmente dalla mancanza di proattività delle stesse università.
Esistono altri enti che si occupano di catalogazione, promozione e comunicazione dei musei universitari
UMAC, commissione concepita dall’International Council of Museum (ICOM), è la sostenitrice globale dei musei dell’istruzione superiore e delle collezioni di tutte le discipline. La missione di UMAC è quella di contribuire alla società, a beneficio di tutti, sostenendo lo sviluppo continuo dei musei e delle collezioni universitarie come risorse essenziali dedicate alla ricerca, all’istruzione e alla conservazione del patrimonio culturale, storico, naturale e scientifico. [T.d.A.]
Nel database di UMAC sono presenti ben 236 tra collezioni e musei universitari italiani, tra i quali possiamo trovare anche quelli genovesi.
Genova vanta infatti un “piccolo” patrimonio universitario: il Museo di Chimica, quello di Fisica, di Biologia (contenente collezioni di Anatomia Comparata) e il Museo Nazionale dell’Antartide. I pezzi presenti al loro interno appartengono al periodo tra il Seicento e il tardo Novecento. Il Museo di Chimica espone circa 650 oggetti e strumenti scientifici, ed è stato allestito all’interno di un laboratorio dei primi anni del Novecento.
In ciascuno dei musei, che si trovano nei vari dipartimenti, è possibile effettuare visite guidate; su YouTube sono stati pubblicati anche alcuni video di presentazione.
Curiosando tra i vari siti web dei musei universitari, sia genovesi sia di altre città, ci si accorge subito della mancanza di una comunicazione efficace, di un aggiornamento costante e soprattutto di un coinvolgimento necessario per attrarre i giovani e gli studenti (ma non solo).
Pertanto mi chiedo se la responsabilità delle università sia “solo” quella della ricerca e dell’insegnamento, oppure se possa esserci spazio per una terza missione: la conservazione e soprattutto la diffusione del loro (e nostro) patrimonio storico-culturale.
Immagine di copertina:
Foto di Cristina Gottardi
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