STORIE CHE CI ABITANO | “X” di Valentina Mira e il racconto della violenza

STORIE CHE CI ABITANO | “X” di Valentina Mira e il racconto della violenza

Una storia che non viene mai raccontata, un romanzo sincero che scardina il modo comune di pensare e immaginare la violenza sessuale.
21 Febbraio 2024
3 min
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Tra le ragioni per cui mi piace leggere e sono contenta che i libri facciano parte della mia quotidianità, spicca la sensazione di “essere abitata” dai personaggi dei libri che ho letto, dalle loro storie, dal loro sguardo. Rimane tutto dentro, mi formano i pensieri, si accendono dei collegamenti tra quello che vivo in prima persona e tutto quel materiale di parole e storie e luoghi che mi abitano.

Una casa dove torno dopo tanto tempo e che realizzo essere stata l’ambientazione immaginaria di quei romanzi, una persona che parla di un’isola che ho conosciuto attraverso un libro, una rabbia che qualcuno aveva descritto molto bene in quelle pagine lì. 

Succede spesso e cercherò di tenerne un po’ traccia in questi articoli, che delle parole risuonino, che senta la necessità di riprendere in mano un libro; è successo a seguito di due notizie di cronaca della scorsa estate, due stupri, Palermo, Caivano.

“X”

Il libro è uscito per Fandango nel 2021, l’ha scritto Valentina Mira. Si intitola X, come il tatuaggio sull’anulare, X come il tabù, X per ricordarsi che si può dire no, il segno che indica il tesoro dei pirati, la voglia di dissotterrare i segreti, X come due strade che si incrociano, una farfalla stilizzata, un’incognita.

E’ un libro che generò in me dei pensieri nuovi quando lo lessi, che poi è una delle cose migliori che possano fare i libri, riguardo allo stupro.

Generò dei pensieri nuovi, perché racconta una storia che non viene quasi mai raccontata: uno stupro vero, uno stupro banale. Niente a che fare con vicoli bui e sconosciuti e rapimenti e mostri, piuttosto con una festa d’estate, l’estate della maturità, un ragazzo con cui ti stai baciando, gli alcolici zuccherosi, i no che non vengono rispettati.

Il racconto dello stupro è all’inizio del libro, è breve, è asciutto, perché la storia non è quel momento lì, che sarebbe più che sufficiente per essere una storia, per quanto è grande violare dei confini, per il senso di disgusto, per il potere.

La storia è tutto quello che succede e non succede dopo.

La storia è quanto questo evento sia enorme dentro chi l’ha subito, ma fuori, tra di noi che siamo tutti gli altri, sia piccolo, il dolore poco comprensibile, il fatto raccontabile da punti di vista diversi. La storia è come tutto allontana anche la persona stessa, dall’unica verità, la propria: ho detto no e lui l’ha fatto lo stesso, lui mi ha stuprata.

L’autrice racconta con il proprio nome, la propria faccia, la propria famiglia una storia che tutte noi sappiamo essere collettiva: è lei ma sono mille altre che non lo possono dire, è G., fascistello romano, ma sono tanti altri.

Leggendo, la storia prende spazio, il vuoto che ha lasciato la violenza si riempie finalmente di parole, non è bastato a riempirlo il naso nuovo, il tempo, ferirsi la pelle delle cosce, leggere, studiare.

Le storie che non verranno mai raccontate

Mi è tornato in mente questo libro per le ragazze violentate a Palermo e Caivano, ma soprattutto per tutte le storie che non verranno mai raccontate, non verranno neanche mai riconosciute. 

Ci sono storie che ci indignano molto facilmente, su cui si spendono tante parole, e che ci servono per continuare a dividere quello che riusciamo a chiamare stupro senza esitare da tutto il resto; focalizzarci su quello eclatante, senza possibilità di dibattito, e dimenticarci di quelli quotidiani. 

La storia di Valentina Mira ci ricorda che episodi come questi (con gruppi di sconosciuti e minorenni nel buio della notte) sono eccezioni, ma la regola (ed è una regola) è molto più banale di così. E nella regola c’è la vergogna, ci sono dei sì e dei no, c’è il non aver avuto abbastanza “occhi aperti e testa sulle spalle”. E noi, come società tutta, avvalliamo questo assurdo scambio di responsabilità: l’ha fatto lui ma è colpa mia.

Da questo meccanismo così violento, in cui la colpa è tutta nostra, e non c’è spazio per nessuna riflessione, messa in discussione, mi difendo con questo libro, con altri libri che ancora devo leggere, con le parole attente, arrabbiate, che scambio con le persone di cui mi circondo, con le storie di violenza che accolgo.

“X” racconta tante altre cose, la protagonista cresce, nella sua vita di donna e giornalista incontra spesso uomini “con la faccia di chi è abituato al potere”, il sesso diventa strumento di potere in altre occasioni, il libro è sempre bello e doloroso e ben scritto  e sintetico. 

La storia finisce, o inizia, con tre grandi parole scritte, catartiche:

“la mia grafia, di solito piccola, quasi timorosa di occupare spazio, oggi se lo prende tutto; le parole appaiono come se a scriverle fosse qualcun altro, qualcun’altra, una o tutte, io o le altre – quelle ammazzate, quelle picchiate, quelle violentate, quelle invendicate, quelle silenziate – tutte e nessuna, e di nuovo io.”

STORIE CHE CI ABITANO | “X” di Valentina Mira e il racconto della violenza
Foto di Emanuela F.

Immagine di copertina:
Grafica wall:out magazine su foto di Emanuela F.


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Emanuela detta Malo, genovese classe 1996, vive e lavora Torino, dove si è trasferita per l'università e non se ne è più andata. Gira per la città in bicicletta, lavora come psicologa collaborando con diverse realtà del terzo settore in progetti rivolti a persone migranti. È un'appassionata lettrice e nuotatrice: poiché la gran parte dei libri che possiede, e il mare, sono a Genova è facile capire che non se n'è mai andata del tutto.

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