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RIFERIMENTI PER IL PRESENTE | Filtri di Instagram e modificazione del volto

Snapchat, FaceApp, ecc: vediamo continuamente i nostri volti mutati o distorti all'insegna della bellezza e del divertimento. C'è chi ha mutato il suo volto all'insegna di qualcosa di più.
30 Giugno 2020
4 min
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Selfie invecchiati, immagini di noi con naso e orecchie da gattino, maschera da robot, i nostri volti con i tratti somatici di un amico. E ancora, noi versione baby Yoda, noi super modelli, dentro alle opere d’arte, più belli, con i baffi, con gli occhiali, mutati di sesso. 

Siamo noi, perfettamente a nostro agio nel nostro mondo, nel nostro tempo.

È una storia molto lunga quella del ritocco dei volti, dalla cosmesi a photoshop, e ha un solo principale filo conduttore: rendere attraente l’immagine.

Che l’immagine debba essere attraente, of course, è una faccenda commerciale, e siamo tutti coinvolti. Anche il divertimento è attraente. Più è curioso, bizzarro, freak, più interessa e riceve like. Inutile sottolineare quanto i like siano una faccenda commerciale, e quanto – di nuovo – siamo tutti coinvolti.

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Parliamo di arte, categoria oggi più che mai difficile da definire. 

Dimentichiamo per oggi il sistema, il commercio, il prestigio, i musei e le aste.

Oggi siamo studenti di un’Accademia di Belle Arti un po’ provinciale, dove si studia e si discute unicamente di stile e di poetica (Ringrazio il cielo, dove ho studiato io).

Gli artisti che lavorano con le immagini – i degni di essere reputati tali – generalmente aborrono l’immagine attraente. All’inizio sembra difficile da capire, ma in realtà è abbastanza semplice: l’immagine attraente, costruita per piacere, è un ottimo lavoro pubblicitario, grafico, comunicativo. Ma è un prodotto, alla stregua di un divano Ikea o di un Big Mac. Un’opera, invece, è ben altra cosa.

Dal momento che il ritocco del viso a fini estetici esiste da un bel po’, e il selfie da più tempo di quanto immaginiamo, possiamo incontrare davvero molti artisti che hanno lavorato con l’immagine di loro stessi (affermiamo pure, ma in punta di piedi, “autoritratti”) ponendosi in posizione critica rispetto alla “bellezza” commerciale, che per via della sua natura pop, così largamente diffusa e uniformata, raccoglie in sé inevitabili stereotipi e sensi comuni.

Vediamo tre artisti diversissimi tra loro che con stili, poetiche e obiettivi differenti hanno “ritoccato” i loro volti.

Übermalungensovrapitture – Arnulf Rainer

Link alle opere

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Übermalungen, Arnulf Rainer. Foto di Lorenz Seidler

Nato a Baden (Austria) nel 1929, Rainer inizia la sua attività negli anni cinquanta austriaci, in pieno clima di fermento culturale. Non è un caso che sia diventato un attivo esponente dell’Azionismo Viennese, movimento di body artdecisamente cruento, con istanze rituali e una forte esaltazione dell’espressione.

L’espressione, appunto, è il perno attorno a cui gira gran parte della sua attività. 

Opere come quelle della serie Übermalungen sono più da osservare che da commentare. Si tratta di fotografie su cui Rainer interviene pittoricamente perlopiù con pastelli a cera. Il suo intento risulta sempre chiaro: non decorare, ma enfatizzare l’espressione.

Parliamo di un artista che ha assunto svariate droghe per indagare il proprio io in condizioni differenti, e ha preso parte ai rituali estremi del sopracitato Azionismo Viennese: i segni che applica sui ritratti che lo rappresentano sono il risultato gestuale di istanze molto profonde.

Untitled (Facial Hair Transplants) – Ana Mendieta (1972)

Link all’opera

Voliamo negli Stati Uniti e nel 1972 assistiamo alle prime sperimentazioni artistiche della femminista Ana Mendieta, nata a Cuba nel 1948. Già a ventiquattro anni – la mia attuale età! ndr – emergono chiaramente alcuni dei temi sui quali si concentrerà negli anni a venire: l’identità e la distinzione di genere.

Dunque, nel 1972, la Mendieta compie un gesto: applica della barba sul suo viso.

Letteralmente, si incolla barba e baffi di un amico, Morty Sklar, suo compagno di studi dell’epoca. Il lavoro effettivo consiste in un gruppo di fotografie che documentano processo e risultato finale.

Con questa azione la giovane Mendieta mette in scena un genere sessuale mutante e attiva una riflessione sulla concezione culturale del corpo, in particolare del volto, sottolineando il fatto che le classificazioni sessuali sono convenzioni sociali, con tutto quel che ne consegue.

Né la prima né l’ultima artista a problematizzare l’identità di genere, Mendieta si concentra su un tema estetico che diventa sociale e politico: il potere che hanno i modelli normativi di bellezza.

Untitled Film Still – Cindy Sherman (1977 – 1980)

Link all’opera

Poco dopo, sempre negli USA, un’altra artista ventiquattrenne di nome Cindy Sherman cominciava le sue sperimentazioni. Untitled Film Stills è una serie di sessantanove fotografie in bianco e nero realizzate tra il 1977 e il 1980, dove la ragazza appare nelle vesti di personaggi fittizi, in scenari che ricordano momenti di film. 

L’artista, qui, è attrice, regista, assistente di guardaroba, scenografa e (pure!) cameraman. Abiti vintage, parrucche e trucco le sono necessari per interpretare una vasta gamma di personaggi – tutti femminili. Si camuffa, si traveste, si trasfigura. Poi, si immortala in pose artefatte che richiamano immediatamente a fotogrammi di film: nessun film in particolare, solo scenari attentamente studiati che evocano l’estetica e le narrazioni Hollywoodiane. 

È un lavoro critico sull’estetica del cinema, sullo stereotipo della bellezza e sull’immagine della donna: c’è il tentativo deciso di ricreare quelle “immagini perfette” delle pubblicità di Hollywood – così attraenti – non per vendere un prodotto, ma per smontare dall’interno una logica estetica egemonica, che alimenta i rapporti di potere più radicati.

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The Cindy Sherman equation, Scott Richard. Foto di Torbak Hopper

Rainer, Mendieta e Sherman sono solo alcuni tra gli artisti che hanno affrontato il tema della modificazione del proprio corpo e in particolare del proprio volto. Contesto di indagine decisamente stimolante e sempre più attuale.

Senza moralismo, ma con furiosa (cit.) presa di posizione, mi auguro che questi spunti ci permetteranno di guardare con occhi nuovi gli strumenti che abbiamo per le mani, e di servircene in maniera meno passiva: non più selfie coi baffi per asservire la società dello spettacolo, ma selfie coi baffi per indagare la costruzione sociale del genere, il potere culturale dello stereotipo, la “bellezza” e “il divertimento” come base della nostra comunità.

Immagine di copertina:
wall:in media agency


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Membro del duo curatoriale Mixta con il quale si occupa di progetti artistici che siano attivatori sociali. Ha curato mostre, rassegne e festival negli spazi pubblici, nelle periferie e nei luoghi istituzionali della città di Genova. È anche fondatrice e CEO di Wanda, associazione per la trasformazione culturale, che accorcia le distanze tra le nuove generazioni e la cultura.

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