Raccolta differenziata

Mugugni sulla raccolta differenziata

“Tanto poi mischiano tutto insieme”. Andiamo un po’ a fondo sul perché non può essere una scusa partendo da riflessioni e dati.
27 Febbraio 2021
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“Tanto poi mischiano tutto insieme”. Quante volte parlando di raccolta differenziata abbiamo sentito questa affermazione. Spesso colorita da testimonianze del cugino di turno che aveva visto con i suoi occhi l’operatore mischiare tutto.

È vero o è il solito mugugno?

La prima risposta che bisognerebbe dare quando sentiamo questa lamentela può sembrare una provocazione: “E anche fosse?”

Mi spiego: introdurre la raccolta differenziata è prima di tutto utile per educare la cittadinanza a farla. È un processo lungo, per cui serve che vi si applichi non solo chi ci crede e la fa con convinzione, ma anche chi pensa che sia inutile e chi, ogni volta che mangia una merendina, poi si guarda intorno spaesato per dieci minuti senza capire di che materiale è fatta la confezione che ha in mano. 

Nel nostro paese stiamo appena iniziando a imparare come fare correttamente la raccolta differenziata e i dubbi sono per tutti all’ordine del giorno: nella mia famiglia, per esempio, spesso ci si fanno domande esistenziali su dove buttare i rifiuti e non sempre si arriva a una risposta (a proposito, abbiamo in parte risolto stampando e tenendo in cucina questo: L’Alfabeto del Rifiuto >>).

La tendenza per il futuro è di aumentare sempre di più il riciclo, quindi è necessario in ogni caso che si impari a fare la differenziata e soprattutto che ci si abitui a farla.

Può sembrare banale, ma ci sono generazioni che hanno vissuto la maggior parte della propria vita senza preoccuparsi della spazzatura che producevano e che negli ultimi vent’anni hanno dovuto imparare qualcosa di totalmente nuovo. Spesso sono i bambini o gli adolescenti ad aver portato questa abitudine in casa, perché imparata a scuola: non è facile trovare canali efficaci per insegnare qualcosa agli adulti, mentre è molto facile educare le nuove generazioni e sperare che a loro volta diano il buon esempio. A molti sarà capitato di imparare a scuola che è importante chiudere l’acqua del rubinetto mentre ci si lava i denti e di aver poi sgridato un adulto perché non lo faceva: il principio è esattamente lo stesso.

Il modo in cui un comune decide di trattare i rifiuti dipende dagli investimenti che fa e che non sempre vanno di pari passo con l’organizzazione della raccolta dei rifiuti stessi. 

Immaginiamo di investire una grande somma di denaro per un impianto all’avanguardia per riciclare un materiale specifico: vorremmo avere la sicurezza di poterlo usare appena finita la costruzione, ma ciò sarebbe possibile solo se quel materiale arrivasse già diviso dal resto. Sarebbe decisamente più complicato, invece, se si cominciassero a differenziare i rifiuti solo una volta pronto il macchinario, poichè finiremmo per lasciarlo inutilizzato per diverso tempo.

Per arrivare a capire quale modello di raccolta funzioni meglio è necessario sperimentare. Ci sono casi in cui la raccolta porta a porta conviene, altri in cui comporterebbe costi troppo alti e bisogna quindi trovare altre tecniche più vantaggiose; è importante fare queste valutazioni basandosi su dati reali, che si possono avere solo quando la cittadinanza si adopera concretamente per la raccolta differenziata.

Queste analisi spesso permettono anche di comprendere quali impianti conviene costruire e quali sarebbero poco utili, oppure su quali tipi di rifiuti bisogna porre più attenzione. Ad esempio, nel comune di Genova, i dati dicono che dobbiamo differenziare meglio la frazione organica e molti dei prossimi investimenti che Amiu ha comunicato di fare serviranno proprio per provare a migliorare questo dato (Dati Amiu e Piano Industriale). 

Mi rendo conto però che questa premessa non basta: è ormai da anni che ci siamo abituati a vedere cassonetti di colori diversi per la città e se fosse ancora tutto solamente a scopo educativo vorrebbe dire che si deve cambiare decisamente strategia. 

Cosa dicono i dati? Fondamentalmente due cose: la prima è che non “buttano tutto insieme”, perché almeno una parte dei nostri rifiuti viene differenziata e riciclata, la seconda è che non siamo per nulla virtuosi come città e dobbiamo fare molto di più.

I dati sui rifiuti differenziati dicono qualcosa a cui siamo abituati: il Nord Italia è perfettamente il linea con l’Unione Europea, ma la Liguria, e in particolare Genova, non riesce a tenere il passo. Certo la situazione è migliore rispetto a molte regioni e città del Sud, ma i dati non sono paragonabili alla Lombardia o al Piemonte.

Secondo l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), infatti, la raccolta differenziata dei rifiuti urbani nel 2019 è stata in Italia al 61,3%, al Nord Italia al 69,6% e in Liguria al 53,4%. Nella nostra regione, le province si dividono così: Genova 44,6%, Imperia 54,4%, Savona 61,4%, La Spezia 73,9%. 

Vogliamo girare il coltello nella piaga?

Il solo comune di Genova si ferma al 35% (abbiamo già parlato della disastrosa situazione dell’inquinamento marino qui: 505 kg di rumenta). Bisogna tenere presente il fatto che in generale le grandi città riescono a differenziare peggio rispetto ai piccoli comuni: organizzare la raccolta porta a porta in un paese di 5000 abitanti è ben diverso che organizzare un sistema funzionante in una città come Genova! La raccolta porta a porta sarebbe troppo complicata e costosa, allo stesso tempo è evidente che lasciare ai cittadini il compito di differenziare non abbia la stessa resa. 

Un altro dato importante è quanto dei nostri rifiuti finisce in discarica.

Seguendo l’idea dell’economia circolare, che secondo le linee guida europee dovrebbe essere il nostro obiettivo finale, è il tipo di smaltimento da evitare il più possibile.

In Italia, i rifiuti urbani che finiscono in discarica sono il 21%, al Nord Italia 11% e in Liguria il 37%. Prima di imprecare, bisogna aggiungere altri due elementi: per prima cosa, la quantità di rifiuti provenienti da territori extra regionali in Liguria è molto alta e incrementa di circa 14 punti la percentuale (da 23% a 37%); poi, i rifiuti smaltiti in discarica senza un trattamento preliminare sono pochissimi, meno del 2%, un risultato molto buono rispetto alle altre regioni.

Quindi non dobbiamo pensare al camion che, subito dopo aver ritirato la nostra spazzatura, va a scaricarla su un prato, ma a un passaggio in impianti costruiti appositamente per fare in modo che quello che finisce in discarica sia meno inquinante possibile e si degradi in fretta.

Secondo l’Unione Europea, ogni comune dovrebbe arrivare ad avere il 65% di raccolta differenziata e il 10% massimo di rifiuti che finiscono in discarica entro il 2035, e noi siamo ben lontani dall’obiettivo.

A chi vi dirà in futuro che fare la differenziata non serve perché tanto poi mischiano tutto insieme, rispondete che abbiamo degli obiettivi da raggiungere in fretta e che è lecito mugugnare, da buoni genovesi, ma solo se poi si fa qualcosa per migliorare la situazione.  E in questo caso, quello che possiamo fare per migliorare la situazione è semplicemente differenziare bene e in grande quantità.

Immagine di copertina:
Foto di Gary Chan


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Frequenta la magistrale di Ingegneria dei Materiali a Torino e nel frattempo si impegna a ridurre a zero il suo tempo libero. Lavora come animatrice scientifica, ama collegare la scienza alla politica e alla vita quotidiana e fa parte dell’associazione Libera contro le mafie.

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