“E per la barca che è volata in cielo
Che i bimbi ancora stavano a giocare
Che gli avrei regalato il mare intero
Pur di vedermeli arrivare”
Siamo nell’infanzia, dove la magia dell’innocenza non è ancora svanita. Gli adulti, i grandi, i vecchi ci guardano giocare con un occhio dolce, ricolmo di nostalgia. Ci regalaste il mare intero, finché fummo bambini; ci regalaste tutto il cielo, coperto da una patina di smog; ci regalaste tutto lo scibile e tutto il possibile, e imparammo che l’orizzonte esiste solo nei nostri occhi [Georg Simmel, “Saggi sul paesaggio”].
“Per il poeta che non può cantare
Per l’operaio che ha perso il suo lavoro
Per chi ha vent’anni e se ne sta a morire
In un deserto come in un porcile”
Imparammo che se tutto è possibile, ciò che non si realizza è un fallimento solo nostro. Perché se tutto si può e nulla si vieta, ciò che non accade è la colpa di qualcuno, è il freno di qualcun altro [Umberto Galimberti, “L’ospite inquietante – il nichilismo e i giovani”]. E così i poeti non possono più non cantare, e quando non cantano è una loro scelta, è la loro colpa. E l’operaio che perde il lavoro, se ventenne, perde con esso anche il proprio futuro. E com’è facile morire quando non si hanno più giorni da vivere; com’è facile lasciarsi andare, in solitudine o assieme ai propri vizi.
“E per tutti i ragazzi e le ragazze
Che difendono un libro, un libro vero
Così belli a gridare nelle piazze
Perché stanno uccidendo il pensiero”
C’è però un barlume di cristiana speranza: la piazza, le grida, la cultura. C’è speranza quando la generazione passata riconosce le proprie colpe, i propri omicidi. Quando un anziano saggio ci dice: “attenzione, stanno uccidendoci il pensiero”, egli si rivolge a noi con gli occhi ricolmi di futuro, si rivolge alla generazione successiva con un ultimo lamento disperato: attenzione, bei ragazzi, c’è ancora qualcosa da gridare nelle piazze.
“Per il bastardo che sta sempre al sole
Per il vigliacco che nasconde il cuore
Per la nostra memoria gettata al vento
Da questi signori del dolore”
Non tutti si salveranno, in questa o nella prossima generazione. Vigliacchi, bastardi, signori del dolore: saranno tutti partecipi al rifiuto della nostra memoria. E allora, se vogliamo salvare questa memoria condivisa, ricordiamoci insieme una cosa:
Avete rimpiazzato il vostro contratto a tempo indeterminato con la nostra precarietà.
Al posto di lamentarvi della nostra infondata pigrizia, offriteci un contratto simile: vedrete da voi che sappiamo lavorare a sufficienza per pagarvi le pensioni. Si chiamano patti intergenerazionali: se voi non sapete gestire la nostra generazione, noi non riusciremo a mantenere la vostra. E solo allora capirete quanto sarà difficile superare quella notte: la più lunga, la più buia, la più chiassosa, la più poetica.
“Chiamami ancora choosy
Chiamami sempre choosy
Che questa disperata notte dovrà pur finire
Perché la riempiremo noi, da qui, di musica e parole”
Fonte: “Chiamami ancora amore”. Testo di Roberto Vecchioni
Immagine di copertina:
Foto di Brett Jordan
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