Useless Idea

BEYOND GENOA SCENE | Useless Idea

Uno sguardo alle figure più rappresentative e agli artisti underground della scena elettronica genovese. Il secondo appuntamento con Useless Idea (Eves Music - WeMe).
3 Giugno 2020
6 min
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Beyond Genoa Scene (link) è una rubrica che consiste in una serie di interviste in profondità agli artisti elettronici del capoluogo ligure. Dj, produttori e performer ci raccontano del loro rapporto con la città, dei loro progetti, e degli approcci alla creazione e alla performance. Raccoglieremo storie, idee e contenuti dei musicisti e dei dj locali, al fine di promuoverli e fare luce sulle peculiarità della scena cittadina.

Il secondo ospite è Cesare Bignotti aka Useless Idea: musicista elettronico e label owner con un’attitudine unica, testimone privilegiato dell’underground cittadino. Muove le trame di diversi progetti musicali: ne parlliamo con il diretto interessato.

Useless Idea
Cesare Bignotti, in arte Useless Idea.
Foto di Alessandro Arcidiacono

F: Ciao Cesare! Come te la stai passando in questo periodo di reclusione?

C: Ciao! Passo il tempo a creare, suono e lavoro su alcuni video. Poco prima dell’epidemia ho acquistato un pianoforte verticale, che si è rivelato utilissimo per piegare lo stress dei primi mesi del Covid-19.

Sto provando a integrare alla mia musica alcuni vecchi brani fatti con strumenti preparati, eseguiti nel 2012 quando vivevo a Parigi per una residenza artistica, in cui ho avuto il tempo per lavorare in elettroacustico. Sto sfruttando il momento per terminare il lavoro e provare a integrare musica elettroacustica con elettronica.

F: Hai sempre vissuto a cavallo tra Genova e Londra: che influenza ha avuto su di te la capitale inglese?

Useless Idea
Useless Idea.
Foto di Alessandro Arcidiacono

C: Ho sempre subito l’influenza inglese, non solo a livello musicale ma anche visivo. Londra è sempre figa, ma non è più la Londra degli anni ’90: i club sono cambiati, anzi ne sono rimasti pochi e questi pochi stanno lottando duramente per la sopravvivenza. La vera cultura underground sta diventando sempre più periferica, in alcuni casi è la scena Brighton a essere più interessante. La city è stimolante per alcuni versi ma viverci è molto stancante. Le cose migliori le ho create a Genova: sotto molti aspetti è ottima per fare arte, hai poche pressioni e poca possibilità di distrarti o farti influenzare, quindi se sei realmente motivato puoi davvero trarne la migliore ispirazione e fare qualcosa di veramente creativo. Per questo motivo credo che quello che faccio suoni in qualche modo originale, non subendo l’influenza diretta della moda della grande città.

F: Passiamo alla tua musica: parlaci dell’album Acid Hologram, uscito su WeMe Records (label che ha pubblicato artisti del calibro di Dj Stingray, D’Arcangelo e Dmx Krew).

C: Acid Hologram è una raccolta di brani composti tra il 2013 e 2017, fa parte di una serie di lavori che racchiudono molte esperienze del sound da cui derivo, non solo Acid. Il disco è molto vario, e tratta generi estremamente distanti tra loro, tra Techno, Jungle, Electro, IDM, Ambient, Trance, e Acid. Un sound crudo, legato da elementi a sé stanti come incursioni Ambient e Noise, che variano in continuazione senza dare il tempo di percepire cosa sta accadendo. Questa è la tematica che sta dietro al disco: creare qualcosa di inaspettato, mostrare uno spaccato eterogeneo della musica che compongo, delle mie influenze e del mio carattere. 

Acid Hologram vuole essere underground, ma anche lanciare una strizzata d’occhio alla musica commerciale, mascherata da soluzioni che uniscono underground e popular: questo è uno dei motivi per il quale non ho inserito molta melodia, preferendo un sound che mostrasse l’opposto di quello che è la Acid oggi.

Idealmente questo disco voleva comunicare che le cose possono essere ancora fatte in modo differente, basta fare tutto quello che non fanno gli altri, senza paura e senza prendersi troppo sul serio. L’umorismo nella musica è una componente essenziale per un musicista sperimentale.

F: Ci racconti del tuo processo creativo?

C: Molte delle mie composizioni nascono involontariamente. Lavoro a più tracce contemporaneamente, spesso di generi differenti: questo mi permette di non annoiarmi mai e di lavorare su più materiale in modo disinvolto. Mi piace giocare con il suono, e soprattutto “suonare” il suono e non uno strumento. Sono un’autodidatta dislessico che ha un problema di sinestesia; la dislessia mi ha fatto rifiutare le regole della didattica convenzionale, sono sempre stato un pessimo studente e ho dovuto costruirmi i miei metodi che hanno indubbiamente influito sulla mia produzione artistica. 

Quando ho iniziato a suonare non vivevo in una grande città: Genova era un paesone, e confrontarsi sulla musica elettronica spesso era difficile. Non c’era una grande cultura elettronica, e i miei amici ascoltavano punk. Lo stesso internet era ancora in una fase preistorica, e conoscere qualcuno con le stesse passioni era infattibile, figurati qualcuno che potesse insegnarti qualcosa. Penso che anche per questo motivo le cose che uscivano erano strane, per un’attitudine fuori contesto.

Cesare Bignotti
Cesare Bignotti, in arte Useless Idea.
Foto di Alessandro Arcidiacono

F: Sei anche la testa dietro all’etichetta EVES Music, che pubblica artisti di tutto rispetto sia italiani che stranieri.

C: EVES nasce da un pretesto: la volontà di creare un territorio neutro, in cui conoscere artisti indipendenti che realizzavano musica insolita di ogni genere, produttori emarginati come potevo essere io o Leonardo, l’altro ragazzo che nei primi sei anni ha fornito un contributo importante. 

L’idea che stava alla base era l’interesse nel conoscere artisti indipendenti, rintracciarli e costruire qualcosa assieme a loro, anche se a nessuno sarebbe interessato. Per me l’attitudine è sempre stata al primo posto, il fare qualcosa perché è importante per se stessi. EVES supporta artisti che amano la musica, persone interessate esclusivamente a esprimere questa necessità. Noi facciamo musica per musicisti e appassionati. Pubblichiamo musica che altri non hanno il coraggio di promuovere.

Molte etichette creano un filone di uscite di genere e stile uguali. Catalogando si corre il rischio di ripetersi in un loop continuo: per quanto possa dare un riscontro positivo iniziale, a me non piace come formula. Questo modo di fare musica copia e incolla alla fine porta solo su strade già percorse. Essendo una realtà indipendente EVES si basa su poche uscite all’anno, e propone uno spettro diversificato di generi e stili: un po’ di Acid, un po’ di Hip Hop, un po’ di Ambient e così via. 

F: Parlaci della tua ultima uscita per EVES Music.

C: Recentemente ho pubblicato il mio ultimo disco che si chiama Xa Pah, è un disco prevalentemente Ambient e mi sto dedicando a promuoverlo. È estremamente differente da quello che conoscono le persone che mi seguono. È stato fatto in concomitanza con un’altra uscita, quella di Xoop, un mio coetaneo che spacca nell’underground italiano. Abbiamo creato un bel viaggione, perchè le abbiamo unite in un’unica uscita di 18 tracce le mie e 14 tracce sue. Li abbiamo collegati ad un concept unico per l’ascoltatore: sono degli open work, e vogliono lasciare all’ascoltatore totale facoltà di interpretazione.

F: Pensi sia ancora importante l’intermediazione dell’etichetta tra musicista e pubblico?

C: Oggi giorno ognuno può pubblicare da sé su piattaforme come Bandcamp o Spotify e affidarsi alla distribuzione digitale, ma certi generi non sono adatti a certi formati, e certi artisti hanno bisogno di essere consigliati, stimolati e seguiti. Molte etichette prendono le tracce e ci fanno un disco: noi curiamo la selezione, la tracklist, la grafica, in alcuni casi facciamo da produttori esecutivi, produciamo il disco con un missaggio di qualità superiore e curiamo il master. 

Mantengo un dialogo con gli artisti coinvolti anche dopo la loro pubblicazione. Spesso supporto gli artisti a pubblicare per altri. Mi piace molto relazionarmi con i giovani, perché la loro musica è grezza e quindi onesta, puoi consigliare e dare loro una forma che permette a entrambe le parti di imparare.

F: Passiamo alla situazione genovese: cosa pensi che manchi di più alla scena locale?

C: A Genova manca tutto ma allo tesso tempo non manca nulla. Molte persone portano avanti progetti interessanti nel sottobosco. È una città difficile, come ho detto non è influenzata dalle mode, per via anche di una forte critica interna verso il nuovo, ma molti miei coetanei fuori dalle mura di casa hanno spaccato e continuano a spaccare. Il problema è che a loro non interessa più mettersi in mostra sul territorio.

F: Per concludere, quali sono secondo te le criticità che influiscono sulla salute della scena?

Cesare Bignotti
Useless Idea.
Foto di Alessandro Arcidiacono

C: I locali non sono mai esistiti: Genova è una città di teatri. Negli anni 2000 i club ce li creavamo da noi, vedi Martino Marini (Mass_Prod), con la programmazione del Mascherona o del Club 74, e ancora prima quando mettevamo musica al Fly, locale sperduto nelle viscere più fetide dei vicoli e con la gente meno raccomandabile. Erano pur sempre realtà autentiche che permettevano di esprimere qualcosa di inedito e ti supportavano anche economicamente. Al giorno d’oggi la più grossa problematica è la difficoltà nel relazionarsi, ma le situazioni fighe ci sono. Bisogna unire i puntini e creare link tra persone competenti e disposte al dialogo per creare qualcosa di inedito.

F: Mi sembra un ottimo punto. Grazie per questa chiacchierata!

C: Grazie a voi 🙂

Immagine di copertina:
wall:in media agency


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Classe 1996, genovese di nascita, studia Comunicazione e Società presso l’Università Statale di Milano. Fondatore e direttore artistico del progetto CODE WAR, nonché dj e produttore, vive a Genova per dedicarsi radicalmente a coltivare la scena locale e a costruirsi un futuro come operatore culturale. È il presidente dell’Associazione Culturale CDWR.

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