“Anemmu” è un progetto che l’Associazione Libera e l’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni di Genova ha rivolto ai ragazzi dell’area penale che stanno affrontando un percorso di giustizia riparativa, basato sul volontariato, sulla partecipazione e la co-responsabilità.
Al progetto partecipano anche altre associazioni, tra le quali A.d.e.s.so., a cui è dedicata la seconda parte di questo pezzo. | LINK ALLA SECONDA PARTE >
Anemmu è un progetto nato dall’idea di dare ai ragazzi la possibilità di spronarsi a vicenda e di mettere al centro il tema della “scelta”, di usare il “gruppo” come luogo per affrontare le difficoltà personali, attraverso i temi dell’antimafia sociale.
“Anemmu” è anche e soprattutto un percorso che prevede incontri di informazione e formazione, occasioni di scambio e confronto con realtà diverse, basato sull’esperienza diretta e sul viaggio. I temi della legalità, della cittadinanza consapevole e dell’antimafia sono affrontati infatti attraverso campi di volontariato, dove i ragazzi possono toccare con mano situazioni complesse, ma anche storie di riscatto e resistenza civile, possibili e concrete.
Valeria, volontaria del Presidio Libera “Francesca Morvillo” di Genova racconta cosa è il progetto “Anemmu”:
Il progetto è nato a seguito della firma di un protocollo d’intesa regionale tra Libera Liguria e il Centro per la Giustizia Minorile per il Piemonte, la Valle d’Aosta e la Liguria nel 2012 e ad oggi ha interessato circa 90 minori e giovani adulti in Liguria.
Insieme alla dimensione locale, questo percorso si è inserito negli anni in una progettualità nazionale più ampia che ha preso il nome di Percorsi Amunì (“andiamo” nel dialetto siciliano), che ha visto Libera creare una rete di connessione tra vari territori per lo scambio di esperienze e di opportunità di crescita.
Sono presenti in Italia oggi circa 12 progetti.
L’attività socialmente utile nella sua forma tradizionale
Nell’ambito della messa alla prova, uno spazio rilevante è attribuito all’attività socialmente utile; a quella attività cioè, che nella realtà extragiudiziaria, viene svolta da volontari nell’ambito di organizzazioni no-profit e che viene richiesta invece come “obbligatoria” ai ragazzi che devono svolgere un progetto di riparazione del danno.
Vi è in questa visione un’evidente affermazione “retributiva” classica, sia pure traslata in una cornice emancipativa.
Inevitabilmente questa visione presuppone che l’attività di volontariato possa sollecitare gli aspetti proattivi ed empatici della persona, ma mantiene anche, almeno simbolicamente, una valenza afflittiva: la necessità di risarcire un danno arrecato.
Questa visione è proprio quella più diffusa fra i ragazzi che si apprestano a svolgere l’attività di “volontariato”, costretti in qualche modo dal percorso giudiziario pensato per loro, al punto che alcuni di loro lo definiscono ironicamente un “obbligatoriato”.
Permane, quindi, un substrato di costrizione, non necessariamente negativo, ma che comunque aiuta solo limitatamente a modificare gli atteggiamenti di fondo del minore che ha commesso un reato e talvolta anzi alimenta il suo sentimento di estraneità rispetto alle istituzioni.
Il limite è dato dal percepire l’attività socialmente utile come una “costrizione che ripete il gioco dell’afflizione”, come unico fattore deterrente rispetto al comportamento anti-sociale, piuttosto che perseguire la “modifica della visione del mondo”, che dovrebbe essere un obiettivo della messa alla prova.
Un nuovo modello di attività socialmente utile
L’applicazione di attività socialmente utili secondo una procedura routinaria, ha indotto in alcuni operatori dell’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni di Genova la necessità di cercare strade nuove, per puntare a una maggiore adherence.
[nda: La distinzione tra compliance e adhrence è quella che passa fra adesione passiva, ovvero quella conformità di chi accetta il percorso suo malgrado, per via, ad esempio, dei vantaggi processuali che ne derivano, e adesione partecipata, allorquando il percorso viene vissuto come qualcosa che sta facendo crescere e sta modificando la propria personalità e non viene più vissuto solo in termini di “dover fare”.]
Lo spunto è nato dalla preparazione della giornata della Memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime della mafia, che il 21 marzo 2012 si è tenuta a Genova. Con l’occasione si è costruito un piccolo gruppo di ragazzi da preparare a quell’evento e condurre alla manifestazione.
Si è trattato in sostanza di un percorso di “volontariato a tema”, dove si ritenevano i ragazzi degni di acquisire ulteriori conoscenze, piuttosto che relegarli a un compito di “servizio” che può essere rielaborato dal minore nei più diversi modi, anche come attività umiliante.
I temi al centro delle attività di gruppo sono stati: Legalità – Memoria – Cittadinanza – Viaggio.
La legalità è stata il nucleo fondante del percorso. Una elaborazione del concetto di legalità è alla base del percorso e si comincia ad apprendere all’interno dello stesso gruppo, che condivide le stesse regole e prescrizioni. Il tema attraversa in maniera trasversale tutte le attività che i ragazzi svolgono, da quelle informative e formative a quelle esperienziali.
La memoria è uno dei temi centrali e cari a Libera: la preparazione e la partecipazione dei ragazzi alla marcia in ricordo delle vittime di mafia, l’incontro con i familiari delle vittime e la conoscenza di storie e percorsi di riscatto sono momenti salienti della strada verso il cambiamento.
La cittadinanza esprime la preoccupazione, per gli altri, per l’ambiente in cui viviamo, per la dignità delle persone, in senso promozionale e di rispetto della dignità di ognuno. Aiutare i ragazzi a interessarsi e occuparsi del bene comune è una delle finalità principali del percorso.
Il Viaggio, nucleo portante di questa attività, è sempre consistito nell’intenzione di “andare”. I momenti di riflessione e di ascolto dovrebbero sempre essere connessi all’idea del viaggio, del cammino di conoscenza per confrontarsi con altre realtà, per “toccare con mano – come dice un volantino del progetto – cosa c’è oltre il nostro quartiere”.
Ma l’azione di “andare” ha anche un altro significato: quello di abbandonare una certa visione del mondo per abbracciarne un’altra o perlomeno confrontarla con ciò che si ha attorno, misurandosi con un mondo altro.
Agli adolescenti e specialmente agli adolescenti deprivati che frequentano i nostri servizi, puoi parlare di altre esperienze, di altre Weltaschaungen, ma le loro capacità di astrazione e di riflessione sono limitate.
Agli adolescenti, anche a quelli cosiddetti “normali”, devi far provare le cose – sperimentare – e quindi il viaggio è lo strumento attraverso il quale veicolare i messaggi di cambiamento attraverso un’attività che possa anche scaricare le enormi energie dell’adolescenza e incanalarle in modo costruttivo e formativo.
Il 26 aprile 2022 GoodMorning Genova ha incontrato i ragazzi del progetto Anemmu che il 21 marzo 2022 sono andati a Napoli alla manifestazione nazionale di Libera Contro le Mafie. Li ha accompagnati attraverso i vicoli di Genova in un tour dei beni confiscati alla mafia che si trovano nel Sestiere Della Maddalena.
Nel video le immagini del tour insieme alle voci dei ragazzi e l’intervista a Caterina Marsala, referente del progetto Anemmu sostenuto da Libera Liguria:
Il viaggio… in messa alla prova
Il viaggio ha sempre rappresentato il cuore del progetto, poiché spiazza il minore e la società, allorquando si offre a un soggetto che ha rotto il patto sociale, un premio invece di una punizione e lo espone a una vera rivoluzione esistenziale.
Il viaggio contiene in sé un complesso insieme di significati simbolici e ha un inestimabile valore di attività concreta.
Tra il 2013 e il 2018 i ragazzi di Anemmu hanno avuto la possibilità di vivere queste esperienze a Palermo, a Messina, a Marsala, di andare a Locri, a Casaldiprincipe, a Scampia, a Bologna, a Firenze, a Latina e a Brescia, Foggia, Torino.
Gli incontri con i parenti dei poliziotti vittime delle stragi di Capaci hanno per esempio creato una dissonanza cognitiva, dotata di un fortissimo potere emotivo.
I ragazzi avevano di fronte non i parenti degli “sbirri” ammazzati, ma il fratello o il figlio del poliziotto che aveva dato la vita per senso del dovere. I pregiudizi cadono, sia quelli positivi della mafia vista come vendicatrice dei torti subiti o come scorciatoia per il successo, sia quelli negativi delle Forze dell’Ordine come nemici naturali.
Un altro incontro particolarmente significativo, fra i tanti vissuti, è stato quello con un pentito della mafia messicana.
I suoi racconti non sono stati particolarmente truculenti ma presentare una organizzazione criminale come una macchina di morte da parte di uno degli attori di quella macchina, che poi si è ravveduto e ha corretto la sua esperienza di vita, ha un impatto potente, di identificazione ed empatia verso un percorso comprensibile, che non nasce in un territorio potenzialmente giudicante, quale quello che potrebbe provenire da un rappresentante delle forze dell’ordine.
Il viaggio espone i ragazzi a un altro elemento importante: l’idea del rischio, che se da una parte può generare paura, dall’altra esercita sugli adolescenti un forte fascino e attrazione.
L’idea di andare sulle terre di mafia, di alloggiare nel bene confiscato che ha subito attentati incendiari, o come avvenne il 21 marzo a Locri, di marciare sotto la bandiera di Libera la mattina stessa della comparsa sui muri della città di una scritta intimidatoria contro Don Ciotti, sono tutte esperienze che esercitano una fortissima attrazione e coinvolgimento emotivo nei giovani e li aiutano a decidere in maniera più chiara “da che parte stare”.
Al ritorno da questi viaggi, l’esperienza educativa si rafforza attraverso il “raccontarsi”.
Oltre ai momenti di condivisione in gruppo, cerchiamo sempre di trovare delle opportunità attraverso cui i ragazzi possano raccontare la loro esperienza e possano così narrare una nuova identità, positiva. Facciamo questo spesso attraverso interviste a testate giornalistiche locali o momenti di restituzione con altri ragazzi di altri gruppi.
In questo modo aiutiamo i ragazzi a proporsi come degli “esperti”, al punto da cooptare alcuni di loro per svolgere delle attività di presentazione del progetto ad altre realtà del privato-sociale, organizzazioni no-profit o comunità. Anche in questo modo si capovolge il rapporto docente-discente, tipico di molti Servizi alla persona e lo si reimposta, finalizzandolo anche a una diversa immagine di sé che il ragazzo può riconfigurare.
In questo modo la messa alla prova diventa un percorso collettivo, piuttosto che un progetto individuale, magari finalizzato “all’osservazione scientifica della personalità” come ancora recita, in modo anacronistico, l’Ordinamento Penitenziario italiano all’articolo 13.
La relazione con gli operatori
Questi percorsi sono accompagnati da adulti capaci di sospendere il proprio giudizio e di vedere oltre l’evidenza del momento, oltre il reato che li ha condotti all’interno della giustizia minorile. Giustizia che i minori devono restituire, cercando anche di riparare, indirettamente, i torti commessi, ma anche e forse soprattutto giustizia sociale, che devono ottenere secondo una logica di reciprocità, per compensare quello che la società ha negato loro, spesso fin dall’infanzia.
Il gruppo dei conduttori è composto da operatori della giustizia, frammisti a giovanissimi volontari di Libera tout court.
Questa scelta, se in un primo momento è stata dettata dal fatto che il progetto sia nato proprio dalla collaborazione tra operatori dell’USSM e volontari di Libera, è diventata nel tempo una delle condizioni importanti di questo modo di lavorare.
La presenza degli operatori istituzionali alle attività di gruppo permette di ristrutturare la relazione in termini meno burocratizzati e meno centrati sul modello dell’adempimento. L’operatore ottiene in questo modo un rapporto più autentico.
A proposito del rapporto fra utente e operatore sociale vi è una vasta letteratura che propone i più diversi approcci relazionali. In generale riteniamo valido un approccio che pur non nascondendo le differenze di potere, mantenga il confronto a un livello il più paritario possibile, negli stessi termini in cui un allenatore di una squadra giovanile può essere considerato dai giocatori.
In un viaggio, quando si condivide tutto il tempo, diventa difficile fingere. La maschera teatrale, che ogni operatore sociale ben conosce, viene giù facilmente e questo smascheramento, pensiamo sia un sollievo per i ragazzi e un sollievo per gli operatori, esentati dal sempre presente “gioco delle parti”. Il viaggio in qualche modo, se confrontato con il “trattamento” tradizionale diventa la vita vera contrapposta alla “piece” teatrale.
Vi è inoltre da fare un’ulteriore distinzione che riguarda gli operatori volontari di Libera. La loro presenza è un’essenziale manifestazione di disponibilità, poiché il loro esserci è un atto sufficientemente disinteressato per suscitare la curiosità dei ragazzi, che domandano “ma davvero vieni con noi gratis?” e ti guardano di traverso, tradendo una malcelata incredulità.
Quel proporsi da volontari apre una nuova visione del mondo e una nuova speranza in soggetti talvolta manipolati e adattati a una visione dei rapporti umani, fondati spesso solo sul predominio o sull’accettazione dei principi standard della società attuale, ricchezza, bellezza e notorietà.
Nel corso delle giornate passate insieme, quegli stessi ragazzi si saranno sicuramente domandati cosa portava quelle persone a dedicare il loro tempo alla giustizia, a una lotta così impari contro la violenza del mondo. Persone che attraverso la loro presenza, in fondo, non facevano che ribadire: “tu sei importante!”, producendo così un effetto terapeutico a rilascio prolungato.
Una relazionalità “calda” ha anche il suo rovescio della medaglia, ovvero la possibile perdita dei confini di mandato istituzionale, di impegno educativo e riabilitativo; confini che richiedono sempre una certa asimmetria, affinché tutto non scada in una semplice scampagnata turistica.
Questa dialettica fra relazionalità e difesa dei confini gerarchici deve restare sempre viva con intelligenza e attraverso le interpretazioni libere dei singoli soggetti.
L’esperienza di Anemmu si può in questo senso annoverare tra le “esperienze tras-formative” delle organizzazioni oltre che dei minori, e le due dimensioni giocoforza sono sempre collegate.
I ragazzi sono spesso portatori di “mappe falsate” nella routine del lavoro istituzionale e in questi percorsi vengono sollecitati fortemente a liberarsene. Ma anche gli operatori sono chiamati continuamente a rivedere le mappe della realtà per evitare le rigidità e le contrapposizioni sedimentate nella cultura delle istituzioni.
La messa alla prova: liberare per essere liberi
I discorsi comuni sulla pena tendono a considerarla come un periodo necessariamente afflittivo, che educhi o rieduchi attraverso la punizione, in modo da non ricadere negli stessi errori, attraverso la paura della pena. Una afflittività che serva anche da esempio a tutti coloro che ancora non hanno commesso reati ma che potrebbero commetterli. È una concezione estremamente diffusa nei media e nell’opinione del cosiddetto “uomo della strada”.
Una diversa concezione rappresenta la pena come una giusta retribuzione di un male a un male commesso. Questa visione è talvolta sottolineata dall’autorità giudiziaria, che tende a ribadire l’importanza di questo principio accanto agli altri tuttavia validi.
Un’ulteriore interpretazione, più sottile, indica nelle attività da svolgere un percorso che ristrutturi il comportamento attraverso pattern ripetitivi, che permettano la sopportazione della vita associata e facciano superare l’atteggiamento verso l’atto andrenalinico, unico, pericoloso, narcisistico, tipico dei giovani devianti.
Attraverso il progetto Anemmu e altri simili, la concezione viene in qualche modo rovesciata. Gli aspetti afflittivi sono minimi.
Talvolta l’attività somiglia a una sorta di dopo-scuola interattivo, mentre i viaggi hanno moltissimi tratti ludici e per questo sono di solito piuttosto apprezzati, anche per la loro natura totalmente gratuita.
In questo senso il processo penale minorile si attrezza non per “affliggere” ma per offrire e sollevare, per fornire nuovi punti di vista per provare a scardinare quelli che si sono radicati rigidamente nella mente e nei comportamenti dei ragazzi.
Che il progetto sia vissuto in modo più libero di altri è provato dal fatto che molto spesso, o almeno molto più spesso di altre esperienze, i ragazzi che terminano la messa alla prova continuano a frequentare il progetto, per mesi e qualcuno anche per anni, fornendo così ai nuovi arrivati anche una prova indiretta della bontà del progetto.
Un progetto del genere inoltre ha sviluppato nel corso del tempo una forte capacità di osmosi e di moltiplicazioni di buone prassi.
Ad esempio, dalla conoscenza del progetto è scaturita la richiesta di un’attività di formazione e di prevenzione presso una scuola media di primo grado, dove erano stati osservati degli atti maldestri di devianza. Una rete di conoscenze ha permesso un percorso di educazione alla nautica, che in sé non c’entra con la lotta alla mafia, ma che ha un valore di ristrutturazione del sé, importante proprio per sentirsi diversi, più integrati e meno attratti da modelli marginalizzanti e patologici di crescita.
Questo tipo di esperienza è orientato alla costruzione di una soggettività plurale.
Un lavoro con il gruppo che prende in carico la costruzione dell’esperienza dove si costruiscono e si negoziano i significati. In questo senso l’obiettivo ultimo di questi percorsi è quello di proteggere la comunità sociale, di ricostruire legami sociali, e di garantire il diritto al futuro.
“Anemmu” è, in piccolo, quel processo mai terminabile del diventare adulti e responsabili, un processo raccontato da Platone nel mito della caverna, allorquando il prigioniero sale in superficie, è abbagliato dalla luce del sole, ma poi ritorna indietro fra gli altri prigionieri, ancora incatenati e credenti in ciò che vedono riflesso.
Il percorso raccontato da Platone è quindi un percorso di reciproco aiuto fra coloro che sono incatenati e coloro che sono liberi, ma che sono liberi e quindi adulti, solo nella misura in cui tornano nella caverna per raccontare ai prigionieri la “verità”.
Parafrasando Umberto Curi (“La porta stretta”, Bollati e Boringhieri, 2015), “liberare per essere liberi”: questa dovrebbe essere la natura di “Anemmu”.
Il progetto Anemmu nasce sotto l’egida di Libera a Genova, assieme ad altre realtà con cui ha saputo fare rete, tra cui l’Associazione A.d.e.s.so.. Non poche delle socie fondatrici di A.d.e.s.so. infatti sono già state e sono -e saranno!- anche volontarie del progetto Anemmu.
Ma che cosa è A.d.e.s.so.?
Ce lo raccontano direttamente socie e soci dell’Associazione, perché c’è bisogno di attivarsi contro la mafia, e c’è bisogno di farlo A.d.e.s.so.!
Per raccontare al meglio A.d.e.s.so. occorre partire dalle riunioni fiume finalizzate alla scelta del nome. Siamo un gruppo di ragazzi universitari o quasi e desideravamo un nome che parlasse di noi, del nostro passato, del nostro presente e del nostro futuro.
Dopo varie proposte, ecco l’illuminazione: A.d.e.s.so., un acronimo, un programma!
A come antimafia
Parte integrante del nostro dna, in quanto l’associazione nasce dall’esperienza di attivismo nell’ambito del presidio genovese di Libera dedicato alla memoria di Francesca Morvillo, morta nella strage di Capaci.
Di antimafia c’eravamo occupati prima di costituire l’associazione e lo avevamo fatto in diversi modi, conducendo laboratori nelle scuole, raccontando i processi di mafia in Liguria, cercando di coinvolgere e sensibilizzare la cittadinanza su vari temi, dal gioco d’azzardo ai beni confiscati. Di antimafia continuiamo a occuparci all’interno della grande rete di associazioni che anima Libera.
Abbiamo cambiato, dunque, la veste formale, ma non la nostra missione, avendo deciso di costituire un’associazione per portare avanti con maggiore incisività le nostre sfide e dare maggiore forza alla nostra azione.
Per esempio, grazie a questa nuova forma giuridica, abbiamo potuto organizzare i campi di “E!State Liberi!” proprio a Genova e accogliere giovani da tutta Italia per fare divulgazione sulle tematiche a noi care e far conoscere loro alcune realtà significative del territorio.
D come diritti
Quelli che poniamo alla base del nostro impegno e che ci indicano da che parte stare. Molte volte abbiamo parlato di diritti e lo abbiamo fatto a nostro modo, cercando di coinvolgere la cittadinanza attraverso momenti conviviali in cui confrontarsi e approfondire alcuni temi di attualità politica, dal referendum sulla riforma costituzionale a quello sulle trivelle, dal funzionamento della legge elettorale alle tematiche ambientali.
Abbiamo cercato, dunque, di rispondere a un’urgenza che avvertiamo nella nostra società: sedersi a un tavolo e confrontarsi con serietà e competenza su alcune tematiche, cercando di andare a fondo senza limitarsi a un dibattito superficiale.
S come solidarietà, So come sociale
Non è un caso che nel nome della nostra associazione sia contenuto un riferimento all’articolo 2 della Costituzione italiana, che affianca al riconoscimento e alla garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo la richiesta dell’adempimento di un inderogabile dovere di solidarietà sociale.
Come cittadini avvertiamo l’urgenza di essere solidali, di non rinchiuderci nel nostro privato, ma di dedicare un po’ del nostro tempo alla cura di quello che ci circonda. Quindi la solidarietà sociale, filo che unisce il nostro passato, il nostro presente e il nostro futuro, che ci guida e tiene uniti.
In concreto, dunque, cosa facciamo?
Organizziamo i campi di formazione e impegno “E!State Liberi!”; organizziamo periodicamente le cene “Mangia come parli” su vari temi d’attualità; supportiamo i vari progetti di Libera Genova (ad esempio progetto Anemmu, il gruppo beni confiscati e l’Osservatorio Mafie in Liguria “Boris Giuliano”), oltre che collaborare con tante realtà del centro storico genovese; supportiamo il progetto di riutilizzo di un bene confiscato quale escape room, nato dall’iniziativa di un Gruppo Scout AGESCI Ge13, dal nome EnigMALAVITA (articolo di wall:out ENIG-MALAVITA. Storia di un’idea semplice).
Aderiamo sin dalla nostra costituzione alla rete di Libera, collaboriamo con associazioni e cooperative del centro storico genovese (tra le altre: Cittadini sostenibili, La Staffetta, Il Cesto, Auser, CGIL, Pas a Pas), infine dal 2022 siamo affiliati ad Arci Genova.
Articolo di
Caterina Marsala / Maurizio Ferrovecchio / A.D.e.S.So.
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