Vita universitaria

Se bastasse il mare

Riflessioni amarezze e desideri maturati da lontano, per una Genova in cui voler tonare.
18 Luglio 2020
3 min
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Cerco di capire Genova da anni, da quando nel 2015 sono andata a studiare nella vicina e lontana Torino, forse anche da prima. Genova fa parte di me, e tutte le mie vicende in qualche modo si legano a lei, quando vado via, quando torno, quando mi manca, quando non voglio tornare, quando penso a quale sarà la mia città.

Genova è così bella che fa arrabbiare

Se bastasse il mare per fare bella una città, sarebbe perfetta, ma non basta, e sicuramente non basta a vent’anni (nemmeno a ventiquattro, ma la cifra tonda fa sempre un effetto inclusivo). Genova ti fa scappare e poi non vedere l’ora di tornare. Niente mi mette più in pace con il mondo di un bagno a Pontetto, e niente mi mette più in disordine con il mondo della sensazione che non succeda niente.

Negli anni ho cercato di sintetizzare quello che secondo me davvero manca a Genova, ed è la vita universitaria: che non vuol dire avere degli abitanti che frequentano l’università, ma vuol dire che i quartieri, i servizi, i locali, le strutture sono pensate precisamente per te che hai ventitre anni e hai scelto questa città per studiare.

A Genova ci sono pochissimi fuori sede, che non hanno case, che non organizzano cene, che non hanno una voglia smisurata di guardarsi intorno, di uscire, di conoscere i luoghi e le persone di una città dove si sono trasferiti per questo, per imparare, per scoprire.

Non ci sono pugliesi, siciliani, veneti, calabresi, toscani, sardi, marchigiani, che nella scelta di un percorso universitario in zona nord-ovest valutano Torino, Milano, Pavia.

Ma perché Pavia? Cos’ha di più di Genova?

La nebbia, e grandi investimenti sull’università, probabilmente. Pavia (non si offendano i pavesi, ma è un buon termine di paragone) ha 72.612 abitanti e 23.113 studenti. Genova di abitanti ne ha 575.577 e studenti 32.066. Torino 875.049 abitanti e 105.601 studenti (dati al 2017). Ci sono pochi fuori sede, e quindi poche case affittate agli studenti, con cucine anni ‘60 e scrivanie modello base Ikea, poche residenze universitarie. Pochi luoghi dove gli studenti vivono e gli studenti, si sa, sono nullafacenti e viziati e quindi tendono a uscire la sera, a frequentare i locali, a invitarsi l’uno a casa dell’altro, ad andare al cinema e ai concerti. Tendono a vivere il luogo in cui abitano.

Vorrei che Genova per me non fosse solo un luogo caro e rassicurante, ma che trasmettesse un senso di energia, di movimento, di opportunità. Non vorrei andarlo sempre a cercare fuori, e stupirmi ogni volta che è così facile trovarlo. Ci sono città in cui la vita ti cerca, e altre in cui devi faticosamente rincorrerla.

Immagino i vicoli di Genova pieni anche di case di studenti, come San Salvario a Torino, come l’Arcella a Padova, come Camino de Ronda a Granada. Immagino che tutti questi studenti siano al centro delle decisioni politiche e culturali della città, siano un vanto per le istituzioni cittadine, e che la città sia alleata con tutte le energie che comunque i giovani genovesi dimostrano di avere, per forza di cose, perché hanno vent’anni, immagino che dopo un evento organizzato con impegno e passione nessuno si chieda “ma chissà se in un’altra città ci sarebbe stata una risposta diversa”; immagino l’energia che si rigenera a ogni evento e a ogni serata, grazie all’incontro e al movimento che si crea. E detta così sembra, ma non è un’ utopia, esistono città in cui succede davvero, mi sono sentita così in entrambe le città in cui sono andata ad abitare.

Un secondo prima di scrivere queste parole, ho cercato su Google il numero di appartamenti sfitti che ci sono a Genova viaggiando con la fantasia circa un grande investimento del Comune per incentivare gli affitti a studenti fuori sede, e trovo, neanche a farlo apposta, un articolo del Secolo XIX, febbraio 2020, che recita:

A Genova 27mila case sfitte per attrarre il turismo over 65

Tutto bene, però una città che punta a attirare over 65 si perde tantissime energie, e senza nessun interesse e progettualità per la categoria ‘giovani’ ignora una parte di popolazione che non può permettersi di ignorare, e non c’è da stupirsi se i giovani continuano inesorabilmente ad andare a studiare fuori e poi a non sapere se tornare. 

Genova, ne sono certa, avrebbe tutte le caratteristiche del mondo per essere una città universitaria da far invidia alle altre: c’è il sole caldo d’inverno, c’è il mare (chiunque abbia preparato esami a luglio in mezzo alla pianura padana converrà del vantaggio) con 1 euro di focaccia mangi e sei felice, il Righi si riempirebbe tutte le sere di gente che guarda il tramonto, l’Asinello diventerebbe moneta di scambio.

(Leggi la rubrica di wall:out APPROCCI A UNA VITA GENOVESE: Com’è vivere nel capoluogo ligure? Istantanee mentali di una campagnola adottata dalla città della lanterna)

Mentre macino questi pensieri io finisco l’università e Genova è lì, forse mi aspetta, e che sogno sarebbe vivere in Via San Luca e non in un anonimo quartiere residenziale; ma finchè il mare non mi basta per stare bene nella mia città continuo ad accumulare viaggi avanti e indietro sul Regionale, a sentire mancanze di qui e di lì, e non se ne va mai dai miei pensieri la certezza che se cambiasse solo un po’, per me, Genova sarebbe davvero un posto perfetto.

Immagine di copertina:
Campopisano, Genova. Foto di Emanuela F.


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Emanuela detta Malo, genovese classe 1996, vive e lavora Torino, dove si è trasferita per l'università e non se ne è più andata. Gira per la città in bicicletta, lavora come psicologa collaborando con diverse realtà del terzo settore in progetti rivolti a persone migranti. È un'appassionata lettrice e nuotatrice: poiché la gran parte dei libri che possiede, e il mare, sono a Genova è facile capire che non se n'è mai andata del tutto.

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