STORIE CHE CI ABITANO | Solo vera è l’estate di F. Pecoraro e il racconto di chi non c’era

STORIE CHE CI ABITANO | Solo vera è l’estate di F. Pecoraro e il racconto di chi non c’era

Un’estate romana, quattro amici, il G8 di Genova, la scoperta di un punto di non ritorno della storia personale e collettiva.
17 Gennaio 2024
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Vidi  “Solo vera è l’estate” (Ponte alle Grazie, 2023) in libreria tempo fa e mi rimase in mente per un bel po’: si è trattato solo di aspettare il momento giusto per comprarlo, e iniziarlo finalmente. E’ un libro che parla del G8 di Genova, ma ne parla da lontano.

Dello stesso autore, Francesco Pecoraro, lessi anni fa “Lo stradone”, stranissimo romanzo in cui succede poco e niente, ma nel quale si respirano un’angoscia, una fatica di vivere difficili da dimenticare.

Anche in Solo vera è l’estate ci sono angoscia e fatica e vuoto che rimangono addosso: è un romanzo che parla del niente che succede, della noia. 

Parla di quattro amici, Giacomo, Filippo, Enzo e Biba che sopravvivono nel caldo di un luglio romano, tra lavori che non vogliono fare, relazioni in cui non sanno mettere ordine, segreti che non sono segreti, feste che sono finte, ma si devono fare per dire di esserci andati, pensieri meschini e volgarità quotidiane.

Sono trentenni insoddisfatti, un po’ rassegnati che sia tutto lì, o forse quello che non è lì è troppo difficile da cercare, troppo impegnativo, bisogna scegliere, rinunciare, andare. E quindi quel giorno, quello raccontato nel libro, lavorano svogliatamente, sudano, e poi la sera vanno a cena sul mare, bevono vino bianco, vanno a una festa, baciano, chiacchierano, guidano, non pensano, non vogliono. 

Quel giorno è il 20 luglio 2001

C’è un intero mondo di vita, di persone che cercano, di energia, di verità, a 500 km più a nord. Mentre loro finiscono di lavorare accaldati in ufficio, due visioni di mondo si scontrano a Genova, e loro non sono sfiorati dall’esplosione, non se ne accorgono nemmeno.

Sarebbe stato il loro posto, forse, lì si sarebbero sentiti vivi; non ci sono andati. Lì si muore però, anche. Loro non lo sanno ancora.

“In questo momento, cioè alle 17:27 del 20 luglio 2001, qualcuno sta sperimentando su di sé qualcosa di definitivamente vero, vale a dire una pallottola che ti entra nello zigomo sinistro e ti uccide in pochi minuti. Il vero esiste, è Carlo Giuliani che muore attinto da un colpo di pistola. Ma Giacomo ed Enzo, come del resto nessuno che non sia esattamente sul posto, non ne sanno ancora niente. Loro sono altrove, apparentemente e forse sostanzialmente senza colpa, nell’afa, nella stanchezza, nella costante tensione del doversi costruire un futuro […].

La violenza e la morte – che anche qui sono nascoste nella natura delle persone, delle cose e delle case, nel covaticcio assassino delle famiglie, nelle strade a quattro corsie, nelle automobili di tutti i tipi, nelle vite, nel sesso, nella voglia di denaro, potere e successo – in questo momento si stanno palesando altrove, come una lontana eruzione di un magma che è sotto i piedi di tutti, silente, e qui e là sbotta in superficie, esplode, erutta, distrugge”

A Genova succedevano delle cose vere, sincere, senza orpelli, via dalla mediocrità del quotidiano.

Essere lì in quei giorni, muoversi, mettersi su un treno. Dare corpo alla propria idea di mondo. Nel libro chi non lo fa passa il tempo a sentirsi un idiota. Chi lo fa, Biba, va e scopre la ferocia.

Biba, l’amica amante, il collante del gruppo, è andata, non l’ha detto a nessuno. Racconta dov’era ai suoi amici il giorno dopo, quando li raggiunge nella casa di famiglia al mare. Racconta del mondo d’ora in poi, ora che il vero è successo.

“Ecco adesso mi sono ripresa, sono in grado di sapere una buona parte di cosa voglio. Per esempio non morire. Ho capito, ma l’ho sempre saputo, che l’eroismo non esiste – che non esistono idee o cause per cui valga la pena morire – ho capito che devo godermi i privilegi in cui sono nata e cresciuta – ho capito che non li merito, che il mio è solo culo e, in quanto culo, va sommamente rispettato – e che non devo sprecarlo, ma usarlo per vivere bene – magari vergognandomi, ma solo un po’, perché enti più forti di me mi hanno determinata – io posso solo modificarmi, coltivare una coscienza, ma senza esagerare […]

quindi abbandonare ogni tensione verso un’ipotesi di un mondo diverso – il mondo non può essere diverso, c’è gente assunta per lavorare alacremente perché il mondo resti com’è e anzi peggiori – gente che ti spacca la testa, gente che finisce per godere alla vista del tuo sangue – gente armata che ti uccide, ti uccide perché esisti in un certo luogo e in un certo momento – e perché stai facendo qualcosa che va nella direzione del non consentito.

Da chi? Da loro. Loro chi? Diciamo loro perché se diciamo per esempio dal capitale gli altri, i consenzienti, ci guardano con compatimento: ancora credete a ‘ste cazzate?” 

E’ un libro che racconta con poche parole qualcosa di grande e terribile visto da lontano, qualcosa che cambia le vite e le visioni, ma senza che ancora si sappia, qualcosa che sancisce un prima e un dopo mentre si ascolta da una sdraio su un terrazzo.

C’è tanto di noi, quasi trentenni di vent’anni dopo, in quelle pagine un po’ disperanti.

Un altro mondo non era possibile, per Biba e per tuttǝ quellǝ che sono tornatǝ, per noi che non c’eravamo?

Ho ripensato spesso a questa storia, chissà se io sarei andata come Biba, piena di speranza in qualcosa di vero, se avrei giocato il tutto per tutto prendendo un treno e perdendo le speranze, o se invece sarei andata al mare, preservando un po’ di speranza nelle cose piccole, negli spazi ritagliati.

Uso il condizionale, sono i personaggi del libro, una fantasia: le storie che ci abitano sono quelle che rimangono con noi, che ci interrogano, al presente.

STORIE CHE CI ABITANO | Solo vera è l’estate di F. Pecoraro e il racconto di chi non c’era
Foto di Emanuela F.

Immagine di copertina:
Grafica wall:out magazine su foto di Emanuela F.


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Emanuela detta Malo, genovese classe 1996, vive e lavora Torino, dove si è trasferita per l'università e non se ne è più andata. Gira per la città in bicicletta, lavora come psicologa collaborando con diverse realtà del terzo settore in progetti rivolti a persone migranti. È un'appassionata lettrice e nuotatrice: poiché la gran parte dei libri che possiede, e il mare, sono a Genova è facile capire che non se n'è mai andata del tutto.

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