Con buona pace dei suoi strenui sostenitori, per la cultura occidentale tutto ciò che è corpo è anche sempre e in qualche modo stato motivo di fastidio, disagio, pericolo.
Sentirci scomod3 nel pulsare della nostra carne è quindi qualcosa che non abbiamo potuto fare a meno di apprendere e che ci vincola, più di ogni vestito, a stare compost3, anche e proprio laddove desidereremmo essere fuoco.
Nel suo ultimo lavoro Il pacere sovversivo edito da Tlon, Alessia Dulbecco segue le trame che hanno imbrigliato il desiderio, a partire dalla sua più libera forma: quella della masturbazione.
Decostruendo luoghi comuni, l’autrice traccia percorsi di emancipazione che passano per la ricostruzione della storia culturale, che si è fatta politica di controllo, fin dentro il nostro stare vivo nel nostro stesso corpo.
Come mai hai deciso di scrivere oggi un libro sulla masturbazione?
È vero, scrivere di masturbazione, oggi, per di più con un taglio saggistico, è alquanto inattuale .
Il libro è inserito all’interno di una collana, Urano, che costituisce una collaborazione tra la casa editrice Tlon e la rivista culturale fiorentina L’Indiscreto.
I temi da esplorare attraverso i vari contributi della collana sono stati scelti dalla redazione de L’Indiscreto, privilegiando dove possibile quegli articoli, pubblicati negli anni scorsi che avevano ricevuto un buon riscontro dal pubblico.
Nel 2022 avevo pubblicato un articolo che parlava di masturbazione maschile, provando ad esplorare la radice di alcuni stereotipi che ancora si associano alla pratica (per es il fatto che faccia diventare ciechi). Il saggio costituisce un’espansione di questo articolo.
Scopo del libro è intrecciare l’approccio educativo con le questioni di genere.
Così, se nella prima parte mi occupo di raccontare perché, senza la pedagogia, molti dei falsi miti costruiti contro la masturbazione non si sarebbero mai propagati nel tempo e nello spazio, nella seconda provo a riflettere sul modo in cui questi stereotipi si sono riversati sul maschile e sul femminile in modo diverso.
Questo lavoro parla a tuttə e secondo molteplici livelli di significato: hai scritto avendo in mente un pubblico di riferimento?
È una domanda che mi sono posta più volte. Si è sempre fatto così!, il primo saggio che ho pubblicato per Tlon, era stato apprezzato moltissimo da insegnanti e genitori. Temevo che il nuovo lavoro, non esattamente pensato per questo pubblico, potesse mandarli fuori strada.
Sappiamo inoltre quanto il tema della sessualità sia sempre un terreno scivoloso, in Italia: per quanto appaia come sdoganato, ci vuole davvero poco per gettare un’ombra obliqua su chi decide di affrontarlo in ambito pubblico:
“perché chi si occupa di pedagogia – che per troppi continua a fare rima esclusivamente con “bambin* – dovrebbe occuparsi di masturbazione?”.
Ho pensato di scrivere questo testo perché è stata soprattutto la redazione de L’indiscreto a farmi capire la necessità di affrontare un argomento di questo tipo.
Di sesso, come dicevo (e come diceva sicuramente meglio di me Foucault!), si parla tantissimo, eppure di autoerotismo non si parla mai se non rimanendo in una cornice “manualistica” (ti insegno come farlo, e poi come farlo in coppia, sempre beninteso come preliminare).
Mi piacerebbe se fosse letto da persone diverse: non solo genitori o insegnanti, ma chiunque abbia voglia di riflettere intorno ai tanti preconcetti che ancora nutriamo (tutt*, perché tutt* siamo educati da questa società) nei confronti di certe pratiche sessuali.
Mi piacerebbe in particolare che fosse letto da chi si riconosce nel genere maschile: se è vero infatti che le donne – dagli anni 70 in avanti – hanno riflettuto sulla propria sessualità, gli uomini lo hanno fatto molto meno.
Ogni pagina costringe a mettere in discussione convinzioni irriflesse, fornendo nuove prospettive di indagine, corroborate da analisi storiche, sociologiche e culturali. Quali momenti di questo processo di decostruzione sono per te più significativi?
Personalmente, la parte più sfidante è stata la seconda. Riflettere sui meccanismi che legano la nostra società al tipo di sessualità ammissibile è stata un’operazione impegnativa anche per me, che non avevo considerato alcuni dettagli fino a che, studiando per scrivere questo testo, li ho potuti vedere con chiarezza.
Viviamo sempre immers* in una cornice performativa e ciò ha conseguenze nefaste soprattutto per la sessualità maschile: è stato arricchente imbattersi in paper di ricercatori e docenti che hanno riflettuto sul doppio filo che intreccia il porno alle pratiche autoerotiche.


In che modo il piacere e il desiderio possono essere sovversivi?
Il piacere si trasforma in atto sovversivo quando diventa qualcosa a cui scegliamo, liberamente, di abbandonarci.
Quando si slega dalla performatività e dal mandato riproduttivo inteso come “obiettivo superiore” che ci consente di impiegare il nostro tempo – preziosissimo! – in atti che risultano privi di senso, che non portano a nulla se non al nostro benessere.
C’è voluto tempo per sdoganare una versione del sesso in chiave positiva: di “sex pos” si parla da poco.
Per questo mi è sembrato necessario partire da qui, dal ricordare a chi leggerà che l’autoerotismo non è solo una pratica che favorisce il benessere personale; è soprattutto un gesto che sfida i dispositivi di controllo sociali perché per essere agita non ha bisogno di nulla se non della nostra immaginazione.
La domanda è: sappiamo ancora sottrarre tempo alla (ri)produzione, da dedicare alla nostra immaginazione? o essa è diventata ormai terreno fertile solo per il mercato che capitalizza tutto?
L’autrice sarà ospite giovedì 27 alle 18 ai Giardini Luzzati, insieme alle autrici di wall:out Amina Gaia Abdelouahab e Selena Pastorino.
Immagine di copertina:
Grafica wall:out magazine su copertina del libro “Il piacere sovversivo” edito da Tlon
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