In occasione della festa dei 20 anni di Arcigay Genova c’è stata l’occasione di visitare l’allestimento della Mostra “Sanremo Pride 1972 – Una Comunità in Mostra”, strumento per conoscere e far conoscere la storia della Comunità LGBTQIA+ in Italia.
Ho colto l’occasione per farmi raccontare l’idea, la costruzione e gli obiettivi della mostra da Claudio Tosi, già Presidente di Arcigay Genova, ora in Segreteria Arcigay Nazionale, con Delega a Cultura, Storia e Memoria, che della Mostra è uno dei curatori.
Il lancio della Mostra a Sanremo ad aprile 2022:
A parlare per primo è proprio Claudio Tosi, seguito poi da Silvana Ormea, Assessora alla Cultura del Comune di Sanremo. Il video è di Sanremo News.
Perché realizzare una mostra? Perché su Sanremo 1972?
Per un motivo molto semplice: ci serviva spiegare cosa è stato l’evento del 5 aprile 1972 perché avevamo capito che non solo a livello generale di società, ma anche dentro la Comunità LGBTQIA+ non si sapeva cosa fosse, e quindi ci serviva sia certamente celebrarlo sia, ancora prima, raccontarlo.
All’inizio eravamo indecisi se organizzare in concomitanza anche un Pride, proprio come collegamento a quel “primo pride” del 1972.
Era il 2020 quando abbiamo cominciato ad organizzarlo: c’era la pandemia, e quindi temevamo giuste restrizioni di salute pubblica ad eventi come la marcia, mentre era ben possibile organizzare una mostra, che ci avrebbe dato modo di raccontare a chi sarebbe venuto cosa è successo a Sanremo nel 1972, che cosa è voluto dire, e che cosa vuol ancora dire oggi Sanremo 1972, ed infatti il titolo della mostra è “Sanremo Pride 1972-2022 – Una Comunità in mostra”.
Cosa è stato, cosa è successo a Sanremo il 5 aprile 1972?
Il 5 aprile 1972 si è tenuta la prima manifestazione LGBTQIA+ pubblica in Italia che ha avuto una eco mediatica così consistente: ce ne erano state già altre, ma nessuna di queste aveva avuto pari risalto.
I manifestanti di Sanremo sono andati su tutti i giornali, alla radio, in televisione, fu un evento di grande rilievo ed eco nazionale e non solo. Il gruppo che svolse quel primo pride – se così vogliamo dire, un pride ante litteram – era composito, internazionale, con persone da paesi europei (Belgio, Francia, Regno Unito, Olanda) e da diverse città italiane tra cui spiccavano Mario Mieli e Angelo Pezzana.
Ruolo preponderante in questa manifestazione ebbe il F.U.O.R.I.! (Fronte unitario omosessuale rivoluzionario italiano), associazione che da poco aveva iniziato a pubblicare il proprio periodico creando uno spazio di comunicazione e visibilità per il movimento gay, ed uso questa espressione perché è quella che allora si usava per indicare la Comunità LGBTQIA+.
Perché le parole sono importanti, sono pietre e la loro evoluzione nel tempo non è cosa trascurabile, non lo era allora e non lo è nemmeno oggi. Lo vediamo ogni giorno: l’uso delle parole ci tocca profondamente, a tutte e tutti.
Il lancio della Mostra “Sanremo 1972” dalla pagina YouTube di Arcigay Genova:
Ma cosa rappresentava Sanremo 1972 allora?
Sicuramente il grande scatto in avanti era stato quello della costruzione di un gruppo di persone, un movimento che aveva iniziato a promuovere un modo diverso di vedere l’omosessualità, ed era per questo che avevano bisogno di manifestare quel giorno: loro non volevano più che fosse qualcun altro a parlare dell’omosessualità, ma parlare loro di loro stessi.
Erano loro che venivano in piazza e parlavano di sé stessi, senza che fossero gli psichiatri, gli psicologi, i dottori a farlo, tra l’altro portando argomentazioni o complesse o distanti dalla realtà. Uno slogan su tutti era “Psichiatri, siamo venuti a curarvi”.
Ma perché quindi proprio allora e proprio a Sanremo? C’era il Festival?
Perché il 5 aprile 1972 a Sanremo, al Casinò, il C.I.S. (Centro Italiano di Sessuologia) dava il via al primo Congresso Internazionale di Sessuologia che aveva come intitolazione “Comportamenti devianti della sessualità umana”, e quindi anche dell’omosessualità.
Ciò è stato il motivo della contro-manifestazione, per dire “non siete voi che potete parlare di omosessualità, siamo noi che vi diciamo cosa sia e cosa facciamo”.
E’ molto interessante vedere che il parterre di quel convegno era molto composito, poiché alcuni erano anche per così dire “parte del movimento LGBTQIA+”: c’è la storia di Gino Olivari, assoluto sostenitore del movimento e delle persone gay e lesbiche, che si stava battendo da anni per sostenerle e aiutare in tutti i modi possibili, però faceva un po’ parte di una “vecchia guardia”, che non era più tanto riconosciuta dai nuovi movimenti più di rottura rispetto a tutto quello che era successo.
Lui stava cominciando a spiegare agli studiosi che c’erano degli errori nella visione dell’omosessualità ed era nececssario cominciare ad aggiornarli, mentre ormai il movimento stava per andare verso una direzione di esplosione e scontro completamente diversa.
Certamente quello che in quegli anni era successo negli Stati Uniti aveva dato la sua impronta, insieme a quello che anche in Italia erano stati il contesto del 1968 e il movimento femminista.
Una altra cosa interessante di manifestazioni come Sanremo 1972, è che sembrano rivoluzionarie perché sembra che in solo un momento venga ribaltato completamente l’universo, mentre in realtà anche eventi come questo si incasellano in una sequela di atti all’interno di un percorso più lungo del movimento in generale, anche quello che era successo nel 1969 a Stonewall e quello di buono e di protesta era accaduto l’anno prima a New York, Sanremo 1972 era anche una naturale conseguenza di tutto ciò, e in particolare si stavano cominciando a coagulare assieme diverse persone, cominciando a parlare davvero di movimento LGBTQIA+ e diritti LGBTQIA+.
All’interno della mostra si ritrova questo flusso storico, è evidenziato? E’ una storia breve quella della Comunità LGBT?
La storia del movimento LGBT è una storia molto più lunga di quanto si pensa di solito, frastagliata, fatta di tanti nomi che senza neanche troppo sforzo già riusciamo a far risalire alla Rivoluzione Francese, quando sono nati i primi momenti di riflessione che hanno cambiato la storia d’Europa, anche per la comunità LGBTQIA+.
Uno dei Paesi principali nella storia del movimento LGBTQIA+ è stata ed è la Germania, che è stata sede delle riflessioni più interessanti, fino ad arrivare a quando il movimento a Berlino, tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, ha costruito i valori che noi in tante e tanti crediamo facciano parte del movimento ri-nato negli anni ’60-’70.
Per esempio la parola “omosessualità” è stata coniata nel 1869 dal letterato ungherese di lingua tedesca Karl-Maria Kertbeny, e la parola “transessuale” si è affermata a Berlino grazie agli studi di Harry Benjamin.
Tutto questo fu possibile soprattutto grazie al contesto del “Comitato Scientifico-Umanitario” (Wissenschaftlich-humanitäres Komitee, W.H.K.) cioè degli studi di sessuologia che si svolgeva al TierGarten gestito dal Professor Magnus Hirschfeld che era riuscito attraverso un movimento che era sia una associazione che un centro studi ma anche spazi e locali per la vita comunitaria, a raccogliere 48mila persone iscritte, che partecipavano, contribuivano, veniva da tutta Europa per vedere cosa fosse quel posto.
Berlino e il suo brulicare in quegli anni meriterebbero una mostra ad hoc.
Nella mostra ne abbiamo parlato ma non quanto avremmo voluto, anche perché sul tema stanno uscendo più volumi ora, per fortuna, di recente pubblicazione, su cui dobbiamo ancora studiare.
Che tipo di mostra ci si può aspettare? E cosa si trova nella mostra?
La mostra era composta da 7 diversi spazi, ogni spazio ha un tema, e la mostra si svolge in una sequenza che serve a ragionare. Un ragionamento quindi per temi e non strettamente cronologico.
Questo perché mettere in una sola mostra itinerante tutta la storia del movimento LGBTQIA+ è cosa assolutamente impossibile e pretendere di avere le forze necessarie ad una operazione simile quando abbiamo avuto l’idea era quantomeno velleitario.
Abbiamo scelto, in un gruppo di lavoro di 30-40 persone, quali dovessero essere gli argomenti principali da inserire, su quali saremmo riusciti a lavorare, e poi il lavoro effettivo ci ha anche portato a circoscrivere maggiormente le scelte.
La mostra è in concreto un insieme di pannelli, inframmezzati da parti esperienziali e narrative in modo semplice, e nel suo ordine si compone della seguente sequenza:
- un benvenuta e benvenuto, segnale di inclusione verso tutte e tutti;
- uno spazio dedicato alla rivolta di Stonewall, curato da ArcigayBrescia;
- uno spazio per Sanremo 1972, con tanto di fotografie, articoli di giornale e manifesti di quei giorni riprodotti come da originali, stampe in originale di articoli usciti sui periodici dell’epoca, racconti di vita LGBT tra fine seconda guerra mondiale fino a quegli anni 70, cioè quello che è stato il “prima di Sanremo”;
- uno spazio dedicato all’AIDS, arricchito da alcune coperte provenienti dell’Ospedale Sacco di Milano, le cosiddette “coperte dell’AIDS”, cioè coperte sorta di patchwork composte da pezzi realizzati ciascuno da persone, amici e familiari, che hanno perso propri cari a causa dell’AIDS.
L’Ospedale Sacco di Milano, che ha fatto un grande lavoro, includeva un reparto di malattie infettive ed una sezione quindi per i malati di AIDS, e ha contribuito alla mostra anche con alcuni quadri e fotografie dei malati di AIDS negli anni ’90;
- uno spazio dedicato all’Omocausto [il rastrellamento e la deportazione delle persone omosessuali, marchiate con il triangolo rosa];
- uno spazio intitolato “Omocomio” (per scoprire e capire cosa sia non resta che scorrere l’articolo ;);
- uno spazio dedicato alle bandiere, cioè a tutte le bandiere indicanti identità e orientamenti di genere, strumenti per manifestare e rendersi visibili e riconoscibili;
- uno spazio dedicato alla Chiesa Valdese, con tutti i programmi dei campi estivi per persone omossesuali dagli anni ’80 in poi, tenutisi presso il Centro Ecumenico di Agape;
- uno spazio dedicato alla storia di Arcigay e alla storia delle donne nel movimento LGBT, con un passaggio sulla nascita di Arcilesbica.
Quante e quali persone hanno lavorato alla costruzione della mostra e per quanto tempo?
Questo progetto è nato perché a Sanremo avevano fatto nel 2019 in occasione del 5 aprile una mostra fotografica, già con l’idea di avvicinarsi al cinquantesimo anniversario, quindi è nata inizialmente come richiesta forte di Arcigay Imperia.
Durante la pandemia si è ovviamente fermato tutto in presenza e nel poter recarsi a Sanremo, ma allo stesso tempo è proprio stata l’occasione per iniziare a lavorarci su, avendo tutte e tutti sia tempo da mettere a disposizione sia voglia di impiegarlo fattivamente e costruttivamente, positivamente. Abbiamo cominciato a svolgere regolarmente incontri online come Arcigay, il mercoledì, occasioni sia di dibattito sia di chiacchiere per farsi compagnia durante il lockdown, e abbiamo iniziato a dirci “ma cominciamo a lavorare a Sanremo 2022”: era la primavera del 2020.
Abbiamo iniziato sul serio a lavorarci a dicembre 2020, quando ormai l’incontro online del mercoledì era divenuto occasione di collegamento per diversi comitati locali di Arcigay di diverse città: Genova, Imperia, Cuneo, Alessandria (che ha una altra Associazione “Tessere l’Identità”, non Arcigay ma legata alla rete). Allora abbiamo cominciato a dirci “va bene ragazzi, cosa vogliamo fare?”.
Nel momento in cui ci siamo riuniti e detti “ora facciamo brainstorming”, abbiamo deciso di coinvolgere ed allargare ancora ad altre persone: eravamo i comitati di Arcigay di Genova, Arcigay Savona, Arcigay Imperia, Arcigay Cuneo, Arcigay Milano, Arcigay Cremona e Arcigay Brescia, e siamo così divenuti un gruppo di lavoro oscillante tra le 30 e le 40 persone.
Da lì abbiamo cominciato a vederci il lunedì sera, per un anno e mezzo, con un classico lavoro di gruppo, prima di tutto con un grande brain storming, durato alcuni mesi.
Abbiamo fatto dei passaggi fondamentali e per noi di Arcigay usuali e imprescindibili: quando cominciamo un percorso vogliamo fare momenti di formazione comune, cioè chiediamo a qualcuno formato a farlo di creare un gruppo di formazione, proponiamo lavoro di team building e allo stesso tempo una focalizzazione sugli scopi del lavoro di gruppo e su cosa sia il gruppo.
Questo perché non tutte le persone si conoscevano tra loro, eterogenee e non necessariamente con tutte le competenze necessarie per una mostra, ma ben motivati a farlo perché era un lavoro identitario quindi qualcosa che serviva certamente sì a raccontare cosa era e cosa è stato Sanremo 1972, ma soprattutto un lavoro in cui ogni persona analizzava ciò che è stato Sanremo 1972 per sé stesso e la propria storia. Magari non c’erano le competenze, ma ciascuno sentiva un collegamento chiaro diretto e identitario personale con ciò che volevamo raccontare.
Tutto ciò con i tuoi pro e contro, proprio perché un lavoro così identitario è anche una bomba, è una cosa forte, con immenso potenziale.
E come è andata?
Benissimo! Oltre ogni aspettativa! Un lavoro di gruppo partecipatissimo, nonostante le difficoltà incontrate lungo l’intero percorso. E’ stato anche un bell’impegno economico-finanziario.
Abbiamo dovuto lavorare di corsa per allestirla in un solo giorno, e poi è rimasta allestita a Sanremo il 9 e 10 aprile 2022, ricordando l’evento del 1972 e in contemporanea con il primo Pride che si sia mai svolto a Sanremo il 9 aprile di quest’anno.
“L’orgoglio torna a Sanremo”: era il titolo Pride, il primo ma che in realtà è la prosecuzione ideale di quel momento del 1972, di quel “pride” ante litteram, di fatto il “primo pride italiano”. Svolgere la mostra insieme al Pride inoltre ha dato forza l’una all’altro e viceversa, si sono supportati a vicenda dando ognuna senso all’altra. Il Pride a Sanremo è stato un grande successo.
Sanremo 1972 è lo spunto primo per la mostra, che a quell’evento dedica uno dei suoi 7 spazi.
La mostra parla del movimento principalmente in Italia, quindi per forza di cose una sezione è dedicata all’Omocausto.
Sì, era imprescindibile, poiché le persecuzioni di uomini e donne omosessuali e transessuali sono tra le più dimenticate, eppure fecero ben parte delle deportazioni nazi-fasciste, e non potevano non essere nella mostra.
Sappiamo che c’è il caso del tutto particolare e singolare dell’Isola di San Domino alle Tremiti, dove venne confinato qualche centinaio di persone omosessuali, perseguite per problemi di “ordine pubblico”, che, per assurdo rispetto ai fini perseguiti dai persecutori, ebbero l’occasione di costituire una comunità omosessuale dichiarata.
Il Codice Rocco, cioè il Codice Penale entrato in vigore durante il periodo Fascista e ancora vigente – sebbene con svariate e sostanziali modifiche – in Italia a tutt’oggi, non includeva il “reato di omosessualità”, ma la cosa non ci deve rassicurare, perché diverso era il ragionamento alla base di questa scelta.
Un paragrafo afferente l’omosessualità era stato redatto e discusso, ma solo all’ultimo momento stralciato e quindi non inserito nel Codice. Il ragionamento dietro la scelta era che se una legge c’è, allora si ammette che gli omosessuali esistono, ma in Italia i maschi sono tutti “sani”, devono essere tutti “sani” (“In Italia sono tutti maschi” è la graphic novel di successo internazionale di Luca De Santis e Sara Colaone, ndr) , e quindi, come conseguenza logica di pensiero, una legge contro l’omosessualità non serve, non deve servire.
Noi però sappiamo che le persone omosessuali ovviamente esistevano e che subivano provvedimenti disciplinari: venivano prese e rinchiuse nei manicomi, e questa pratica è proseguita anche dopo. Perciò accanto alla sezione dell’Omocausto abbiamo inserito uno spazio parallelo chiamato “Omocomio”, parola coniata con l’aiuto di Arcigay Roma, anche grazie agli studi che stanno venendo fuori e che ci dicono che se in Italia non ci sono state deportazioni come in Germania, è solo perché veniva utilizzato un altro sistema: quello dell’internamento nei manicomi, manicomi per persone omosessuali, e quindi “omocomi”.
All’ interno di questa sezione c’è la storia di Gino Grimaldi, ricoverato nell’Ospedale Psichiatrico di Cogoleto (GE), in località Prato Zanino, che facendo fruttare quell’anomalo internamento ha usato il tempo per affrescare la Chiesa dell’Ospedale Psichiatrico, facendolo a modo suo, a volte anche eroticamente allusivo.
L’Ospedale ha oggi grossi problemi di conservazione e c’è ancora qualcosa: noi abbiamo usato delle preziose riproduzioni forniteci dalla Associazione Culturale Cogoleto Otto, che segue la storia di quest’uomo e la ricostruisce.
Ѐ uscito un libro, “Il caso di G. La patologizzazione dell’omosessualità nell’Italia fascista” di Gabriella Romano per Edizioni ETS (2019), che finalmente comincia ad affrontare la questione della consuetudine, già in vigore prima, di internare le persone omosessuali, perché ritenute malate. Consuetudine divenuta norma di comportamento automatico successivamente quale soluzione al “problema”.
Uno spunto interessante è la riflessione su come in Italia sia difficile affrontare gli studi che riguardano le malattie mentali; è un’altra pagina dolorosa della nostra storia che dobbiamo deciderci ad affrontare, partendo proprio dagli Ospedali Psichiatrici. Un altro ambito in cui approfondimenti e studi sono doverosi (articoli di wall:out #ex ospedale psichiatrico di quarto).
La mostra è stata inaugurata ad aprile a Sanremo, e poi?
La mostra ha iniziato a percorrere un itinerario attraverso l’Italia: è stata esposta all’Università degli Studi di Siena, negli spazi del Rettorato, per due settimane nel maggio 2022 grazie al prof. Daniele Ferrari, socio storico di Arcigay Genova e vicepresidente del Comitato Unico di Garanzia dell’Università di Siena; la sezione dedicata a Sanremo 1972 è stata esposta a luglio a Milano in occasione del Milano Pride del 2 luglio e ad agosto al Castelfolk Festival a Castellano in provincia di Trento.
Attualmente è esposta presso l’Auditorium Le Fornaci di Terranuova Bracciolini (AR) grazie al finanziamento di Regione Toscana ai comuni aderenti alla Rete READY e al lavoro di Arcigay Arezzo “Chimera Arcobaleno”.
Per ora l’occasione più lontana e incredibile di esposizione è stata la richiesta delle riproduzioni dei manifesti usati a Sanremo per sfilare al Pride di New York, e chiaramente nutriamo il sogno che una riproduzione della mostra venga inviata e resti a New York presso il locale Comitee.
I cartelli che hai citato quindi meritano una parentesi: concediamocela!
Grazie alle fotografie dell’epoca dei cartelli che gli attivisti avevano scritto e portato il 5 aprile 1972, noi ne abbiamo potuto realizzare nuove copie, simili agli originali, e le abbiamo inserite nella mostra. E colpisce davvero molto quanto gli slogan di allora continuino ad essere ancora oggi davvero interessanti e potenti, e raccontano di un movimento che forse, lascia che lo dica, talvolta sembra allora più coraggioso dei nostri giorni.
Da “lotta dura contronatura” a “el pueblo unito è meglio travestito” che erano slogan di Mario Mieli (così come riportate nell’interessante “Il movimento gay in italia” di Gianni Rossi Barilli, Feltrinelli 1999, liberamente consultabile in parte), oggi forse siamo più preoccupati di normalizzarci, di far vedere che siamo “normali”.
A volte questo atteggiamento ci frena ed ogni tanto bisognerebbe tornare a quella forza, a quello spirito, con la maturità acquisita da allora ad oggi.
La mostra ha quindi già viaggiato e può ancora farlo, giusto?
La Mostra può viaggiare, lo possiamo ben dire, anzi, promuovere! La mostra può andare ove richiesta e gradita, intera o per sezioni, una o più o tutte.
Diamo dei numeri: oltre alle 7 sezioni, in totale a Sanremo era allestita in circa 700mq di esposizione, consta in poco più di 150 pannelli, più una decina di giornali e riviste, più di 20 bandiere, le 6 coperte per la sezione dell’AIDS.
Il materiale è conservato da Arcigay Genova, che quindi nella propria sede di Genova, quando non in giro, la custodisce e detiene, pronta per farla andare ove richiesta e gradita!
La mostra non è allestita permanentemente, ma pronta a partire, desiderosa di arrivare ove possa ricevere buona accoglienza e far parlare, più che di sé, del movimento LGBTQIA+ portando forza liberatrice.
C’è anche un altro obiettivo, grosso, un sogno ma in cui crediamo davvero: che tutto il materiale trovi infine un luogo fisico stabile nel quale essere allestito permanentemente, capace di divenire anche laboratorio per la ricostruzione, lo sviluppo e la storia del movimento, che sia un luogo di formazione sia storica sia comunitaria sia anche personale.
Un luogo che non sia solo museo o magazzino, ma un luogo accogliente, in sintonia con la mostra, che offra un’esperienza narrativa e coinvolgente, non solo un luogo pieno di libri da studiare, ma un luogo dove entri, sei immerso in un’esperienza che ti prende e da cui esci avendo capito qualcosa di più del movimento LGBTQIA+.
In questo luogo potrebbero ben inserirsi ulteriori idee e proposte che avevamo pensato nel percorso di costruzione della mostra, ma poi scartato per motivi sia di budget sia di energie a disposizione, per esempio: labirinti sperimentanti un cruising, una sorta di cabina di sperimentazione dei percorsi che una persona gay vive per conoscere altre persone, o ancora quando la conoscenza avveniva per posta.
Abbiamo inoltre già pronti altri pannelli per la stampa, tra cui alcuni per ricordare Lilia Mulas, storica presidente di Arcigay Genova a cui è intitolato il nostro comitato, esponente della Segreteria Nazionale di Arcilesbica dal 2009 al 2012, già portavoce del Genova Pride 2009, per noi di Arcigay Genova lei è l’esempio di quella vicinanza alle persone e di calore umano che deve essere lo stile e il modo del nostro impegno, e per questo il suo nome va ricordato.
Quale effetto ti piace la mostra sortisca?
Una cosa bella della mostra è che vengono tante e tanti giovani a vederla, senza sapere prima cosa fosse la storia del nostro movimento e ne escono arricchiti e soprattutto incuriositi. E diciamo pure che è anche una bellissima occasione per chi è già attivista e vuole scoprire di più.
Tutte e tutti con la mostra scoprono cose nuove, in una maniera emotivamente forte, che ambisce a far comprendere e dire che il movimento LGBTQIA+ è a pieno titolo parte della storia collettiva italiana.
Cosa ancora ti va di condividere, allargando anche l’orizzonte oltre la mostra?
Giusto un’ultima cosa sulla comunità LGBTQIA+ rivolta a chiunque viva in Liguria: la Liguria non è Genova. Quando sei a Genova vivi e percepisci il mondo e la tua vita e la tua identità in un modo, ma quando sei ancora fuori da Genova, in una cittadina, in un paesino ligure, tutto cambia.
Tutto è più complicato, tutto è più difficile: “venire a Genova è stata una liberazione per me”, è una delle frasi che si sentono di più da chi LGBTQIA+ si trasferisce a Genova.
Una qualche scintilla di speranza è stata offerta questo 2022, forse anche dopo due anni di blocco di attività ed eventi pubblici e di comunità, in cui abbiamo registrato per la prima volta ben 3 Pride in Liguria: a Genova, come sempre, e per la prima volta a Sanremo, come abbiamo detto legato alla mostra, e anche a La Spezia.
C’è bisogno di questi eventi, ce n’è per tutte le ragazze e tutti i ragazzi che vivono in tutti i Comuni della Liguria, perché devono sapere che non sono per nulla “sbagliate” e “sbagliati”, ma che hanno diritti e dignità pari a chiunque, e che se vogliono almeno una volta l’anno un’occasione di scendere in piazza e mostrarsi e sentirsi ciò che sono, possono farlo anche nel loro spazio quotidiano.
Grazie Claudio, e buon vento alla Mostra “Sanremo Pride 1972-2022 – Una Comunità in mostra”!
Nota a margine:
La mostra a Sanremo è stata realizzata con la collaborazione di Arcigay, Arcigay Liguria, Arcigay Genova, Arcigay Savona, Arcigay Imperia, Arcigay Cuneo GrandaQueer, Arcigay Orlando Brescia, Arcigay Cremona La Rocca, CIG Arcigay Milano, Arcigay Rete Donne Transfemminista, Arcigay Rete Trans Nazionale, Anlaids Liguria, Milano Check Point, Asa Milano, Anlaids Sezione Lombarda, Orchestra Sinfonica di Sanremo, Associazione Culturale Cogoleto Otto, Archivio della Chiesa Evangelica Valdese – Unione delle chiese metodiste e valdesi, LGBT+ History Month Italia, con il patrocinio di Comune di Sanremo, Comune di Cogoleto, con il contributo finanziario di Fondazione Compagnia di San Paolo, PeaceMaker.
Immagine di copertina:
Locandina dell’evento. Credits Arcigay Genova
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