Se vi dicessi “maxi-processo”? Pensereste subito a quello di Palermo, ne sono certo. Ma non esagero se scrivo che anche Genova avrebbe potuto avere il suo maxi-processo; un procedimento giudiziario contro la ‘ndrangheta in Liguria che, quanto a dimensioni, non sarebbe stato da meno rispetto a quello siciliano.
Ma andiamo con ordine
Come noto, la ‘ndrangheta è una potentissima associazione mafiosa originatasi nella meravigliosa terra di Calabria e che, al pari di altre associazioni mafiosi “tipiche” (Cosa Nostra, Camorra, etc.) si avvale della forza di intimidazione, del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti (queste le parole utilizzate dalla legge per descrivere il cd. “metodo mafioso”, che caratterizza l’omonimo sodalizio.
(Articolo di wall:out Codici criminali: i riti della ‘ndrangheta in liguria)
Come avviene anche per le altre associazioni mafiose, la ‘ndrangheta ha alla base le ‘ndrine: nient’altro che nuclei familiari ritualmente affiliati alla ‘ndrangheta e ad essa devote.
La forza delle ‘ndrine (e, di conseguenza, della ‘ndrangheta) deriva dal vincolo di sangue che lega i componenti delle famiglie: dall’alba dei tempi, “tradire” un proprio familiare (il proprio padre, come fece Peppino Impastato; il proprio marito, come fece Lea Garofalo) può risultare assai complicato, se non impossibile, ed arrivare a costare la stessa vita.
Tale forza è destinata ad aumentare quando più ‘ndrine si legano tra loro, solitamente mediante dei matrimoni: eventi che, nelle usanze mafiose, assumono una rilevanza strategica fondamentale per creare alleanze, stringere accordi e rafforzare il prestigio di una famiglia.
Ed ecco che, dall’unione di più famiglie nasce la “locale”.
Una vera e propria cellula della ‘ndrangheta che, sotto la direzione di un illustre esponente delle famiglie (il cd. capo locale) controlla un determinato territorio grazie alla disponibilità di un cospicuo numero di affiliati.
Non finisce qui. L’operazione giudiziaria “Crimine/Infinito” ci ha permesso di scoprire che, al di sopra della locale, esiste anche una struttura di coordinamento e direzione delle singole locali: si chiama, in gergo, “il Crimine”, ed ha al vertice un capo-crimine; si tratta di ciò che in Sicilia, per Cosa Nostra, prende(va) il nome di “Cupola”.
Sì, ma che c’entra la Liguria?
Semplice: nel corso degli anni la ‘ndrangheta ha progressivamente spostato il centro dei propri interessi al di fuori della Calabria, giungendo letteralmente a colonizzare territori quali, a titolo d’esempio, la Germania, il Canada, l’Australia o, molto più semplicemente, il Nord Italia: la Val D’Aosta, la Lombardia, il Piemonte, l’Emilia-Romagna e, ovviamente, la Liguria.
L’ultimo decennio di inchieste giornalistiche, indagini e processi (ormai definitivi) ci ha infatti restituito l’immagine di una Regione in cui può dirsi certa, in virtù di sentenze di condanna ormai definitive, la presenza di almeno quattro locali (vere e proprie succursali “estere”) di ‘ndrangheta: la locale di Ventimiglia, la locale di Bordighera, la locale di Genova, la locale di Lavagna.
Ancora oggetto di accertamento processuale risulta, invece, la presenza della ‘ndrangheta a Savona, nell’ambito del procedimento “Alchemia”.
Nel dettaglio, il procedimento “la Svolta” ha definitivamente accertato la presenza della ‘ndrangheta a Ventimiglia e Bordighera, sotto la direzione delle famiglie Pellegrino, Marcianò e Barilaro: una ‘ndrangheta allo stesso tempo imprenditrice violenta (iconico l’atto intimidatorio a colpi di fucile perpetrato nei confronti di un imprenditore) stanziata in un punto strategico, di confine, dove per anni ha potuto svolgere incontrastata i suoi affari.
Simbolica, quasi beffarda, la frase con cui Vincenzo Marcianò (definitivamente condannato) si rivolge al Giudice durante la lettura della condanna: “Mio padre è arrivato a 82 anni incensurato, ve ne siete accorti ora che è il capo della ‘ndrangheta? Miserabili” (il riferimento è al padre, Peppino Marcianò, ritenuto storico capo della ‘ndrangheta Ponentina, morto – incensurato – prima che la condanna diventasse definitiva).
Il procedimento “Maglio 3” ha definitivamente accertato l’esistenza di una locale a Genova: una ‘ndrangheta più sommessa, meno appariscente (emblematiche furono le assoluzioni di primo grado, poi annullate, fondate sul rilievo che “essere ‘ndranghetisti non significasse per forza fare gli ‘ndranghetisti”) ma non per questo meno pericolosa: è storica la frase con cui il capo-locale di Genova Domenico Gangemi, condannato nell’ambito di un altro procedimento proprio per questo suo ruolo, assicurò la piena fedeltà della Liguria niente di meno che al Capo-Crimine: “la Liguria è ‘ndranghetista”. (Articolo di wall:out Un secolo di mafia a Genova)
Da ultimo, il procedimento “i Conti di Lavagna” ha accertato l’esistenza di una locale nell’omonima cittadina del Tigullio: una ‘ndrangheta fortemente interessata, fra l’altro, al controllo delle concessioni Comunali, che non ha esitato ad intimidire funzionari e a procurare voti al candidato (poi eletto) Sindaco: emblematica la conversazione fra il neo-eletto Sindaco (Giuseppe Sanguineti) e il Capo Locale di Lavagna (Paolo Nucera) in cui il secondo invita il primo a rispettare gli accordi pre-elettorali nominando una persona gradita alla cosca, perché “io e i miei paesani non siamo dei pagliacci, e io quando prometto una cosa, la faccio” (questo uno stralcio di una conversazione intercettata).
Bene, ora immaginate che tutte le persone coinvolte e condannate nei procedimenti appena menzionati si conoscessero, si incontrassero e si coordinassero. Ebbene, la situazione era esattamente questa.
Dalle carte processuali è addirittura emerso che la locale di Ventimiglia, in quanto locale più prestigiosa ed autorevole, avesse il compito di dirigere le altre locali presenti sul territorio ligure (ciò che, nel gergo, si chiama “Camera di controllo”) e, di conseguenza, l’intera Liguria: da Ventimiglia a Lavagna, passando per Genova.
Non è tutto: le stesse risultanze processuali hanno accertato contatti, conoscenze e collegamenti con le locali di ‘ndrangheta del Basso Piemonte, oggetto dell’ormai definitivo procedimento “Albachiara”.
Pensate poi se tutti gli accertamenti giudiziari di cui si è detto, compresi quelli piemontesi, si fossero concentrati in un unico processo: avremmo, a questo punto, non tanti singoli processi alle “locali” liguri ma un unico, imponente, processo alla ‘ndrangheta in Liguria (o, addirittura, nel Nord-Ovest).
Ciò non si è verificato per ragioni, più o meno note, che hanno comportato la necessità, fra l’altro, di separare indagini e procedimenti liguri. Ma ciò non ci impedisce di guardare, ex post, il quadro processuale in chiave unitaria, e di ragionare in grande: di ragionare, insomma, per importanza, in termini di “maxi-processo”.
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