3.572 milardi.
Il numero complessivo di spettatori che da tutto il mondo nel 2018 hanno seguito i campionati mondiali di calcio tenutesi in Russia.
1.12 miliardi.
Coloro che si sono sintonizzati per la partita finale tra Francia e Croazia.
661.3 milioni.
Il totale di tifosi europei che hanno seguito il torneo.
(fonte FIFA)
Sebbene impressionanti, questi numeri sono quasi scontati in un paese come l’Italia. Un report Istat del 2015 afferma che 4 milioni e 642 mila persone giocano a calcio, facendo di questo sport il secondo più praticato dopo l’insieme generale delle varie attività aerobiche, praticate da 5 milioni e 97 mila persone.
Anche senza conferme statistiche ci si poteva immaginare un quadro simile, considerando la folle frenesia che si impossessa della città quando vi sono derby o partite particolarmente sentite.
Il punto è che di questi 3.572 non tutti hanno l’abbonamento allo stadio. Molti, infatti si trasformano in fan sfegatati solo in occasione di questi eventi, chi scrive inclusa.
Perché?
Naturalmente, il fatto che il calcio sia uno sport così capillarmente diffuso in Italia condiziona questa nostra predisposizione. Se ne parla in televisione, al bar e le discussioni proliferano ovviamente sui canali social. Per noi profani non c’è modo di scamparne. E quando si tratta di mondiali o europei di calcio il fenomeno si amplifica.
Un’altra risposta potrebbe essere che questi campionati internazionali vanno oltre lo sport. È come se quando l’Italia entra in campo e inizia a correre non si tratti solo di una squadra di undici giocatori che deve dimostrare il proprio valore atletico. È come se questa squadra rappresentasse l’Italia su un palcoscenico internazionale.
Potrebbe essere visto come un velato caso di noi-contro- loro, dove la contrapposizione con gli altri rafforza l’unità di una comunità. Evitando derive nazionaliste, si intende, perché andrebbero impedite in primo luogo e perché alla fine si tratta pur sempre di rincorrere una palla.
Ma forse c’è qualcosa di più. La verità è che i mondiali e gli europei di calcio sono momenti segnanti.
Che sia la loro cadenza quadriennale che li caratterizza quindi come eventi fuori dall’ordinario o altro, questi campionati internazionali sono circondati da un’aura di solenne eccezionalità.
Gli europei e i mondiali sono momenti in cui succedono cose e momenti che fanno succedere cose
Nel primo caso, viene alla mente una scena del film La meglio gioventù
[SPOILER WARNING: nel seguente paragrafo si discute di una scena del film].
Nell’estate 1982 uno dei protagonisti viene a sapere che la moglie dalla quale si è recentemente separato vorrebbe vedere la loro bambina. La moglie ha abbandonato il marito e la figlia per partecipare alla lotta armata delle Brigate Rosse, per cui l’incontro deve avvenire in un luogo il più anonimo e sicuro possibile; viene perciò scelto il Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino.
Anche l’orario è stato calcolato con accortezza: si incontreranno durante la partita finale dei mondiali, quando tutta l’Italia sarà radunata per tifare la Nazionale davanti uno schermo. O intorno a una radio, come vediamo fare dagli addetti alla sicurezza del museo mentre padre e figlia attraversano le sale. Il sottofondo radiofonico li accompagna nella loro visita interrompendosi solo nel momento cruciale in cui la madre riesce a scorgere la bambina di spalle. La partita riprende e mentre la madre esce, gli addetti esultano sullo sfondo per la vittoria dell’Italia. La figlia si rivolge al padre chiedendo se hanno vinto. “Sì, abbiamo vinto”, risponde con amarezza il padre, facendo intendere che lui non si stia riferendo alla partita.
Il film pone sullo stesso piano il clima di eccezionalità dei mondiali e un importante momento di vita personale, amplificando il carattere straordinario dell’ultimo.
Ma come suggerito prima, non solo momenti topici accadono durante i mondiali o gli europei di calcio, ma a volte sono proprio i campionati a disporre l’avvenimento di questi.
Un’altra scena che potrebbe essere considerata quasi cinematografica, ma che invece è successa realmente, può valere come buon esempio di agency di questi campionati. È sempre estate ma del 2006. Siamo in campagna, in un paesino sperduto della Val Trebbia. Dopo aver seguito con entusiasmo la vittoria dell’Italia sulla Germania vogliamo assolutamente vedere la finale, ma vi è un grande ostacolo da superare: non abbiamo una televisione.
Decidiamo di rivolgerci al bar della Rosetta, separato dal paese dalla famosa statale 45, frequentatissima da motociclisti incalliti. Il bar ha una televisione. La televisione è in bianco e nero ed è muta. Due motociclisti di passaggio e mio padre si ingegnano per rimediare a questa mancanza con una radio. Seguiamo la partita con grande ardore fino ai rigori finali. Siamo 4 a 3 per l’Italia, se facciamo questo goal andiamo in vantaggio e diventiamo campioni del mondo. La tensione è alle stelle. Grosso è grondante di sudore, nervoso si morde le labbra per poi lanciarsi nella rincorsa.
A questo punto bisogna inserire un inciso. In tutti i 90 minuti e passa di partita nessuno dei presenti si era accorto che la trasmissione radio era in anticipo di alcuni secondi.
Quindi mentre vediamo la palla a mezz’aria tra Grosso e la porta sentiamo il telecronista ruggisce GOOOOAAAAAL! Non sappiamo se credere alle nostre orecchie o ai nostri occhi. L’incertezza dura appunto pochissimo perché finalmente la palla entra in rete e scoppiamo tutti in urla di gioia.
Solo durante i campionati internazionali una ristoratrice di mezza età, due motociclisti, un padre con una bambina di quasi 11 anni potevano radunarsi davanti a una televisione difettosa in un luogo sperduto della Val Trebbia.
Ed è proprio per questo che continuiamo a seguire gli europei e i mondiali. Per il calcio, il senso di unione e per le storie eccezionali che accadono in questi momenti.
Immagine di copertina:
Illustrazione di Martina Spanu
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