Anche a Genova, prima online con uno sciopero bianco 2.0, e poi dal vivo, in piazza deffe ovviamente, è andata in scena la giusta – perché come dicono ‘la socialità è più importante dei bei voti‘, e loro fanno bene a pretendere una scuola che non sia streaming-zita – protesta degli studenti (e già prima dei genitori) per la reiterata soluzione-non-soluzione della Didattica a Distanza (DaD) come misura volta alla riduzione o almeno al contenimento dei contagi.
Non parlerò qui del continuo rinvio del rientro a scuola dopo la pausa natalizia, prima fissato al 7, poi all’11, sembrava definitivo il 24, infine per davvero (ma al 50%) il 25 gennaio; né parlerò qui del ricorso di fronte al TAR da parte di alcuni genitori, dovuto proprio a questi rinvii.
Augurandoci tutti che la DaD resti la soluzione estrema e sporadica, pur temendo invece verrà nuovamente utilizzata quale prima misura per ridurre gli spostamenti almeno in teoria, qui vorrei dare forma scritta a pensieri, discussioni e riflessioni che in questi mesi, con amici, conoscenti, studenti, insegnanti, psicologi, genitori – di quelli che avremo fatto in tanti- ho raccolto in giro, tra chiacchiere da bar e ormai -e per fortuna!- tavoli di confronto più meditati.
La domanda è: questo uso prolungato della DaD può condurci ad affermare che il diritto alla connessione, cioè l’accesso ad Internet, sia diventato estensione ed anzi parte integrante del diritto all’istruzione, che si realizza con la scuola, sancito nella Costituzione Italiana?
Perché guardando al Next Generation EU (per l’Italia sarà il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, in acronimo PNRR) questo nuovo diritto potrebbe ben essere subito garantito inserendolo come obiettivo all’interno di una se non due delle tre direttrici: certamente la Digitalizzazione, probabilmente anche la Coesione Sociale nel senso sia del sostegno ai giovani studenti sia della connessione delle aree interne e con maggiori difficoltà di connessione, anche solo infrastrutturale.
Perchè proprio oggi questo nuovo diritto si è fatto largo? E perché lo si potrebbe agganciare, anzi a mio avviso includere proprio, al diritto allo studio, o meglio all’istruzione, già costituzionalmente sancito?
Durante almeno la prima ondata e il totale lockdown dentro cui siamo tutti piombati è ben capitato a non poche famiglie di trovarsi ad avere uno o due genitori per forza di cosa obbligati a convertirsi allo smart working nonché ad assicurare ai propri figli la possibilità di seguire la scuola nella modalità della DaD.
Ecco che o il nucleo famigliare aveva almeno 3 devices (tra tablet, smartphone e pc, ma hai voglia a stare videocollegato col telefono per 5 o più ore: ti si scioglie la batteria dopo una settimana!) o qualcuno si trovava a dover rinunciare al Lavoro o alla Scuola, entrambi diritti costituzionalmente garantiti.
E ribadisco: rinunciare, perché può essere questo il fondamento del collegamento tra diritto alla scuola e diritto alla connessione: se non provvisti di per sé degli strumenti atti a seguire in DaD (o a consentire lo smart working ad altri membri della famiglia) gli studenti potrebbero essere privati del proprio diritto a ricevere l’istruzione. Peraltro forse i genitori che non consentissero a che i propri figli seguissero in DaD violerebbero loro per primi la Costituzione (datevi una scorsa agli articoli 30, 33 e 34).
Non vorrei avvitarci sul piano meramente costituzionalistico, pur essendo chiaro, imho, quanto il tema qui in oggetto ormai abbia acquisito questo valore.
Non debbo certo suggerire a nessuno di voi che sta leggendo questo articolo di googlare semplicemente “diritto di accesso ad internet”, perché sono certo lo avrete già fatto…
E pensare che le prime elaborazioni non solo di pensiero ma anche legislative nero su bianco risalgono ad inizio anni 90 (30 anni fa, eh!) e sono in ambito universitario, ma poco è seguito in senso positivo (dai, cosa pensiamo delle università on line? Ah, io ho frequentato 2 corsi) e capace di anticipare il futuro allorquando non c’era nessuna pandemia da tenere lontano.
Oggi, in ambito universitario la didattica online, sorry not sorry, pare sia proprio qui per restare: anche i feedback da parte accademica paiono largamente positivi… Ma non vado oltre in ambito universitario, solo perché non è questo quello più strettamente, a mio modo di venire in chiave interpretativa estensiva alla luce di un quasi un anno di DaD, già costituzionalmente garantito.
In Italia si è parlato sì di elevazione al grado costituzionale di un diritto di accesso ad internet, già a partire dal 2010 per mano del giurista (anche docente presso l’Università di Genova) Stefano Rodotà, agganciandolo all’articolo 21: l’articolo della libertà di pensiero.
Il dibattito prese ancora più corpo allorquando proprio tra 2010 e 2011 divamparono le cosiddette ‘primavere arabe‘, per le quali internet fu sicuramente il necessario strumento di propagazione, connessione e concretizzazione.
La Commissione per i diritti e i doveri di internet, incardinata dall’allora Presidente della Camera Laura Boldrini e presieduta proprio da Rodotà, produsse nel 2015 un documento prezioso, la Dichiarazione dei diritti in Internet, ma che rimase lì appeso senza seguito.
E ancora, prima dello scoppio della pandemia, altre autorevoli voci scientifiche sono giunte alla conclusione che l’accesso gratuito ad internet sia da considerarsi ormai quale diritto umano.
Chiaro a tutti poi che con l’arrivo -più che della pandemia, direi- del lockdown anche in Italia tutti ci si è resi conto quanto internet possa davvero costituire una modalità di attuazione non solo dell’articolo 21 quanto anche dell’articolo 3 della Costituzione, così come ebbe a dire già a marzo 2020 il Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte, dando nuova speranza al dibattito sopitosi.
L’afflato di speranza ha continuato a spirare fino ad oggi, testimoniato da tanti eventi ovviamente online, e si direbbe grazie anche al pubblico scambio di idee intercorso a luglio 2020 tra Romano Prodi e il Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli, nel senso di una richiesta di intervento alle Nazione Unite (che già nel 2010 si era espressa chiaramente con un report consultabile qui) per l’accesso a internet dal titolo eloquente e di tutto interesse qui: “bisogna superare le diseguaglianze tra gli studenti”. Da ultimo, l’atto legislativo più recente sul tema è la presentazione della proposta di legge costituzionale Madia-Orlando, datata 5 novembre 2020, così motivata pubblicamente dalla prima firmataria: “la pandemia ci sta mostrando che il digitale è uno spartiacque fra inclusione ed esclusione sociale”.
Ecco, ma allora, mi chiedo e chiedo a voi, non è forse davvero giunto il momento di accorgerci (anche se forse si tratterebbe di sancire un diritto più che di riconoscerlo) che internet è anche uno strumento utile, ma diciamolo pure, necessario alla didattica nel 2021?
D’altronde i ragazzə in età scolastica oggi apprendono eccome usando tablet, smartphone e pc: come può la scuola oggi far finta di non vedere la realtà in cui soprattutto i propri principali ‘utenti’ sono immersi?
Sappiamo ormai che la DaD non è certamente priva di difetti, conseguenze negative anche sul corpo docente, ricadute sul percorso di studi degli studenti più giovani, ed anche il Ministero ne è consapevole e non lo nega, ma non per questo credo sia da gettare via dal tavolo della discussione, soprattutto mentre assistiamo al procrastinarsi apparentemente incontrastabile del pieno rientro a scuola per migliaia di studenti.
Va inoltre riconosciuto che, pur nel caos della gestione di un evento inaspettato e mai verificatosi prima (almeno non in queste forme e dimensioni, ai più critici concedo il dire ‘con questo grado di consapevolezza diffusa’), sono state approntate rapidamente misure finanziarie per sostenere le famiglie più in difficoltà e successivamente delle linee guida per la Didattica Digitale Integrata (DDI), fornendo infine materiali da consultazione, guide e corsi sia alle famiglie sia ai docenti.
Tutto ciò può bastare? Certamente no.
Oggi infatti sarebbero ancora da staziare risorse, finanziarie e umane, nella direzione della digitalizzazione non solo delle scuole come edifici ma delle classi intese come reti di persone e singoli individui cui fornire supporti e strumenti informatici capaci di adiuvarli nel proprio apprendimento. Non si tratta di un gioco politico, non va fatto sulla pelle degli studenti di oggi, cioè la classe dirigente di domani, che sinceramente vorrei più e meglio istruita delle precedenti, anche perché maggiore può esserne il grado di consapevolezza proprio grazie all’accesso libero ad internet.
Ecco perché oggi davvero non dovremmo solo proseguire ad interrogarci sulla esistenza del diritto di accesso ad internet, ma forse anzi prendere atto che tanti diritti già costituzionalmente sanciti andrebbero garantiti nelle proprie manifestazioni in e grazie ad internet: come farlo?
Ecco su cosa il dibattito deve incentrarsi: non più sul se, ma sul come.
Per concludere, abbiamo nelle nostre mani uno strumento potentissimo perché dal serbatoio inusitato (stimato pari a 18 volte il Piano Marshall) e a potenziale imprevedibile: il Next Generation EU.
Siamo passati dall’indicare prima più di 10 e poi più di 20 miliardi di euro per la Scuola. Eppure non è semplice tra le pagine del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) riuscire a leggere concretamente iniziative politiche e finanziare in questa direzione. E allora davvero tutti dovremmo fare da megafoni alle richieste in tal senso delle giovani generazioni d’oggi: sosteniamo l’Istruzione Pubblica, la Scuola, il diritto sancito costituzionalmente per ciascuno di ricevere una istruzione congrua a vivere nel mondo con spirito critico e consapevolezza.
Se patria è ciò che i padri lasciano in eredità ai propri figli, sia una istruzione migliore per la prossima generazione l’eredità per cui battersi.
Immagine di copertina:
Foto di Jcomp
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