Sono gli ultimi giorni di gennaio 2025, un gennaio mite e molto piovoso, di stampo autunnale, una settimana di piogge costanti e occasionalmente intense.
E come ad ogni pioggia: il traffico ingolfato nel capoluogo e nella regione, qualche notizia di allagamento, nei sottopassaggi, le allerte… E infine le frane in Valfontanabuona e sui Giovi, nell’entroterra sempre un po’ accantonato dalla politica incravattata.
La mattina del 30 la pioggia lascia un avvertimento anche in centro città: crolla un muraglione di contenimento a Lagaccio. Il “territorio fragile” non è solo quello imbriccato di cui i politici del capoluogo preferiscono dimenticarsi e riescono a trascurare con facilità.
Anche il capoluogo è territorio fragile, e la classe dirigente non può fare spallucce quando la frana è a duemila metri da palazzo Tursi.
Si parla di uno dei tanti quartieri densamente popolati, e popolari, ex quartieri dormitorio del boom che, tra tanti mutamenti, difendono una loro identità, con palazzoni arroccati sulle pendici delle colline tenuti insieme appunto da muraglioni a custodire case, scuole, parchi, in un limbo: né troppo centrali né troppo periferici.


Non esattamente una sorpresa
In realtà il crollo non è esattamente una sorpresa: molti cittadini segnalano le crepe sempre più larghe in strutture ormai vecchie e provate dall’urbanizzazione spericolata degli anni ‘70 e ‘80, per cui la manutenzione è stata troppo a lungo rimandata.
“Questa frana non è un incidente isolato: decenni di incuria, su strutture già in partenza tirate su al risparmio e senza prospettiva di tutela del territorio e delle persone, portano a questo risultato” dice in una nota il comitato di cittadini del quartiere ‘Con i piedi per terra’.
Ma le segnalazioni cadono spesso nel vuoto. Se ci sono di mezzo privati, le proprietà nicchiano. Se è pubblico, il Comune fa spallucce.
Non è una sorpresa, e nemmeno una novità, anzi, è un recita già vista fin troppe volte, come nel 2013 in via Ventotene.
Cementificazione arrischiata, manutenzione mancata, crolli, emergenze, proclami, e via, altro giro, altro regalo. Se ci si pensa anche la tragedia del ponte sul Polcevera in fondo ha seguito un copione simile.
E pure le autostrade, le cui pessime condizioni sono ormai una non notizia, un meme trito.
D’altra parte la manutenzione costa in palanche e non rende in immagine quanto un bell’intervento emergenziale o una bella inaugurazione nuova di pacca.
Già Toti aveva espresso la volontà di aumentare il consumo di suolo, spalleggiato dai cantori del progresso pronti a tacciare di miopia e oscurantismo ogni obiezione.
Anche i sindacati, intrappolati da troppo nella retorica del lavoro (ma non del reddito) chiedono cemento.
E i costruttori, vabbè, ovviamente. Creare lavoro, ricchezza, case, ma per chi? E intanto le colline in abbandono, i rivi tombati, i muraglioni, faticano sotto le piogge sempre più tropicali.

Il caso Lagaccio
Il caso specifico del crollo di Lagaccio suona ancora più beffardo pensando al molto discusso progetto della funivia (articolo di wall:out Funivia sul Lagaccio: ne vale la pena?) che dovrebbe collegare il terminal crocieristico alle alture, i cui enormi piloni dovrebbero poggiare nel mezzo del quartiere, e al quale gli abitanti del quartiere sono comprensibilmente scettici se non apertamente ostili. Ribadisce il comitato ‘Con i piedi per terra’:
“Le crepe che attraversano i muri e le case sono ‘attenzionate’ e lasciate in abbandono, fino all’inevitabile disastro di cui tutti fanno finta di stupirsi. Intanto si progetta su questo territorio di costruire un impianto di funivia panoramica”.
La Liguria è un territorio fragile, troppe volte bistrattato: i progetti urbanistici e infrastrutturali sono troppo spesso stati miopi o mossi da interessi di pochi. E i cittadini si trovano troppe volte inascoltati, nell’entroterra come in centro città.
Devono crollare Palazzo Tursi o il palazzo della Regione perché cambi qualcosa?
Immagine di copertina:
Panoramica del crollo di vico 5 Santi 1. Foto di Chiara Cecilia Frisone
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