Pista ciclabile

La pista ciclabile di Genova. Una recensione oltre il mugugno

Ai genovesi piace mugugnare. Soprattutto della pista ciclabile. Hanno ragione? Abbiamo provato a rispondere recensendo il tragitto tanto discusso.
19 Aprile 2021
5 min
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Mugugno s. m. [voce genov. di origine onomatopeica, entrata nell’uso attraverso il linguaggio marin.]. – Brontolio, espressione di scontento e di protesta, prolungata e fastidiosa. Questa la definizione fornita dall’enciclopedia Treccani. Ma noi genovesi sappiamo che il mugugno è molto di più. È un’arte raffinatasi nei secoli, il modo dei zeneixi di fare small talk e in generale una pratica sociale che crea e rafforza un senso di comunità. Di cosa si mugugna? Di tutto. Il mugugno è sempre giusto? Sì e no. Ad esempio, prendiamo la pista ciclabile di Genova, che da un anno a questa parte è stata oggetto di aspre critiche e, sì, di mugugni. 

Sono davvero tutte critiche meritate? In questo caso il mugugno è completamente giustificato?

Proviamo ad analizzare la situazione

Già nel lontano 2016, quando era comparso un tratto di pista ciclabile nei pressi della stazione Brignole, si erano manifestati i primi malumori. A vederla così non è chiaro dove voglia andare a parare. “E’ monca perché la stanno ancora costruendo” aveva puntualizzato Anna Maria Dagnigno l’allora assessora alla mobilità (Primocanale 30 luglio 2016).

Il grande scandalo però è scoppiato il 13 maggio 2020, con l’apertura del tratto ciclabile che collega Boccadasse a Piazza De Ferrari, il cosiddetto “Percorso Levante”.

Subito, quasi tutti i genovesi hanno avuto da ridire.

Dagli automuniti ai possessori di scooter, dagli autisti di autobus ai tassisti, in numerosi si sono dichiarati contrari a questa iniziativa. Tuttavia, a differenza di molte altre polemiche che scoppiano e si consumano nel giro di alcuni giorni nella nostra società dell’indignazione, il dibattito è andato avanti e continua tuttora.

Infatti, solo pochi giorni dopo l’apertura della pista, è stato fondato il gruppo Facebook “No alla pista ciclabile di Corso Italia”. Con la notizia dell’intenzione, poi attuata, di prolungare la pista ciclabile fino al quartiere di Sampierdarena e oltre, è stato aperto anche il più generale “No alle piste ciclabili a Genova di intralcio alla viabilità ordinaria”.

Ad oggi, il primo gruppo conta 2646 membri e il secondo 5651. Essi continuano ad essere molto attivi, tanto che, di recente, l’amministratore e fondatore del secondo gruppo Facebook, Giacomo Puppo, ha rilasciato un comunicato stampa dove ha rinnovato le sue preoccupazioni circa il peggioramento della viabilità causato dal tracciato ciclabile.

Ma è davvero così terribile questa pista?

A leggere le notizie di cronaca, sì, sembra un vero disastro. Concentriamoci proprio sul famoso Percorso Levante, il tratto che passa per Corso Italia e che sembra essere quello più problematico. La riduzione da due corsie a una su questa strada ha generato un oggettivo aumento di traffico e imbottigliamenti. Ciò ha comportato la sospensione della viabilità della ciclabile in ben due occasioni: durante il Salone Nautico e per l’apertura del supermercato Esselunga in via Piave. (Di cui abbiamo parlato pure qui su wall:out)

Come se causare maggior traffico non bastasse, la pista suscita ulteriori mugugni a causa della sua mutevolezza. Infatti, leggendo i titoli dei giornali, viene presentata come quasi dotata di poteri straordinari, scomparendo misteriosamente davanti all’ingresso della caserma dei carabinieri in Corso Italia o apparendo magicamente in Corso Torino, in un controviale dove in realtà essa non doveva passare.

Insomma, sembra proprio non esserci scampo. 

Tuttavia, i dati parlano chiaro. Il bonus mobilità, che in sostanza incoraggiava la cosiddetta micromobilità, ha avuto un successo enorme: ben 663.710 italiani ne hanno usufruito, per un valore complessivo di 31,5 milioni di euro (Dati ANSA). Non solo il numero di ciclisti è cresciuto a livello nazionale ma anche il report sull’uso della bici elaborato da FIAB, Circolo Amici della Bicicletta di Genova evidenzia un sempre più diffuso uso di questi mezzi anche nella nostra città. 

Per cui sorge legittima una domanda: se nonostante le critiche e le evidenti difficoltà esistono comunque delle persone che utilizzano la bici e la pista ciclabile a Genova, forse allora questa iniziativa non è così biasimevole?

Abbiamo quindi deciso di sfidare le leggi capitali del mugugno, quelle che vietano di mostrare apprezzamenti per qualsiasi nuova iniziativa, e dopo aver acquisito dimestichezza con la pista abbiamo provato a scrivere una recensione del Percorso Levante (il percorso Ponente era già stato oggetto di un reportage fotografico).

Prima di iniziare, è bene sottolineare che l’indagine è stata svolta da persone che utilizzano la bicicletta esclusivamente per muoversi in città e non hanno nessuna pretesa di approfondite conoscenze urbanistiche. Si potrebbe dire che queste considerazioni vengono avanzate dal fruitore di pista ciclabile medio. 

Bene. Quindi, zaino in spalla, caschetto in testa e anemu!

Il tragitto Corso Italia – piazza De Ferrari – Corso Italia è un percorso di circa 7 km che non presenta difficoltà insormontabili e si compie in meno di 40 minuti. Nel percorrere questo itinerario abbiamo notato alcuni aspetti particolari della pista così tanto discussa, sia negativi sia positivi. Abbiamo provato a sintetizzarli qui sotto.

Partiamo dagli aspetti negativi. Dopotutto, siamo sempre in terra di mugugno.

Il primo punto a sfavore del percorso ciclabile è la sua scarsa chiarezza.

In alcuni tratti, infatti, la pista scompare improvvisamente per poi riapparire qualche metro più avanti. Queste interruzioni sembrano essere date dalla difficoltà di integrare il percorso ciclabile alla preesistente segnaletica automobilistica e pedonale. Il risultato è però che il ciclista rimane per qualche istante spiazzato fino a che non vede ricomparire il tracciato. 

Il secondo punto problematico è che la pista ciclabile è stata appunto inserita in una geografia urbanistica e segnaletica già esistente.

Questo ha fatto sì che le sia stato fatto spazio dove si poteva, creando tratti ciclo-pedonali, ritagliando alcuni metri dalle corsie preferenziali degli autobus e talvolta sacrificando pezzi di carreggiata automobilistica. Il ciclista si sente perciò quasi un ospite temporaneo che rallenta quando i pedoni passeggiano o attraversano noncuranti la pista, dà la precedenza agli autobus che giustamente devono effettuare la fermata all’interno della propria corsia e fermarsi quando vi sono automobili parcheggiate sulla pista ciclabile.

Infine, la pista risulta in alcuni tratti non facilmente fruibile.

In particolare il tratto che attraversa il quartiere della Foce presenta curve con un’ampiezza minore di 90° che obbligano il ciclista ad oltrepassare i confini della ciclabile e immettersi nella corsia delle automobili. Vi sono inoltre tratti su marciapiedi malconci tra auto, pali segnaletici e motorini parcheggiati.

Vi sono tuttavia alcuni aspetti positivi.

Il primo è sicuramente la sistemazione del tratto che passa dai porticati e conduce a Piazza della Vittoria. Infatti, prima il percorso faceva sì che il ciclista attraversasse i portici e si trovasse ad affrontare un dislivello di almeno 10 cm tra il pavimento lastricato di questi e il suolo asfaltato della strada. Il gradino è stato appiattito, favorendo una migliore percorribilità. Questo è sicuramente un segnale positivo che dimostra la volontà di risolvere alcuni disagi ove possibile. 

Il secondo aspetto positivo è che un tratto della pista sfreccia su Corso Italia, garantendo così la vista sulla nostra costa. Sì, lo sappiamo, è una questione piuttosto spinosa. Ma che spettacolo!

In conclusione, se volessimo rispondere alla nostra domanda iniziale, in questo caso alcuni mugugni possono essere giustificati in quanto la pista ciclabile di Genova non è chiaramente perfetta. D’altra parte, ora l’abbiamo (anche se alcuni non la volevano già in principio): perché non pedalare?

Immagine di copertina:
Pista ciclabile di Genova in Via XX Settembre. Foto di Maria T.


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Storica dell’Arte laureata con una tesi sui bestiari medievali presso il Courtauld Institute of Art di Londra. Negli ultimi anni trascorsi tra Italia, Germania e Inghilterra si è interessata di storia dell’arte medievale, musei, didattica e divulgazione. Europea ma genovesissima.

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