E’ solo attraverso la ripetizione di azioni abitudinarie nella nostra quotidianità che riusciamo a guadagnarci un senso di sicurezza e stabilità, elementi preziosi ai tempi del Covid-19.
La costanza, attraverso tempi e modalità che il nostro cervello sente come “familiari”, tiene lontane le angosce, promuove lo sviluppo di sicurezze e permette la creatività. E’ su questi concetti base che molti autori della Psicologia hanno teorizzato i processi di sviluppo psichico del bambino nei primi anni di vita.
Trovo interessante come queste osservazioni sull’importanza della ripetitività possano avvicinarsi alla quotidianità attuale. Costrette a casa, molte persone mi raccontano le loro giornate come “tutte uguali”: la pandemia sembra avere cancellato anche la specificità dei singoli giorni della settimana che, privati delle loro connotazioni dettate dall’esterno, finalmente possono assumere una caratterizzazione personale.
C’è chi mi ha confidato di stare molto meglio quando lavora, perché lo smart working lo tiene impegnato a un ritmo costante. Qualcun altro invece si è reso conto dell’effetto distensivo e tranquillizzante del portare avanti un po’ del proprio lavoro anche la domenica. Altri mi hanno detto di avere più cose da fare rispetto a prima.
Sentirsi meglio lavorando di domenica? Sembra il mondo al contrario. Nessuna bizzarria, è solo perché ora siamo a casa nostra. Da questa base sicura, possiamo trasformare il lunedì nell’ultimo giorno della settimana, perché abbiamo finalmente la possibilità di un’attribuzione libera di significati interni a tutto ciò che li aveva presi dall’esterno.
Ugualmente per il lavoro. In questo modo il “weekend” in cui “ti devi rilassare” non sarebbe più necessario se ogni giorno pensassimo ai nostri bisogni di sicurezza, stabilità, riposo, cucina homemade, fitness e vicinanza familiare.
Stando continuamente negli stessi spazi, qualcosa di particolare accade alla nostra psiche e…alla nostra casa! Donald Winnicott, psicologo che spesso osservava i propri bambini, ha notato come l’ambiente circostante non sia solo sistemato e ordinato da noi, ma possa restituirci ciò di cui abbiamo bisogno, come in uno scambio reciproco.
Con il concetto di “environment mother” (=“madre-ambiente”), Winnicott voleva sottolineare come la madre, nei confronti di suo figlio, non sia solo agente di cura, ma vada a caratterizzare tutto il suo mondo: la cameretta è intrisa delle cure della mamma, per cui il piccolo può “incontrarla” anche quando apre i suoi cassetti e trova i giocattoli in ordine.
In questa situazione non è solo la mente a cambiare, ma anche il corpo: nel bambino, cresce, mentre nell’adulto in quarantena, ritrova antichi equilibri. Gli spigoli di casa e le precarietà familiari, anche per noi adulti, ora sono da avvolgere di gomma piuma per tollerare le convivenze, ordiniamo gli spazi – nei cassetti della mente – in modo che all’apertura ci restituiscano subito del buono, ridiamo il bianco alle pareti per abitare un posto più bello.
Prima, nella frenesia, nella fretta e nello stress di produrre e guadagnare, sopportavamo la macchietta sul muro, il disordine nei cassetti, ci muovevamo talmente veloci che la maniglia della porta era periodicamente tatuata sul nostro braccio, chiedendo alla nostra mente uno sforzo anche al rientro a casa.
Winnicott non lo sa, ma ci ha visto lungo anche per la situazione attuale: l’ambiente in cui viviamo, per essere sano e rendere sani anche noi, deve rispecchiare i nostri bisogni e desideri, dobbiamo vedere cose che ci piacciono ogni giorno dieci, cento, mille volte ripetute, possiamo prevenire i mali curandoci dei nostri corpi in ogni momento e ogni volta che apriamo gli occhi tutto ciò che ci circonda in casa può essere intriso di noi e specchiare in maniera coerente chi veramente siamo.
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Breno Assis
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La prima cosa da notare è che l’importanza della ripetitività ,che allontana le angosce e promuove lo sviluppo di sicurezze , che l’autrice riferisce nei bambini nei primi anni di vita, e che favoriscono lo sviluppo psichico del bambino, è appunto un fattore che riguarda i bambini, ma noi siamo adulti. E’ elementare capire che la routine, fare sempre le stesse cose e sapere che accadranno di conseguenza le stesse cose , è un elemento di rassicurazione, anche se a volte può creare ansia quando si può ingenerare la paura che qualcosa rompa la routine ed allora anche un contrattempo di poco conto può creare ansia ( ora arriverò in ritardo, ora non riuscirò a fare quella commissione, ora farò tardi a cena..). La routine è in genere considerata un fattore negativo ed è molto espressiva un frase in inglese che la definisce bene nei sui caratteri ” Stuck in a rut ” , piantato, conficcato in un solco. Con la routine quotidiana, magari ti senti rassicurato , hai la sensazione che sei al sicuro da brutte sorprese, ma non ti devi neanche aspettare delle belle sorprese. Io farei solo presente che sono ormai innumerevoli le dichiarazioni di psicologi e psichiatri riguardo i pesanti effetti della pandemia e del lockdown sulla psiche in termini di ansia , depressione, DAP, PTSD. L’alterazione dei ritmi lavorativi e quotidiani,l’isolamento, la distanza sociale sono fattori dirompenti che causano insonnia, irritabilità. Ma non solo, si temono anche gli effetti successivi per cui si è istituita l’International COVID-19 Suicide Prevention Research Collaboration, riportata dal Lancet Psychiatry . Dopo l’epidemia della SARS del 2003 si registrò un aumento dei suicidi del 30% e disturbi d’ansia in più del 50% delle persone, operatori sanitari compresi. Io comunque prenderei a prestito semplicemente il testo della canzone di Luigi Tenco Un giorno dopo l’altro. Un giorno dopo l’altro e tutto e’ come prima un passo dopo l’altro, la stessa vita. Un giorno dopo l’altro la vita se ne va domani sarà un giorno uguale a ieri. Un giorno dopo l’altro
la vita se ne va e la speranza ormai e’ un’abitudine. Sono solo alcune strofe della canzone, ma che penso possano illustrare pienamente la situazione attuale e il disagio psichico di chi si trova chiuso in casa e si sente recluso , emarginato dalla vita che è all’esterno , che continua all’esterno.
Buongiorno, grazie della riflessione ulteriore! È difficile comprendere in un unico articolo tutti i risvolti psicologici di questa pandemia. Sicuramente ciò che dice lei è vero, ma da un punto di vista differente al mio. La situazione attuale è difatti poliedrica, sarebbe un errore fermarsi solo a questo articolo, come solo al suo commento. Capisco che soffermarsi su un solo punto di vista sia difficile. Per quanto concerne il suo appunto tra bambini e adulti, ho fatto riferimento a capisaldi della psicoanalisi per cui lo sviluppo dell’individuo che diventa adulto continua ad essere permeato di contenuti infantili. Dire che noi siamo adulti e non più bambini è un dato di fatto, ma è anche errato – dal mio punto di vista teorico – pensare che non esista più alcun collegamento con la nostra infanzia. Dare una visione sulle fasi evolutive precedenti, porta l’individuo a costruire una narrazione di sé coerente e che porta senso all’essere nell’oggi e alla propria identità. Ho preferito muovere lo sguardo del lettore su questo frangente, piuttosto che fare l’ennesimo elenco di tutti i disturbi psicologici a cui ha portato la pandemia, cosa a cui hanno già pensato – come lei ha detto – molti altri miei colleghi. Un cordiale saluto e grazie per aver letto l’articolo.