In quasi tutti i salotti televisivi, così come ai tavoli dei bar, da mesi riecheggiano le stesse parole: “Vincerà la destra”. Perciò oggi, qualcuno potrà essere deluso, qualcuno arrabbiato, qualcun altro contento, ma nessuno potrà fingere stupore di fronte ai risultati delle elezioni politiche 2022.
La destra, che dal 2011 non ha più avuto occasione di governare in modo compatto il paese, ha effettivamente vinto.
Le ragioni sono molteplici e di diversa natura; tuttavia, il nocciolo della questione è probabilmente, come spesso accade, da cercare all’interno della parte vinta: centrosinistra e Movimento 5 Stelle, l’ipotetico campo progressista unito, concepito zoppo e ucciso prima ancora di nascere dalle stesse forze politiche che si proponevano di formarlo. Un popolo sempre più povero, stremato dall’inflazione, afflitto da problemi di natura civile, sociale, ambientale guarda necessariamente alle forze politiche che si propongono di stare al fianco degli ultimi.
Seguendo questo filo logico, il Partito Democratico dovrebbe essere ai massimi storici, ma così non è.
La confusione sopraggiunge quando i partiti che storicamente hanno rappresentato i ceti sociali meno abbienti perdono la loro funzione in nome, forse, di un bieco tentativo di allargamento del bacino elettorale con lo scopo di restare a galla.
Quando fuori da una fabbrica gli operai trovano i banchetti e i comizi di partiti di destra e non quelli del Partito Democratico, erede (anche se poco ha ereditato di buono) di forze politiche storicamente famose proprio per le lotte sostenute al fianco dei lavoratori, questo non può pretendere di ottenere consenso; ancora meno può pensare di averne se ci si ricorda delle riforme presentate, votate e/o portate avanti negli ultimi undici anni, che spesso hanno contraddetto i valori fondanti dello spirito di sinistra di questo paese.
Chi sono i vincitori?
Indubbiamente la vincitrice indiscussa di queste elezioni è Giorgia Meloni (uso volutamente il nome proprio della presidente di Fratelli d’Italia, poiché trovo che il suo partito sia fortemente personalistico e che senza di lei non avrebbe nemmeno la metà dei voti), che forte di un lungo periodo di “opposizione” (se così si può definire) è riuscita ad arrivare alla pancia dei cittadini, solleticando i punti più sensibili.
Nell’ultimo periodo di campagna elettorale, contraddicendo varie volte se stessa, si è spostata su un piano più atlantista, più europeista, guadagnando il consenso degli incerti che non apprezzavano le sue posizioni sovraniste più radicali. Una strategia non proprio trasparente, insomma, ma certamente funzionale.
Al secondo posto, sul podio dei vincitori, troviamo il Movimento 5 Stelle, che con una buona campagna elettorale ha recuperato gran parte dei voti persi, più di quanto i sondaggi prospettavano fino a poche settimane fa. Fondamentale è stata la figura di Giuseppe Conte, che gode ancora di un consenso pubblico molto ampio (senza Conte i risultati sarebbero dimezzati).
Il M5S può aver raccolto i voti dei delusi di sinistra (nessuna novità rispetto al passato), e tuttavia non è stato in grado di convincere sufficientemente quella fetta di popolazione che si rifugia, forse legittimamente, nell’astensionismo. Certo è che, dopo il rifiuto da parte di Enrico Letta (segretario del PD) di costituire un’alleanza per un fronte progressista unito, la speranza che i 5 Stelle potessero giocare un ruolo determinante per formazione di un esecutivo alternativo alla destra non poteva che scemare.
L’allontanamento di Di Maio dal partito ha sicuramente aiutato il raggiungimento di questo buon risultato, ciononostante, la generale schizofrenia che ha caratterizzato il M5S negli ultimi mesi, i terremoti interni e i litigi personali hanno abbassato il potenziale consenso, che sicuramente avrebbe potuto essere maggiore.
Possono certamente gioire anche il Terzo (in realtà quarto) Polo e Forza Italia, che coi numeri raggiunti potrebbero rappresentare l’ago della bilancia in molte occasioni future.
Gli sconfitti?
Il primo sconfitto è senza ombra di dubbio il Partito Democratico, che resta bassissimo nei consensi rispetto alle aspettative, incalzato dal Movimento 5 Stelle, pur avendo un marchio, un simbolo, storicamente più conosciuto e scelto. Se il PD fosse formato dagli stessi individui, ma avesse un simbolo diverso avrebbe forse la metà dei voti.
Non è riuscito a crescere, nonostante il cambiamento della segreteria (Zingaretti – Letta). Ha provato a proporsi come innovativo e progressista, fallendo evidentemente nel suo intento. Sembra aver perso la fiducia di grande parte del suo elettorato.
Portare avanti una campagna elettorale difendendo norme avanzate da altri partiti (come il reddito di cittadinanza) e accusando le proprie (Jobs Act) non è forse stata una strategia vincente, soprattutto visto che ha rifiutato alleanze con gli stessi partiti che hanno varato le leggi che ha deciso di difendere.
“Calenda sì, Calenda no?”
Mentre Enrico Letta si poneva questa domanda, che neanche avrebbe mai dovuto porsi, e decideva di sposare il pariolino della politica, quest’ultimo lo ha mollato all’altare, lasciandolo solo con in mano un bel mucchio di niente, seduto su una poltrona di vergogna. Consiglierei ai suoi alleati di cambiare fazione o correre da soli.
A parimerito, sul podio degli sconfitti, si trova la Lega. È possibile che nel prossimo futuro all’interno del partito si parli di un cambio di leadership.
D’altronde, come Salvini si prese il merito di aver resuscitato la Lega, così ora dovrebbe assumersi la responsabilità del suo disastroso fallimento. La campagna elettorale di Matteo Salvini si commenta da sola: tra una colazione e un “PRIMA GLI ITALIANI!!!!” si è parlato anche di politica, ma non troppo.
Così ha vinto la destra e non il centrodestra: se il “centro” è rappresentato da Silvio Berlusconi e il suo partito c’è da ridere. Ha vinto una destra becera, sovranista, patriarcale, medievale. Ha vinto questa destra per ragioni molteplici e tutti, nel panorama politico, sono colpevoli. Qualcuno ha “fatto sbagliato”, qualcun altro non ha fatto abbastanza, tutti hanno contribuito.
Non si dia la colpa ai cittadini, che sono stanchi e arresi, si dia la colpa a una politica arida che non rappresenta quasi mai gli interessi reali degli elettori.
Che questo risultato sia un monito per il futuro e che porti le giovani generazioni a interessarsi e ribellarsi nuovamente.
Immagine di copertina:
Vox España – CPAC 2022 con Hermann Tertsch y Victor Gonzalez., CC0. Wikicommons
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