Chi non si è mai definito dipendente da qualcosa? Da quelle caramelle della marca che ha soltanto quel piccolo negozio che fa angolo in quel vicolo, dalla tazza di caffè appena svegli, o ancor più dalla sigaretta dopo il caffè, o dalla sensazione di euforia dopo una corsa, o da qualunque cosa faccia venire voglia di rifarlo, di ritornarci, come si fa con le ciliegie, una tira l’altra.
La definizione di dipendenza è descritta come l’impossibilità di fare a meno di qualcosa, si diventa parte di un rapporto di subordinazione, come un burattino con il suo burattinaio.
Il burattinaio è quasi sempre una sensazione che si vuole provare, riprovare e riprovare ancora; può derivare dal sapore di un cibo, dalla percezione di sé dopo l’assunzione di una sostanza o dalla festa organizzata dagli ormoni che si liberano e danzano dopo un’esperienza adrenalinica.
A volte però quella dipendenza non riguarda qualcosa, riguarda qualcuno
Quest’ultima rientra nelle nuove addiction e viene chiamata Dipendenza Affettiva, la quale non è altro che una forma di relazione costruita da due o più soggetti. La rappresentazione di sé e dell’altro è distorta, per cui si costruisce un circuito fatto di aspettative, atteggiamenti e comportamenti da mettere in atto e da pretendere rigidamente anche dall’altra persona, la quale ha naturalmente un ruolo complementare.
Il controllo è la parola chiave: si ha l’illusione di poter controllare la relazione e le sue sorti, ma in realtà questo porta alla perdita del potere personale all’interno del rapporto e la perdita di libertà di scegliere la propria modalità di gestire i legami affettivi. Il dipendente affettivo non riesce ad accettare i suoi limiti e quelli dell’altro, quindi finisce per vivere con una costante angoscia del cambiamento, in quanto ha l’illusione che la relazione possa cristallizzarsi e rimanere identica nel tempo.
Entrando nel vivo della questione, si possono distinguere diversi tipi di dipendenza affettiva.
La forma passivo-dipendente vede come protagonista una persona terrorizzata dall’idea di essere abbandonata, per cui per evitare la separazione e la solitudine, si mette a completa disposizione dell’altro, rinunciando ai propri bisogni e dunque a se stessa. Generalmente i passivo-dipendenti ricercano partner narcisisti, sadici o contro-dipendenti, evitando abilmente i partner più sani.
Un altro scenario è offerto dalla Co-dipendenza, la quale ha come attore principale la condizione di bisogno in cui uno dei due partner presenta una problematica e l’altro se ne fa pieno carico. I tentativi di aiutare l’amato risultano spesso fallimentari, ma è questo a far funzionare il rapporto: “finché il problema esisterà io sarò con te per aiutarti a risolverlo”.
Un’altra forma di dipendenza è quella aggressiva, in cui regna sovrano il perenne conflitto. Capita spesso di vedere delle coppie che passano la maggior parte del loro tempo a discutere, tanto da far domandare a chi assiste “ma perché stanno insieme se non vanno mai d’accordo?”. In realtà è proprio questo a renderli uniti: si tratta di due persone molto simili che disprezzano loro stesse attraverso il disprezzo dell’altra.
L’ultima condizione di dipendenza è la Contro-dipendenza, che appartiene a coloro che negano la dipendenza in quanto nella loro storia di vita hanno ricevuto un rifiuto relativo ai propri bisogni, imparando precocemente ad aiutarsi da soli. La difficoltà più grande del contro-dipendente è quella di provare amore, essendo in primis lui stesso, nel suo vissuto, a non esserne degno.
Quando si parla di dipendenza affettiva si intende qualcosa di diverso dal disturbo dipendente di personalità, soprattutto perché è relativa ad un aspetto relazionale e si può osservare nella dinamica tra due persone, piuttosto che nel funzionamento del singolo individuo.
La storia di Anna Schiaffino Giustiniani, meglio conosciuta come Nina
Racconterò una storia per far comprendere meglio questa differenza; la protagonista di questo racconto è una giovane donna sposata che si innamorò perdutamente di un altro uomo. Tra i due amanti iniziò una tormentata relazione costellata di lettere in cui la donna mandava anche delle ciocche dei suoi capelli biondi.
I problemi iniziarono quando lui dovette tornare nella sua città e, nonostante i tentativi della fanciulla di raggiungerlo, non sono mai più riusciti a incontrarsi. Le lettere continuarono a essere scritte e ricambiate ma lei sprofondò in una profonda depressione che la condusse al suicidio: si gettò dalla finestra del suo palazzo.
Questa è la storia di Anna Schiaffino Giustiniani, meglio conosciuta come Nina, e il suo adorato amante Camillo Benso conte di Cavour.
Ancora oggi si narra che il fantasma della donna faccia comparire la macchia del suo corpo sul marciapiede sotto il palazzo genovese Lercari-Parodi in via Garibaldi. Si può ipotizzare da questa leggenda che la donna potesse avere una personalità dipendente, tanto da togliersi la vita per il dolore dovuto alla lontananza del suo amato, in quanto la sua esistenza non aveva più senso senza di lui.
Dalla narrazione sembrerebbe invece che il conte non alimentasse questa dinamica di dipendenza, anzi, aveva tentato anche di rassicurare invano Nina. Per questa ragione non si può parlare di dipendenza affettiva, ma più di qualcosa che riguarda unicamente il vissuto della donna e più precisamente dell’organizzazione della sua personalità.
Naturalmente questo esempio è frutto di una fantasia ricamata su una leggenda genovese, ma non sapremo mai se realmente Nina avesse questo disturbo, sicuramente però è stato un modo per riportarla in vita per qualche istante tra le righe di questo articolo e per chiarire la differenza tra i due modi di essere dipendenti.
Concludo con una rassicurazione per tutti: essere dipendenti è una condizione necessaria che è in ciascuno di noi; convivere con essa è l’unico modo per essere realmente in relazione e anche realmente indipendenti.
Immagine di copertina:
Foto di Debby Hudson
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