Freedom Theatre project

LABIBA | (R)Esistere attraverso l’arte

L'arte come forma di resistenza non-violenta all'occupazione Israeliana; il progetto "Freedom Theatre" nel campo profughi di Janin.
2 Marzo 2022
di
2 min
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Di solito quando si parla di Palestina lo si fa in relazione al pluridecennale conflitto con Israele e si tende a tralasciare quali siano i bisogni della società, facendoci credere che non ci sia vita oltre il conflitto. In realtà la società palestinese esiste e resiste, ed è per questo importante imparare a conoscerla parlando di cultura e consuetudini, ma anche raccontando metodi innovativi di resistenza all’occupazione. 

Come molte tra i popoli arabi, anche quella palestinese è una società molto giovane, infatti circa il 28,7% dei 5 milioni di palestinesi residenti in Cisgiordania e a Gaza ha un età compresa tra i 15 e i 29 anni (dati Fanack). Residenti in territori occupati, sono però costretti a condurre vite molto diverse rispetto ai loro coetanei e si stima che il 41,1% di questi sia disoccupato.

Purtroppo queste statistiche non risparmiano neanche i giovani laureati e sembrerebbe che questi numeri non spaventino né il mondo del lavoro né l’opinione pubblica internazionale.

Questa tragica situazione è dovuta all’occupazione territoriale israeliana e al prolungato conflitto che colpisce i territori palestinesi, racconta Il fatto quotidiano. Sebbene la crescente digitalizzazione della popolazione mondiale abbia creato un’infinita narrazione sulla Palestina, uno degli argomenti che non viene quasi mai trattato riguarda le iniziative culturali e i progetti dei giovani palestinesi nati come risposta non-violenta al regime israeliano. 

Fondamentali sono le attività nazionali o internazionali in grado di promuovere progetti culturali e aggregativi e dare ampio spazio alle diverse forme di arte per fare in modo che ognuno si senta libero di esprimere la propria persona e la propria opinione come vuole e come meglio gli riesce.

Progetto Freedom Theatre

Uno di questi esempi è il Freedom Theatre, sponsorizzato dal governo svedese, che dal 2006 presso il campo profughi di Jenin porta avanti corsi amatoriali di teatro e mette in scena sia opere classiche che rivisitate, offrendo così ai giovani un’opportunità di distrazione dalla situazione politica in cui stanno vivendo.

Il teatro è nato come centro culturale, per questo al suo interno vengono portate avanti varie attività come corsi di informatica, scrittura creativa, fotografia, cinematografia, terapia teatrale. La sperimentazione teatrale viene affiancata da altre forme d’arte autonome, come murales e dipinti. Anche se non considerati una vera e propria forma di rappresentazione artistica, offrono l’opportunità di allontanarsi dalla vita reale, anche se solo con i pensieri, dando voce alle paure ma anche alle speranze dei giovani.

I murales vanno così a colorare le strade all’interno degli accampamenti e vanno a raccontare storie di eroi caduti contro Israele, come scrive Libertà di Teatro. 

Resistere attraverso l’arte è il motto dei ragazzi che portano avanti il progetto del The Freedom Theatre (Who We Are), che grazie alla recitazione sono stati in grado di decostruire una realtà oppressiva e renderla comprensibile a tutti, compiendo il primo passo per cambiarla.

Offre la possibilità di sognare insieme il cambiamento che si vorrebbe ottenere. Opporsi a un regime militare attraverso l’arte e la cultura è il gesto più potente che si possa compiere perché le idee si possono trasmettere e non muoiono mai.

Il lavoro della compagnia teatrale, in seno al movimento di resistenza non-violento è stato significativo nel corso degli anni. Come spiega Il polo positivo, l’importanza del teatro risiede nell’abilità di trasformare la realtà stimolando il pensiero critico operando nel concreto, creando nuovi strumenti di emancipazione popolare. 

Seguendo l’esempio del Freedom Theatre, nel corso degli anni sono nati diversi centri culturali a sostegno di una resistenza non violenta, che lasciano spazio alle voci dei giovani e che offrono l’opportunità di ripensare la società palestinese. Un teatro nel quale i giovani e le donne possano liberamente esprimere e criticare la società dall’interno fa riflettere, e al tempo stesso lancia nuove sfide, rimettendo in discussione i ruoli e le convinzioni tradizionali.

Immagine di copertina:
Foto di Hulki Okan Tabak


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Labiba vuole essere un ponte tra chi vive e chi ascolta. Racconta la Palestina attraverso le storie e la ricchezza dei luoghi. Labiba è un luogo sicuramente lontano ma esiste e, non è solo occupazione militare del suolo, ma anche land grabbing, water grabbing, sfruttamento delle risorse e dei lavoratori.

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