1968. Anche solo l’anno è in grado di ricordare la spinta rivoluzionaria, il desiderio di rivalsa che si aggirava. Un fenomeno socio-culturale che non tardò a raggiungere tanti Stati del mondo, uniti verso un obiettivo comune: una contestazione contro gli apparati di potere dominanti e le loro ideologie.
Contestazione che prende forma in modi eterogenei, a seconda delle esigenze del paese. Nel momento in cui regna una lotta globale, dove si reclama una migliore istituzione scolastica o un più avanzato assetto lavorativo, la Palestina schiera le donne che per prime bramano una partecipazione più attiva alla vita politica.
Unione delle Donne Palestinesi
Gli anni d’oro per il mondo femminile palestinese coprono il ventennio del Sessanta e Settanta, con particolare accenno all’anno rivoluzionario. È il periodo della Nabka, la catastrofe, che sconvolge completamente la vita della popolazione palestinese.
Durante l’esodo, il coinvolgimento della donna nella vita lavorativa aumenta a dismisura, supportando migliaia di famiglie costrette a trovare riparo in un campo profughi.
La partecipazione al mondo lavorativo risveglia, in loro, la volontà di una sempre maggior libertà. Per questo, nel 1965, nasce il primo gruppo di impronta politica: l’Unione Generale delle Donne Palestinesi.
Le donne portano avanti una lotta spontanea, nella quale esordiscono con manifestazioni, scioperi, associazioni di beneficienza; tutto per protestare l’occupazione e mantenere intatta l’identità palestinese. È proprio nel 1968 che nasce lo slogan: “Prima la terra e poi il nostro onore di donne”.
Le madri di quegli anni si sono sacrificate in nome della patria e hanno educato le generazioni future ad avere la stessa cura e dedizione.
Ma nel 1978 capiscono che non è esclusivamente attraverso la battaglia nazionalista che otterranno la propria liberazione, e comprendono la necessità di creare uno spazio d’azione autonomo. Così, decidono di affiancare al patriottismo una lotta di liberazione femminista: sorgono i Comitati di Lavoro delle Donne.
Chiedono ad alta voce, per le loro strade, la libertà dall’occupazione israeliana. Tra le tante lotte devono anche vincere quella contro la tradizione patriarcale del loro paese.
Le donne oggi, tra colonialismo e patriarcato
Si vedono donne che si battono per il proprio paese, ma il paese che non si batte per le proprie donne.
E così arriviamo al 2022, dove l’oppressione è più forte di qualsiasi diritto. Vige ancora il delitto d’onore, gli uomini o la famiglia sono tutt’ora giustificati a uccidere le mogli o figlie per non macchiarne il nome.
Il patriarcato regna sovrano, la libertà che le donne cercavano già nel 1968 è sempre più distante.
Il caso mediatico di Israa Ghrayeb è la prova di quanto il sistema sia malsano e di quanto l’agognata liberazione tardi ad arrivare. Nel 2019, la giovane palestinese di 21 anni è stata crudelmente assassinata dai membri della sua famiglia per aver pubblicato sui social un video di lei uscita per un caffè con il suo fidanzato e la sorella di lui. Il video avrebbe “disonorato” la famiglia.
Ciò che crea realmente disonore è che Israa finisce per essere due volte vittima. Vittima dell’occupazione militare israeliana, tanto quanto di un patriarcato ancora solidamente insito nella cultura contro cui si sono duramente battute le donne degli anni Sessanta e Settanta.
Per ora, il numero dei delitti d’onore sale, dimostrando che un eventuale sradicamento della cultura misogina è ancora oltre l’orizzonte palestinese.
Articolo di
Annachiara Magenta
Immagine di copertina:
Foto di Levi Meir ClancyHire
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