I risultati delle elezioni parlamentari israeliane dello scorso novembre avevano palesato un quadro politico-ideologico allarmante. Per la quinta volta in quattro anni Israele era tornato alle urne dopo la crisi di governo dell’estate 2022, lo scioglimento della Knesset e la fine del governo Bennett-Lapid. La vittoria del Likud e il ritorno al potere di Netanyahu rappresentavano una rafforzata unità d’intenti tra destra e ultradestra religiosa, verso la quale ‘Bibi’ si era spostato: tutto pur di vincere (di nuovo).
L’ascesa vigorosa dell’ultranazionalismo, propugnato da figure sempre più estremiste, prometteva una linea politica rigida e sorda alle istanze dell’opposizione. La tanto agognata stabilità di governo non era comunque assicurata e le spaccature nel tessuto sociale si sarebbero di lì a poco aggravate.
Non a caso, la riforma della giustizia proposta a gennaio 2023 e la recente approvazione per la costituzione della Guardia nazionale hanno portato il Paese sull’orlo di una nuova crisi istituzionale.
Proteste in Israele: è crisi istituzionale
Israele sta affrontando una crisi interna gravissima. Sono centinaia di migliaia gli israeliani scesi in piazza contro la riforma della giustizia proposta questo gennaio. Altre centinaia, in un mare di bandiere israeliane e palestinesi, hanno protestano contro la decisione del Consiglio dei Ministri di istituire una Guardia Nazionale guidata dall’attuale ministro della Sicurezza Nazionale, l’estremista di destra Itamar Ben Gvir.
Mentre il dibattito politico si acuisce, i protestanti chiedono il ritiro delle riforme e le dimissioni del Premier.
La riforma, proposta a gennaio 2023, apporterebbe una serie di cambiamenti al sistema giudiziario e all’equilibrio dei poteri. Capeggiata dal Vice Primo Ministro e Ministro della Giustizia Yariv Levin, e dal Presidente del Comitato per la costituzione, la legge e la giustizia Simcha Rothman, la riforma punta a limitare l’influenza della Corte Suprema nell’esercizio del controllo giudiziario, garantendo al governo un potere maggiore e non supervisionato.
La Knesset avrebbe il potere di far passare proposte di legge ritenute incostituzionali dalla Corte Suprema e il controllo sulle nomine dei giudici diverrebbe prerogativa del governo.
Un progetto antidemocratico?
Netanyahu ritiene la riforma necessaria accusando la magistratura di essere un’istituzione di sinistra nelle mani di una élite non eletta e definisce antidemocratici gli sforzi per bloccare la legge.
Su posizioni diametralmente opposte i manifestanti e l’opposizione, convinti di trovarsi di fronte a un progetto antidemocratico che andrebbe a minare i principi della libertà del Paese.
Voci discordanti si sono levate anche all’interno dello stesso governo, tra cui il ministro della Difesa Yoav Gallant, preoccupato per la sicurezza nel Paese. Licenziato per questa sua presa di posizione, è stato successivamente reintegrato da Netanyahu, a conferma della confusione esistente.
Non sono mancate le pressioni dall’estero, con in testa gli USA che non hanno nascosto la loro preoccupazione e hanno invitato il Premier israeliano a trovare un compromesso. E tuttavia, più che le spinte dall’estero, sono state le incessanti proteste dei manifestanti a costringere Netanyahu a soprassedere, almeno per il momento.
Approvata la Guardia Nazionale
A rinfocolare le proteste ha contribuito la decisione di Itamar Ben Gvir di istituire una Guardia nazionale come ulteriore forza armata per la sicurezza del Paese. L’iniziativa ha suscitato notevoli perplessità in merito agli alti costi che comporterebbe e al pericolo che questa nuova struttura possa trasformarsi in una milizia privata.
Da non sottovalutare nemmeno il rischio che l’introduzione della Guardia nazionale, come intesa da Gvir, possa portare confusione e sovrapposizioni con polizia e esercito.
Inoltre, non ha certo rassicurato la possibilità ventilata che gruppi di estremisti e ultras ne entrino a far parte come reclute. La retorica di Gvir, impregnata di ultranazionalismo e estremismo religioso, prefigura per questo corpo una linea d’azione caratterizzata da possibili atti di intolleranza e violenza.
Il governo Netanyahu ha fatto autogol.
Gli manca il sostegno popolare e la capacità di trovare compromessi concilianti con l’opposizione. E così, a meno di un anno dalla sua vittoria alle scorse elezioni, ‘Bibi’ si trova al centro dell’ennesima crisi istituzionale. Questa volta, una delle peggiori che il paese abbia mai affrontato.
Articolo di
Marta Lioce
Immagine di copertina:
Foto GR Stocks
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