“La mafia è un cancro”: eh, no, Presidente!
Anche il Capo dello Stato può sbagliare. Anche Sergio Mattarella, nostro Presidente della Repubblica, può usare una metafora del tutto inappropriata, e questa lo è.
Più autorevole di quella di chiunque di noi appare la risposta, a distanza e fuori dal continuum temporale, di Giovanni Falcone nel libro ‘Cose di Cosa Nostra’:
“Se vogliamo combattere efficacemente la mafia, non dobbiamo trasformarla in un mostro né pensare che sia una piovra o un cancro. Dobbiamo riconoscere che ci rassomiglia.”
Togliere spazio alle mafie
Questo lo spunto più arricchente con cui si è andati via dal dibattito “Togliere spazio alle mafie” di sabato 21 ottobre al Centro Banchi, promosso da EnigMalavita coinvolgendo tutte le associazioni che tra centro storico e resto della città ‘occupano spazi’: certamente i soggetti che hanno in concessione un bene confiscato, sia quelli che hanno comunque una sede e svolgono una attività in una qualche forma sociale nel territorio del centro storico ma non solo.
Questo spunto arriva a conclusione del dibattito che costituiva la seconda parte dell’intero pomeriggio di incontro, discussione e confronto tra le realtà associative, che si sono interrogate su cosa voglia dire “occupare spazi”, su come si possa farlo e su quali siano gli spazi da occupare.
E così, se la frase succitata di Giovanni Falcone è quella scelta dal bravo moderatore — Andrea Canepa per Wall:out Magazine — per rilanciare il terzo ed ultimo giro di tavolo del dibattito, è Marco Baruzzo, responsabile fino a ieri dei Beni Confiscati in Liguria per Libera Liguria, a scegliere di spendere parole nette e chiare in risposta.
Si devono scegliere appropriatamente anche le metafore, è il punto di Baruzzo.
Non serve, non aiuta in alcun modo romanzare o umanizzare la mafia. Se mai, se proprio si deve, allora si compia un’analisi più lucida e meno timorosa di rivelarci quanto la mafia sia una scelta anche razionale, ragionata, né disfunzionale né degenerata per una società, per una comunità umana.
Baruzzo non si ferma, anzi, esplicita ancora di più l’idea quando ci fa notare che tutt’altro che essere il risultato degenere di una somma di azioni fisiologiche e naturali del sistema, che ad un certo punto “impazzisce”, una sorta di “errore del sistema” umano che ad un certo punto non sa più replicare correttamente le proprie cellule — ossia “un cancro” — la mafia è invece abbracciata dai singoli e dalla comunità perché è un’opzione ragionata e organizzata di sistema sociale per molti versi simile alla struttura che noi chiamiamo ‘Stato’.
Può lasciarci perplessi o farci aggrottare le sopracciglia, eppure la mafia, il sistema mafioso, la sua organizzazione e concretizzazione, altro non sono che una proposta alternativa al problema eterno e atavico per l’uomo della distribuzione delle ragioni e dei torti, della distribuzione e detenzione della ricchezza, della conquista e del mantenimento del potere.
Il cardine dell’azione mafiosa è certamente la violenza, ed è questo sì l’elemento esiziale per una società democratica e, per come la intendiamo noi, civile.
Eppure davvero dovrebbero tremarci i polsi quando afferriamo quanto ‘la mafia ci somigli’, quanto la mafia sia una organizzazione funzionalissima della società.
E infatti, così come ogni altra forma di organizzazione umana — appunto come lo Stato —, un elemento essenziale per la sua esistenza — e la sua riconoscibilità nonché qualificazione anche giudiziaria come tale — è che abbia un territorio, uno spazio fisico, un recinto, un campo da gioco che controlla per così dire manu militari, e che questo corrisponda a una sorta di ‘controllo mentale’, vale a dire che in quel territorio quella associazione di (tre o più) persone eserciti una forza di intimidazione concreta, reale, adottando la forma della violenza, e psicologica e fisica (associazione mafiosa).
E così infatti faceva e fa la mafia da sempre e tutti i giorni, ancora oggi
Abbiamo già detto altrove (Quando apre un Bene Confiscato sia sempre festa di rinascita!) che proprio il giorno prima di inaugurare il riutilizzo sociale di un bene confiscato in Vico della Rosa, a lungo rimasto inutilizzato, il suo precedente proprietario, Salvatore Canfarotta con gesto di ricercata eclatanza pisciò sopra la saracinesca del bene, e così fece anche il giorno dopo l’inaugurazione.
Non è forse questo, in una sua forma animalesca eppure efficacissima nel messaggio che vuole mandare, letteralmente marcare il territorio?
“La mafia, lo ripeto ancora una volta, non è un cancro proliferato per caso su un tessuto sano. Vive in perfetta simbiosi con la miriade di protettori, complici, informatori, debitori di ogni tipo, grandi e piccoli maestri cantori, gente intimidita o ricattata che appartiene a tutti gli strati della società.
Questo è il terreno di coltura di Cosa Nostra con tutto quello che comporta di implicazioni dirette o indirette, consapevoli o no, volontarie o obbligate, che spesso godono del consenso della popolazione.” Giovanni Falcone, ancora lui.
E dov’è allora lo Stato? Dove siamo noi, come singoli, come associazioni e come rete e reti di singoli ed associazioni assieme?
Dopotutto il pomeriggio di dibattito e riflessione nasce anche e proprio da questa esigenza: interrogarsi assieme su quale modalità di azione opporre a quella forma di occupazione dello spazio pubblico agito cotidie dalle mafie.
Ecco allora che pare utile qui elencare e riportare in un sol luogo (‘spazio’ quindi, ancora, benché virtuale e scritto, ma sempre spazio è: quanto abbiamo bisogno, come esseri viventi, tendenti naturalmente al possesso) alcune delle considerazioni emerse complessivamente — o di cui almeno io sono riuscito a prendere nota — durante il momento di confronto associativo prima e poi nella tavola rotonda coi tre ospiti:
Punto 1.
Le istituzioni, Municipi, Comune, Regione, non svolgono o hanno rinunciato a svolgere la propria azione di ‘tessitori di reti — sociali, associative, professionali, di scopo, umane, di ogni tipo — e quindi sta ai singoli e alle associazioni rimboccarsi le maniche e farlo (anche questo, sì!).
Punto 2.
Esiste un Regolamento comunale per l’acquisizione, la gestione e il riutilizzo dei beni immobili confiscati alla criminalità organizzata del 2022, che è un ottimo strumento operativo, le associazioni vi concordano, ma si può ancora migliorare, alla luce non solo dell’anno di vigenza ma anche dei tanti anni di attività ed attivismo già vissuti.
Punto 3.
È previsto e già agisce da anni — potremmo dire inizialmente in una forma spontanea e dal basso quale era ed è stato il Cantiere per la legalità responsabile, e poi già in questa forma da alcuni anni — l’Osservatorio di concertazione permanente sull’uso sociale dei beni confiscati alla criminalità organizzata, su cui altrettanto unanimamente chi vi ha partecipato concorda sull’utilità ed anzi proprio la necessità:
è però più di un anno (26 ottobre 2022) che non si riunisce, e ciò decisamente non va bene — al netto che nel Regolamento è previsto si riunisca due volte l’anno — o comunque “con cadenza semestrale”.
Punto 4.
Sarebbe quanto mai utile una sorta di servizio di formazione sulla predisposizione di atti e documenti utili quantomeno a partecipare agli ormai ciclici e periodici bandi di assegnazione di beni confiscati: non poche associazioni vorrebbero partecipare, ma non dispongono di personale formato adeguatamente per rispondervi.
Potrebbe forse il Comune o i Municipi mettere a disposizione, fosse anche temporanea per la durata dell’apertura del bando, del personale con funzione di consulenza (che peraltro vuole anche dire garanzia di ammissibilità dei progetti e loro primo vaglio, ché magari un soggetto in buona fede vuole partecipare ma non ne ha i requisiti e non comprende ciò autonomamente senza l’assistenza del personale competente).
Punto 5.
In parte in relazione a ciò, attualmente, per motivi anche positivi per le singole persone coinvolte, il Comune di Genova si trova senza le figure sino ad oggi adibiti alla gestione dei beni confiscati: chi fino ad oggi ne era responsabile, non ricopre più quegli incarichi.
Ciò è un problema: innanzi tutto perché quelle persone si erano, sia sul campo sia con ulteriore studio personale, professionalizzate in una misura davvero significativa e che ha dato una marcia in più all’azione dell’ente; inoltre ora l’ufficio è proprio scoperto, quindi nessuno, nemmeno i soggetti associativi operanti già ora e da anni nel settore dei beni confiscati, sa a chi rivolgersi sul fronte comunale.
Punto 6.
Potrebbero poi servire — più alle associazioni e ai soggetti che gestiscono i beni che al Comune o al Municipio — figure professionali di ultima generazione, quali social media manager, capaci di sostenere il riutilizzo sociale del bene, farlo conoscere, dandone visibilità e conoscenza, anche solo che al contesto in cui si inserisce, che magari invece non viene a sapere di questo nuovo utilizzo, del tutto opposto a quello malavitoso lì insistente prima: se parliamo di ‘influenzare il contesto’, far sapere che la proprietà e l’indirizzo della gestione del bene sono cambiati vuol dire tanto!
Punto 7.
Quanto al punto 6 aiuterebbe poi ad ‘occupare spazio mediatico’: quanto spesso — troppo spesso, quasi sempre! — quando si parla di lotta alla mafia in realtà si parla di atti criminali e cruenti, di stampo mafioso, e quindi non con afflato positivo e che sappiano far sperare.
Troppo spesso la narrazione è legata ad una aura di negatività — mica la si vuole nascondere! — senza saper dare spazio, vita, linfa a quanto di buono esiste, c’è già e opera già, nel senso di una rinascita e.. riconquista: del territorio e del contesto, dell’ambiente inteso con ogni accezione.
Un buon esempio è stata la rassegna svolta e preparata dal giornalista Pietro Adami (intervenuto al dibattito delle 18) lo scorso maggio per Rai TGR Liguria, intitolata “Mimesi – il radicamento silente delle mafie in Liguria”, video-inchiesta in 5 puntate, liberamente fruibile e da un pulpito noto e consultato.
Punto 8.
C’è una grande voglia di partecipazione: si chiedono come detto occasioni e proposte di formazione, non più solo di informazione; si chiedono spazi e luoghi di confronto con gli enti istituzionali (Comune, Municipi, Regione) per migliorare il lavoro necessariamente di squadra tra istituzioni ed associazionismo nonché civismo; e forse, da ultimo ma non in misura minore, c’è il desiderio anche di ‘scendere in piazza’ e manifestare questo desiderio di ‘riappropriazione’ del territorio e del vivere bene.
Michela Tirone, intervenuta per Pas a Pas al dibattito delle 18, ha parlato chiaramente di ‘luci ed ombre’, perché un bene confiscato è illuminante (dice così la saracinesca del bene che gestisce Pas a Pas) nel senso più proprio di accendere una luce dove tutto è buio, nero, perché così rende la mafia il territorio che controlla: e anche basta che sia così!
Punto 9.
Infine, ma non da ultimo — anche perché in realtà il progetto delle ‘Saracinesche dipinte’ è al momento l’esempio più forte, visibile ed efficace di ‘occupazione di spazio’ mai realizzato in centro storico come mezzo di lotta alla mafia e di antimafia — si potrebbe cominciare a ragionare su una qualche forma di istituzionalizzazione dei tour dei beni confiscati o, come oggi più correttamente dobbiamo imparare a dire, del progetto “Beni in Tour”: ci sono tanti percorsi in centro storico che hanno una sorta di egida e patrocinio e promozione istituzionale, e belin se pure Beni in Tour le meriterebbe, tutte, oggi anzi già ieri.
Conclusioni
Avviamoci a concludere questa sorta di resoconto di getto del bel pomeriggio di dibattito e riflessione sulla capacità delle mafie di ‘occupare spazio’ e sulla necessità-bisogno atavico umano quindi di compiere un’azione sì speculare e valorialmente opposta.
Scegliere quindi di ‘dare un nome alle mafie’ è un primo passo, lessicale quindi di pensiero, e poi di consapevolezza diffusa e condivisa per aggredirla, per risponderle a tono.
Adottiamo allora se mai una altra metafora, sempre proposta dal giudice Falcone , questa in particolare il 21 maggio 1992 – Repubblica Napoli:
“Cosa nostra non dimentica. Non l’ho mai concretamente vista come una piovra. La mafia è una pantera. Agile, feroce, dalla memoria di elefante.”
Facendo un poco di necessaria e sempre utile autocritica, soprattutto in conclusione: anche noi riusciamo a non dimenticarci di ciò che c’è stato ed è già successo?
Anche noi siamo attenti, quando agiamo oggi, di aver raccolto ed accolto l’eredità del lavoro, della lotta alla mafia e dell’antimafia che prima di noi, prima di oggi, necessariamente ci sono già stati?
Ecco, troppo spesso non lo siamo. Troppo spesso una riunione — o un momento di quella riunione — sembrano essere dimentichi di tutto ciò che è avvenuto.
Si badi bene: non dimentichi dell’azione della mafia, delle sue storie e delle sue false leggende, dei suoi crimini efferati, oh, no, questo lo si fa, anche perché questo aspetto sa appassionare, diciamolo liberamente.
Si è invece troppo spesso dimentichi del lavoro di contrasto alle mafie già compiuto, magari a lungo, da altri, proprio in quello stesso luogo. Per Giove, abbiamo ormai archivi di decine e decine di tomi che raccontano tutto della Mafia e delle mafie.
La cinematografia sa offrirci prodotti anche di buona o perfino ottima qualità, che illustrano il vero svolgimento dei fatti, nella loro forma storica come in quella legata alla vicenda in sé.
Eppure: ma chi mai ha letto di storie di beni confiscati? Della azione svolta dalla comunità, dalla rete che si occupa da anni di beni confiscati! Chi?
Ecco, forse questo può diventare il punto 10 delle ‘cose da fare’ sopra elencate. E’ un caso, sì, ma forse può anche essere il voto da dare a questo punto, nonché la priorità con cui attivarsi nel suo perseguimento!
Davvero in conclusione
La chiave di lettura e di riflessione quindi non può passare in una romantica e ingenua demonizzazione delle mafie, ma in una consapevole e audace presa di coscienza di quanto essa ci rassomigli.
Ancora con le parole di Giovanni Falcone:
“La mafia non è una società di servizi che opera a favore della collettività, bensì un’associazione di mutuo soccorso che agisce a spese della società civile e a vantaggio solo dei suoi membri.”
Dobbiamo quindi comprendere l’illusione, la falsa buona apparenza con cui si presenta a chiunque la mafia: essere capace di dare protezione, lavoro e possibilità, mentre è in realtà una macchina idrovora che prosciuga il territorio su cui insiste, per il fine esclusivo — nemmeno dei propri membri ed affiliati, ma solo — dei propri capi di appropriarsi di fiumi di ingiusti e spropositati denari e indebiti vantaggi, a fronte di un impoverimento della stessa comunità e dello stesso territorio ove opera e prospera.
Questo dobbiamo sforzarci di comprendere.
Immagine di copertina:
Grafica wall:out magazine su foto di Edoardo M.
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