Il sistema portuale ligure è un elemento strategico per la regione, per l’Italia e per una buona parte dei traffici europei. Questo vale per l’economia legale, basti pensare a una ricerca sul porto di Genova del 2016 che, secondo i dati raccolti, è in grado di generare in Liguria circa 54.000 posti di lavoro, 10,84 miliardi di euro di fatturato e 4,63 miliardi di euro di valore aggiunto.
Il sistema portuale ligure, però, è strategico anche per gli interessi della criminalità organizzata e di gruppi mafiosi.
La Direzione Nazionale Antimafia già nella sua Relazione del II Semestre 2012 [a pagina 585] segnalava che “ancora una volta la Liguria per la sua posizione geografica e per i suoi porti, si rivela punto di collegamento tra il Nord ed il Sud di Italia e si conferma quale snodo centrale nel sistema di importazione in Italia degli stupefacenti”.
Un’affermazione particolarmente vera per alcune famiglie di primo piano della ’ndrangheta reggina: Avignone, Bellocco, Molè, Piromalli, Alvaro, Crea, che nell’ultimo decennio hanno sfruttato i porti liguri per importare droga dal Sud America.
Sicuramente il traffico di stupefacenti è il business criminale principale, ma negli anni sono stati individuati anche altri mercati illegali che hanno coinvolto a vario titolo i porti commerciali liguri (Genova, La Spezia e Vado Ligure): contrabbando di sigarette, traffico di prodotti contraffatti e traffico illecito di rifiuti.
Ciascuno di essi risponde a logiche, rotte e gruppi criminali diversi, che hanno un unico elemento comune:
il coinvolgimento – a vario titolo – di persone che conoscono i meccanismi di funzionamento di un porto, conoscono come operarvi all’interno e conoscono come far in modo che la merce illecita entri ed esca dall’area portuale. Dagli operatori di banchina fino ai manager aziendali, da chi si occupa di controlli, ai professionisti del settore logistico e commerciale.
Tra tutti i mercati illegali che vedono i porti come snodi nevralgici, quello della cocaina sembra aver rappresentato in diversi periodi un affare particolarmente redditizio per le organizzazioni criminali. Nel grafico è indicata la quantità annua di cocaina sequestrata (in kg) dalle autorità in Liguria, nella provincia di Genova e nel porto di Genova.
Sebbene i sequestri rappresentino solo in misura parziale il fenomeno, come si può ben notare, lo stupefacente intercettato in ambito portuale rappresenta spesso una parte consistente rispetto al totale regionale.
Se si prendono in considerazione esclusivamente i sequestri avvenuti nel porto di Genova, notiamo come dal 2011 abbia rappresentato una porta di accesso particolarmente utilizzata dai gruppi criminali per importare cocaina.
Gli ultimi due anni di cui si dispongono i dati (2020 e 2021) sembrano rappresentare un’anomalia, poiché non vi sono stati sequestri. L’ipotesi che il traffico si sia totalmente interrotto è da scartare, come dimostrano alcune inchieste recenti che hanno portato al fermo di operatori portuali accusati di aver facilitato l’importazione di cocaina.
Sembra, invece, più probabile una riconfigurazione delle rotte – che vede nuovamente il porto di Gioia Tauro in ascesa – che si combina con una maggiore capacità dei network criminali di diversificare le modalità di importazione. Dinamiche già riscontrate in passato.
Ad esempio, una famiglia di ‘ndrangheta nell’arco di un biennio ha provato a importare cocaina dal Sud America prima occultando lo stupefacente all’interno di un container da cui estrarlo attraverso l’aiuto di lavoratori portuali, e poi, un paio di anni più tardi e dopo l’insuccesso della prima spedizione, ha provato occultando il carico su una barca a vela in arrivo nel porto turistico.
Ed ecco un altro punto fondamentale:
sono certamente i porti commerciali gli avamposti che offrono maggiori occasioni vista la mole di merci movimentate, ma anche le centinaia di porticcioli turistici sparsi per tutta la regione, dove è minore il controllo, rappresentano una possibile porta di accesso.
Flessibilità e capacità di tessere relazioni con il contesto locale, risorse che garantiscono ai gruppi mafiosi di trovare nuovi modi creativi per proseguire nelle attività illecite. Infatti, data la natura formalmente inaccessibile dell’area portuale, sarebbe impossibile per i gruppi criminali operare in quel contesto senza il coinvolgimento di soggetti in grado di fornire informazioni, risorse strumentali e disponibilità materiali.
Si generano network criminali che sfruttano la corruzione già esistente, la riproducono e la amplificano.
Per questo un approccio esclusivamente repressivo nel contrastare le attività mafiose in ambito portuale rischia di non avere successo. Una quota importante di questa sfida è giocata dall’insieme dei soggetti della sfera legale che operano in ambito portuale e che possono (o evitano di) offrire risorse e servizi ai gruppi criminali.
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