Avrete certamente notato l’aumento progressivo di notizie intorno all’insostenibilità della convivenza tra abitanti del centro storico e movida. Dall’inizio di giugno, tra Secolo XIX e La Repubblica, sono usciti qualcosa come una quindicina di articoli sul tema, con toni man mano sempre più accesi e progressivamente più attenti ad altre aree cittadine, complice l’estate che fa migrare le persone sui litorali.
Il ritornello è sempre lo stesso: la vita notturna giovanile è sregolata, non c’è controllo riguardo al pericolo rappresentato dagli assembramenti, gli schiamazzi si prolungano oltre l’orario di chiusura dei locali, i residenti sono arcistufi e si lamentano con l’amministrazione, il comune dice che impiegherà più telecamere e forze dell’ordine. Fino all’articolo successivo.
Non è certo una novità, da anni ormai la questione viene periodicamente tirata fuori da chi vorrebbe il centro storico come un silenzioso residence per anziani, sventolando la bandiera del patrimonio culturale e dell’arte che va valorizzata ma non toccata o vissuta (signora mia, per carità!).
A queste voci, si contrappongono quelle di chi invece saluta la vita notturna come ultimo baluardo della vitalità giovanile in una città che vede inesorabilmente alzarsi l’età media della popolazione, derubricando come boomer chi invoca il diritto al riposo in vista di levatacce mattutine obbligate da orari lavorativi che male si accordano con i desideri e gli usi degli avventori dei locali.
Evitando di tirare in ballo posizioni estreme sulla falsa riga di “Via i vecchi dal centro storico!” o “Coprifuoco a mezzanotte ed esercito ovunque!” – che come spesso accade non hanno altro scopo che provocare e irritare la fazione opposta, senza aggiungere nulla di utile al dibattito – entrambi gli schieramenti hanno buone frecce al loro arco.
È innegabile che esista un grosso problema di decoro che coinvolge tutto il centro storico da Principe a De Ferrari e che si è pericolosamente aggravato durante il lockdown. Livelli insufficienti di igiene e manutenzione delle strade, pessima illuminazione, attività commerciali di dubbia natura, aumento di spaccio e risse (sia tra immigrati sia tra giovani) e, più in generale, mancato rispetto delle regole sono tutti fenomeni che si incrociano in modo diverso con la questione della movida, che finisce per fare da capro espiatorio per tutto: i ragazzi sporcano, abbandonano bottiglie e bicchieri in ogni dove, si ubriacano e disturbano, mentre gli episodi di violenza si fanno purtroppo sempre più comuni.
Allo stesso tempo, si sente spesso controbattere che una maggiore attenzione verso le necessità di quegli stessi giovani che amano vivere la notte possa essere, se non la soluzione, almeno un passo in direzione del miglioramento delle condizioni del centro storico. Attività commerciali, bar, pub, locali, discoteche, ma anche teatri, spazi pubblici concessi per spettacoli di arte, musica e letteratura costituirebbero un tessuto che naturalmente tende a coltivare il benessere del territorio in modo amichevole e inclusivo per tutti.
Un esempio su tutti: il valore aggiunto che aveva il teatro Altrove come presidio sociale e culturale alla Maddalena si è reso ancora più manifesto dopo la sua sciagurata chiusura.
E allora la proposta potrebbe essere quella di investire sul centro storico utilizzando contemporaneamente diverse linee d’azione.
Prendere innanzitutto in carico seri ed efficaci provvedimenti nella lotta alla microcriminalità, senza ghettizzare determinate aree (basti pensare a Pré o a via San Luca, per dirne due) e mettendo in atto politiche di inclusione sociale e lavorativa per quelle fasce di popolazione che si danno all’illegalità per mancanza di alternative; operare per il mantenimento di un grado accettabile di decoro urbano – pensando anche al turismo –, magari facendone materia di educazione civica per i ragazzi delle scuole locali; anziché delegare il sentimento di sicurezza percepita, ma evidentemente non fattuale, a schiere di telecamere, servirsi della movida e delle attività notturne come alleate dell’amministrazione nel mantenere vivi i quartieri in modo sano, favorendo nel contempo una ripopolazione del centro storico anche da parte di giovani famiglie; favorire l’incontro con la bellezza e la cultura attraverso un utilizzo dello spazio pubblico che sia terreno fertile per l’espressione artistica, senza rinunciare per questo all’intrattenimento e alla leggerezza; decentralizzare i luoghi della movida grazie a concessioni di spazi non utilizzati e incentivando il servizio di trasporto pubblico, che andrebbe a rafforzare quanto già ottenuto con l’apertura della metro di notte in termini di sicurezza sulle strade.
Peppino Impastato diceva che educare alla bellezza significa sradicare la rassegnazione e l’abitudine allo squallore, affinché rimangano vive la curiosità e lo stupore. Benché lui avesse ben altre gatte da pelare, possiamo immaginare che questo principio valga universalmente, una volta accordato con le specificità dei luoghi e delle persone.
Il nostro centro storico ha bisogno di riscoprire la sua bellezza, che, a partire proprio dalla lettura di quel dato artistico e architettonico tanto difeso dai suoi paladini, si costituisce prima di tutto come fermento di traffici, commerci, incontri, discussioni, insomma di relazioni tra le persone, con le loro necessità, i loro desideri, tutti diversi e con la stessa dignità di essere ascoltati e trasformati in realtà.
Abbiamo il privilegio di poter passare le nostre notti circondati da uno dei più vasti Patrimoni dell’Umanità Unesco. Non releghiamone il valore all’archeologia della memoria di tempi migliori, ma rendiamolo parte integrante di una contemporaneità per cui possiamo stabilire nuove regole e comportamenti più inclusivi.
Immagine di copertina:
Steven Lek / CC BY-SA
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