Dallo sgombero del 2014 a cui è seguita l’occupazione della sede di corso Montegrappa, le persone che occupano e vivono il Laboratorio Sociale Occupato Buridda si sono abituate nel tempo alle frequenti boutades del Comune, spesso fantasiose, che sbocciano a cadenza praticamente annuale praticamente fin dal primo momento. E in maniera altrettanto fantasiosa hanno risposto, con manifestazioni, striscioni, cortei a tema medievale perfino.
Ma il progetto di quest’anno si è rivelato reale.
Più reale perché in primo luogo, sono in campo altre forze oltre a quelle di Tursi. I fondi dell’ormai famigerato PNRR sono in ballo, mica spiccioli! Ed è un progetto che riassume davvero l’attuale visione della città e dei suoi spazi, lo studentato di lusso in una città dove gli appartamenti svaniscono fagocitati dal mercato degli affitti brevi.
Inoltre, al suo secondo mandato il sindaco Bucci, vuoi per accontentare i suoi alleati più ringhiosi o semplicemente per rendere la città sempre più una cartolina turistica, ha deciso di premere sull’accelerazione della distruzione dell’underground genovese, con lo sgombero (e la distruzione) del Terra di Nessuno e il braccio di ferro e il trasferimento dello Zapata.
Studentati e Airbnb
In ogni caso, la mossa desta rabbia per vari motivi, non ultimo il deprimente spettacolo della precedente sede di via Bertani sgomberata con urgenza e millantati grandi progetti e rimasta vuota in tutti questi anni. Il fatto che ci sia in mezzo un’agenzia della Regione, che in questo momento è meno credibile che mai. Ma anche il pretesto degli alloggi per gli studenti suona particolarmente beffardo, vista l’ambiguità istituzionale nei confronti di un problema sistemico.
L’Unige – che tra l’altro ha svenduto negli anni il suo patrimonio immobiliare e ha buttato soldi in progetti barzelletta come gli Erzelli – perde iscritti da anni, come la città perde abitanti. E però gli appartamenti disponibili sono sempre meno, e a Tursi e a Balbi si finge di non sapere il perché.
Gli appartamenti svaniscono inghiottiti dal mercato degli affitti brevi e di Airbnb che ci si guarda bene dal regolamentare, in una città che si dirige con incoscienza verso un destino turistico presentato come necessario e luminoso che invece rischia di essere la sua bara.
I turisti non vivono la città come i cittadini.
Non hanno bisogno di panetterie, ma di finger food, non hanno bisogno di scuole, ma di musei, non di negozi di quartiere, ma di outlet, non di occasioni per socializzare, ma di grandi eventi dopati di pubblicità e sponsor, non di una città reale, ma di una cartolina.
Una città che perde progressivamente i suoi abitanti e non investe nei giovani, ma si consegna mani e piedi al turismo è suicida (Articolo di wall:out Genova will never be Venice). E invece di regolamentare il mercato degli affitti brevi, si sgombera un posto dove dei ragazzi possono andare a sentire un concerto. Ottimo.
Non saranno certo 60 posti in uno studentato di lusso a rimediare alla mancanza di appartamenti per studenti (e non solo: ai lavoratori sottopagati, non pensa nessuno?) a Genova. È al contempo una speculazione, una eliminazione di un problema politico e un attacco contro una socialità spontanea, in un paese che cerca di diventare un grottesco ibrido tra un villaggio turistico, un ospizio e una galera.
Un potere legittimo, ma…
Detto ciò, il sindaco, il rettore e la questura esercitano i loro poteri legittimamente: si tratta di occupazioni illegali e alle istituzioni non si può rimproverare più di tanto e suona quasi ingenuo un appello a queste figure per tutelare gli spazi occupati. Certo, legittimamente non significa giustamente o in maniera lungimirante. Ma tant’è.
Il sindaco e il rettore non possono e non vogliono riconoscere l’enorme contributo dato dai centri sociali genovesi alla vita culturale e sociale della città, ma gli abitanti della città devono fare i conti con quello che stanno perdendo: concerti anche internazionali e sempre economici, scuole di italiano per stranieri, raccolte e distribuzioni di cibo per il quartiere, presentazioni di libri, eventi di divulgazione, cineforum, palestre popolari, laboratori di falegnameria ed elettronica e molto altro.
Quanti gruppi alternativi genovesi hanno suonato e sono cresciuti anche negli spazi occupati? Alcuni arrivando magari poi a palchi di prestigio come il Goa Boa, altri continuando a contribuire alla vita culturale della città.
Nel 2014 lo sgombero del Buridda dalla sua sede di via Bertani aveva generato una risposta enorme, ma ultimamente le mobilitazioni in difesa di queste realtà sono sembrate più smorzate, faticose.
Il fatto che, a parte qualche occasionale mobilitazione (come la grande manifestazione in difesa dello Zapata del 2023) questi luoghi non siano attraversati e difesi da più persone desta meraviglia.
L’autogestione e le assemblee, il confrontarsi con gli altri e curare un posto in maniera comunitaria per viverlo tutti insieme e coltivarci passioni condivise è sempre più difficile in un mondo connesso e al contempo frantumato e individualista? Siamo più rassegnati? Ci sono altri sbocchi per la creatività, la socialità e la critica di una società che scricchiola sempre di più sotto il peso delle sue contraddizioni? (Articollo di wall:out Un paese di musichette mentre fuori c’è la morte)
Dicono i veterani:
“I centri sociali sono qualcosa che richiede un impegno che ora spesso si fatica a dare, noi abbiamo dato il sangue per anni per sostenere certe realtà, adesso si deve creare qualcosa di nuovo… speriamo” e ancora “Trenta, vent’anni fa ci siamo fatti il mazzo per creare certi luoghi perché ne avevamo bisogno… di spazi dove fare politica, creare arte, socialità. Forse adesso i bisogni si esprimono in maniera diversa. Spetta ai ventenni di adesso creare i propri spazi”.
Ma la partecipazione dei giovani al presidio e alla manifestazione dopo lo sgombero da l’impressione che certe cose siano ancora importanti.
Certi luoghi sono stati dati a lungo per scontati.
Il luogo serve. Per riporre l’impianto audio, gli striscioni, per i macchinari e gli attrezzi di attività culturali e sociali. Per riunirsi a discutere, fare errori e raggiungere obiettivi assieme, senza essere sempre incalzati dalle regole del consumo.
Dei luoghi ci si affeziona, se li si è costruiti un pezzo alla volta, un ricordo alla volta.
Poi vabbè, non sono i muri che fanno politica, ma le persone che animano i luoghi, che ci danno il loro tempo, le loro energie, il loro entusiasmo, la loro intelligenza.
I luoghi si ricostruiscono. Sono le persone e le idee che fanno la differenza.
Immagine di copertina:
Manifestazione contro lo sgombero del Buridda. Foto di Fedrico DS.
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