Questa è una storia genovese che inizia il 30 marzo, giorno in cui è successa una cosa grave. Una ragazza, K., era sull’autobus, e un uomo ha iniziato a masturbarsi davanti a lei. È una cosa grave che succede con una frequenza inquietante. È successo a tante, lo dice l’ISTAT, e lo dicono le infinite storie di amiche, sorelle, fidanzate che rispondono sì alla domanda:
“ti è mai successo di essere molestata su un mezzo pubblico?”
Il 30 marzo è successa un’altra cosa, che rende questa storia ancora più grave e più interessante da raccontare: K. riconosce che quella non è solo una cosa schifosa, ma è una molestia, è un reato, e si rivolge ai primi pubblici ufficiali vicini a lei, ovvero tre autisti AMT che si trovavano alla fermata a cui lei è scesa scappando.
Alla sua richiesta d’aiuto loro non si mobilitano in alcun modo, se non consigliandole di rivolgersi ai carabinieri.
Da qui la storia si fa unica perché K. ci va da un carabiniere, il quale le dice “ah, poverina”, e aggiunge “sei proprio una bella ragazza”. A questo punto della storia interviene l’amica di K., B. (“a mi no me cuida el estado, me cuidan mis amigas” è un motto femminista piuttosto calzante). B. scrive una lettera, che invia a Marco Bucci, Giovanni Toti, a testate giornalistiche e associazioni locali.
La lettera è precisa, arrabbiata, e chiede: che cosa facciamo ora? Non facciamo niente e comunichiamo che masturbarsi su un mezzo pubblico sia una cosa legale? Che è un brutto episodio di cui dispiacersi e niente più? Che non sia neanche una vera molestia e come tale non va trattata?
La lettera ha generato delle conseguenze non da poco
Sono stati scritti articoli, ha girato molto sui social, ha prodotto in pochissimo tempo una raccolta di oltre 12 mila firme, e 339 racconti di molestie e violenze subite sui mezzi pubblici genovesi. La lettera è stata portata nei Consigli Comunale e Regionale, e ha portato alla formazione di tavoli di lavoro che coinvolgeranno AMT e i centri antiviolenza Mascherona e Udi.
In questi tavoli, persone con un ruolo istituzionale riconosceranno come un problema quello delle molestie, parleranno delle ragazze e donne che le subiscono e degli uomini che le perpetrano, penseranno a delle possibili soluzioni a breve e a lungo termine.
Tra gli esempi di azioni proposte nella raccolta firme ci sono dei corsi di formazione sulla violenza di genere al personale dell’AMT, e dei manifesti da affiggere sugli autobus, accanto alle pubblicità dei corsi professionalizzanti e degli abbonamenti annuali, su come comportarsi in caso di molestia, che tu sia vittima o spettatore.
Una storia che ci fa riflettere
Attendiamo per vedere come si evolverà, e teniamo alta l’attenzione, ma intanto questa è una storia che ci fa riflettere. Ha di bello il fatto che ci insegna a non minimizzare le cose importanti.
Ricorda che il fatto che un uomo si masturbi davanti a te, o si strusci o ti tocchi nell’autobus pieno, che tanti uomini lo facciano a tante, non è una sfiga che ti è capitata quel giorno. Che il fatto che sia esperienza comune per tantissime ragazze e donne di questa città non può essere ignorato da chi questa città la governa. Che si procede per piccoli passi, questa lettera e questi tavoli non distruggeranno il patriarcato, ma sono una tappa una presa di coscienza.
Sono anche un’occasione per riconoscere un problema che il più delle volte non è percepito come problema neanche da chi lo subisce, perché intorno si minimizza: “è solo un maniaco”, si accusa “vabè ma non esagerare, mica ti ha stuprata”, si rende difficile anche solo pensare di denunciare. Questa è una storia che insegna che arrabbiarsi e dire quanto e perché si è arrabbiati, serve.
E io me la immagino B. che ascolta la sua amica arrabbiata, avvilita, e le dice che questa cosa non deve più succedere. Poi decide che di quella rabbia grande, antica, condivisa, ne farà qualcosa. Ne farà il massimo che può.
Immagine di copertina:
Illustrazione di Martina Spanu
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