Femminicidio

Violenza sulle donne: cosa possiamo fare?

Confrontarsi con la violenza di genere non è mai facile: ecco alcuni strumenti per affrontarla.
11 Marzo 2021
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Femminicidio
Boston Public Library, Nettie and her mother, ca. 1890–1929. Courtesy of Boston Public Library

Nel 2021, in Italia, c’è stato un femminicidio ogni 5 giorni. Uno di essi è avvenuto proprio a Genova: in una strada centrale della città, nel tardo pomeriggio, Clara Ceccarelli è stata uccisa con più di trenta coltellate dal suo ex compagno.

Questi drammatici episodi sono ormai all’ordine del giorno e non fanno quasi più notizia, ma sarebbe sbagliato considerarli “normali”, rassegnandosi al silenzio che troppo spesso li circonda. Sono resi invece ancora più gravi dal fatto che in molti casi si tratta di tragedie annunciate, perpetrate da uomini che ben conoscevano la vittima: nel caso di Clara, sappiamo che si era già pagata il funerale, consapevole della situazione di pericolo in cui si trovava.

Quello che si prova di fronte a notizie di questo tipo è davvero difficile da esprimere in parole, e certamente non tuttɜ la pensano allo stesso modo, consiglio però – per chi non le avesse ancora lette – le riflessioni a caldo di Amina Gaia Abdelouahab, che, tra le altre cose, ci ricorda che “una donna deve essere libera di scegliere male, di sbagliare compagno, di commettere errori di valutazione, senza temere di essere ammazzata, senza sentirsi dire che quella violenza, in fondo, l’ha accettata o l’ha perfino provocata”.

La definizione di femminicidio sembra non essere ancora chiara a molti: il termine non fa riferimento solamente al genere della vittima, bensì al movente – si applica questo termine quando la vittima è stata uccisa in quanto donna.

Solo a Genova, nel 2020, sono stati riportati cinque femminicidi, in aumento rispetto all’anno precedente, e sono parallelamente aumentati gli episodi accertati di maltrattamenti in famiglia. I centri antiviolenza di tutta Italia hanno registrato un preoccupante quanto prevedibile picco di richieste durante l’ultimo anno (dati D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza).

Non confondiamoci: l’emergenza sanitaria ha esacerbato problematiche già presenti nel nostro territorio (e non solo), a partire da una ben radicata cultura patriarcale, un diffuso senso di diffidenza nei confronti delle vittime che denunciano le violenze, un sistema di supporto carente e una scarsa consapevolezza del fenomeno da parte di diverse categorie di professionistɜ – in particolare quelle che sarebbero preposte a sanzionare questi reati.

La violenza di genere non comprende solo abusi fisici ed è stata definita dalle Nazioni Unite nel seguente modo:

Ogni atto di violenza fondato sul genere che abbia come risultato, o che possa probabilmente avere come risultato, un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica o privata

Dichiarazione sull’eliminazione della violenze contro le donne, Assemblea generale della Nazioni Unite 1993

Si tratta di una violazione dei diritti umani ed è considerata dall’Oms uno dei principali problemi di salute pubblica a livello mondiale. Alcune delle convinzioni errate sull’argomento sono diffuse da una narrazione distorta: non esiste un profilo specifico di “donna maltrattata”, perché si tratta di un fenomeno che colpisce tutte le classi sociali, culturali ed economiche e tutte le regioni del mondo – è assolutamente falso che le donne che subiscono tendano ad avere problemi di dipendenze o di scarsa autostima: tuttɜ possono essere vittime di violenza, perché le cause non risiedono nella vittima, bensì nel suo aggressore.

E il fatto di considerare legittimo esercitare violenza su una donna non è una distorsione di una realtà sociale armoniosa: “Il maschio violento non è malato, è il figlio sano del patriarcato” come recita un famoso slogan femminista.

Non è facile individuare il comportamento ideale da tenere nel caso in cui si noti disagio in qualcuno che ci sta accanto

Se sospetti che un’amica, una figlia o una collega possa essere vittima di violenza ci sono diversi modi per starle vicino, partendo dal manifestare la propria disponibilità all’ascolto. La Casa delle donne per non subire violenza ha creato un vademecum per aiutare una donna che subisce violenza o stalking, utile per capire come intervenire in una situazione così delicata.

Tra i diversi consigli presenti nel vademecum, è importante segnalare che bisogna evitare di dare giudizi e istruzioni su ciò che bisogna fare: bisogna in primis ascoltare ciò di cui la donna ha bisogno. Questo si concretizza nell’evitare di fare domande che esprimano giudizio, come “Perché non lo hai lasciato?”, mentre può essere utile capire la pericolosità della situazione. È possibile rispondere al suo racconto ricordandole che la vittima non è mai responsabile, perché non esistono in nessun caso atti che giustifichino la violenza, che è interamente responsabilità di chi la perpetua.

Un consiglio scontato, ma purtroppo necessario, va precisato: rassicura chi sta raccontando la propria storia che lə credi e che ti può dare fiducia. 

Se invece si assiste in prima persona alle violenze (anche in quanto vicinɜ di casa), è possibile fare una segnalazione in forma anonima tramite Youpol, l’app realizzata dalla Polizia di Stato per segnalare episodi di bullismo, spaccio e violenza domestica, scaricabile gratuitamente. È importante però saper distinguere una situazione di conflitto da un episodio di violenza, ricordandosi che nel conflitto c’è parità tra gli interlocutori e non sono ammesse forme di violenza fisica.

Femminicidio
Diversity. Foto di Anna Shvets

Se chi sta leggendo questo articolo è vittima di violenza, sappia innanzitutto che chi scrive – e tuttɜ noi di wall:out – lə siamo vicinə

Non sei solə: puoi avere l’aiuto di persone preparate a darti supporto, che possono garantire riservatezza ed empatia. Per contattarle, puoi chiamare il numero 1522, la linea di assistenza nazionale per le donne vittime di violenza, che può indirizzarti al centro antiviolenza più vicino.

In alternativa, si può utilizzare la sopracitata App Youpol. Oppure, puoi contattare direttamente uno dei centri antiviolenza attivi a Genova, trovi qui i riferimenti precisi

I centri offrono ascolto, accoglienza, consulenza legale, assistenza psicologica, gruppi di auto-aiuto e mediazione e consulenze interculturali. In caso di emergenza, le donne che lo desiderano possono trovare ospitalità (con eventuali figli minorenni) in Case Rifugio – spesso a indirizzo segreto – per sfuggire alla violenza.

Tutti i servizi di questo tipo sono completamente gratuiti e disponibili anche per immigratɜ non in regola.

Segnaliamo inoltre che, anche durante la quarantena o in zona rossa, tutte le donne vittime di violenza e i loro figli sono ufficialmente esentɜ dalle misure restrittive: possono muoversi per rivolgersi alla polizia e per raggiungere rifugi e luoghi sicuri. 

Infine, se sei stancə di sentir parlare di questo tema senza vedere cambiamenti, puoi fare diverse cose: condividere questo e altri articoli sul tema può essere un inizio, come anche parlarne a chi ti sta intorno, cercando di abbattere la cultura patriarcale che porta a considerare le donne come oggetti da possedere.

Puoi anche scegliere di aderire a gruppi che lottano contro le violenze sulle donne, come Non una di meno, che ha anche un gruppo genovese. Se pensi di poterti impegnare sul lungo periodo, puoi intraprendere un percorso di formazione gratuito per collaborare con l’azione dei centri antiviolenza della città, contattali direttamente per offrire la tua disponibilità.

Le cose stanno cambiando anche grazie all’azione di tantissimɜ volontariɜ, che lottano per creare una società migliore. Non esitare a prendere parte al cambiamento!

Immagine di copertina:
wall:in media agency su opera della Boston Public Library, Nettie and her mother
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Classe ’95, nata a Genova, con il cuore sempre in questa città ma con il corpo in movimento. Inizia gli studi a Pavia, per proseguire poi a Tolosa, Bologna, Bilbao e Montevideo. Laureata in International Affairs e appassionata di America Latina - ma soprattutto di empanadas e Malbec. Impegnata nella lotta alle mafie e volontaria dell’associazione Libera fin dal liceo.

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