Ci sono molti modi di raccontare una città. Ciascuno di questi, tuttavia, contribuisce, almeno in parte, a fare di quella città quello che è. Nessun modo di raccontare è, semplicemente, neutrale. Al di là della maggiore o minore aderenza ai “fatti” di ciascun racconto, rimane costante la sua non-neutralità. Rappresentare la vita e il profilo di una città in un modo o in un altro, vuol dire anche contribuire a dare quella forma alla città.
Al momento, ci sono diverse forze in campo che si occupano, in modi diversi, di raccontare Genova e la Liguria: alcune legate alla proverbiale e divertente tendenza al mugugno (il Mugugno Genovese), altre alla forse meno celebre ma consolidatissima vena sarcastica (Genowa), fino al più tecnico confezionamento delle notizie di attualità (Il Secolo XIX) o di cultura e spettacolo (Mentelocale).
Ciascuno di questi, insieme a molti altri, a suo modo, si appoggia a un pezzo della vita e dell’esperienza genovese e ligure (il mugugno, il sarcasmo, l’abilità tecnica, eccetera) e contribuisce a darle forma e a orientarla. In questo panorama, tuttavia, c’è ancora un pezzo che non sembra essere poco raccontato, con la conseguenza di essere sempre più marginale, fino a rischiare di diventarlo poi, non solo tra i racconti, ma anche nei fatti.
Questo pezzo, per dirla con una sintesi crudele, equivale alla capacità riflessiva e alla curiosità intellettuale di una generazione di giovani – genovesi e liguri – che, se interpellata, ha una quantità di risorse di pensiero e di azione che, al momento, sembrano disperse e poco organizzate.
Per raccoglierle e organizzarle in una trama capace di orientarle è necessario, appunto, un racconto dedicato a questo scopo
Quando parliamo e pensiamo a Genova, pensiamo certo al suo mugugnare, alla sua vena sapientemente comica o ai suoi preziosi artigiani; tuttavia, possiamo – e quindi dobbiamo – pensare anche alle capacità intellettuali e di azione della sua attuale generazione di giovani ragazze e ragazzi.
Ecco, siccome è importante essere molto chiari su questo tema, facciamo subito un esempio molto attuale, relativo a un tema complesso, moltissimo raccontato e, di solito, sintetizzato così “la sicurezza e il degrado di alcuni quartieri genovesi”.
Solo per pescare qua e là alcuni esempi di narrazioni su questa questione, troviamo la versione meme (Genowa), oppure una sua declinazione in termini di “ma a l’è mâi poscìbile?!” (Il Mugugno). E, naturalmente, il racconto delle notizie di arresti in centro storico o di piazze chiuse da cancelli per “garantire il riposo notturno dei residenti e tenere lontani gli spacciatori” dal quartiere (il Secolo XIX).
Quale tipo di città vediamo prendere forma a partire da questi racconti? Una città divisa in due, anzi il racconto di due città, una opposta all’altra
Da una parte una città legittima che ha paura, si lamenta e al più ironizza su questa opposizione e dall’altra una città illegittima che preme ai confini della prima e deve essere fermata o arginata. È sulle ali di questo racconto che intervengono, quindi, azioni politiche con strategie militari: arresti, ronde, cancellate che chiudono piazze.
Come è molto chiaro, non si tratta tuttavia di una questione di verità o di falsità di questi racconti. La situazione difficile di chi quotidianamente abita in alcune zone della città, infatti, è senza dubbio un dato di fatto. Nondimeno, il racconto che inquadra e incornicia quelle situazioni rischia di oscurare possibilità alternative al momento della loro presa in carico in termini di gestione politica.
Per esempio, accanto alle rappresentazioni che abbiamo appena visto, sarebbe possibile proporre un’altra prospettiva, come per esempio aiutava a fare una ricerca sociologica molto bella, proprio su Genova, qualche anno fa:
La città legittima pronuncia parole di paura o di sospetto verso quella illegittima, ma ricorre a quest’ultima per un gran numero di prestazioni: dal lavoro domestico a quello nei cantieri, dalla domanda dei vari tipi di prostituzione a quella di stupefacenti, gioco d’azzardo o credito illegale .
La città e le ombre, Dal Lago e Quadrelli, 2003: 13
Così, per esempio, questo altro racconto invita a rompere con il presupposto tacito di due città in opposizione – una città della criminalità e una della legalità – e invita semmai a pensarle come una l’ombra dell’altra, come una la condizione di possibilità dell’altra. In quest’ottica, se cioè la città è una sola, le strategie di intervento politico per trasformare situazioni di difficoltà e disuguaglianza non sono più quelle militari, basate sulla dinamica amico-nemico, bensì quelle che intervengono dall’interno della stessa città per convertire la spirale di de-qualificazione.
Ecco, allora, che le energie di una generazione di giovani ragazze e ragazzi diventano sul serio una risorsa per la comunità urbana e regionale
Questo può accadere se si decide politicamente di investire su di loro, prima di tutto economicamente, in maniera seria per proporre bandi pubblici ad associazioni culturali del territorio, chiedendo di inventare e progettare interventi finanziariamente, socialmente e territorialmente sostenibili capaci di lavorare dall’interno di questi quartieri per trasformare in energie e risorse quello che al momento è percepito come nemico da allontanare.
Questo sì sarebbe un “modello Genova” nobile e prezioso, anche per altri contesti. Perché questo sia possibile, è necessario allargare il racconto della città in modo da aiutare a pensare ad altre possibilità e risorse, così da rendere politicamente percorribile la strada di investire su queste stesse risorse.
Ora siamo qui. Abbiamo davanti una strada che è quella di chiudere le piazze dentro a cancelli sempre più alti e sempre più stretti e depotenziare i luoghi di incontro; un’altra strada è quella, invece, di investire in quegli stessi luoghi di incontro e potenziare la collaborazione tra le diverse anime che attraversano la città.
Per percorrere questa seconda via, bisogna innanzi tutto cominciare a raccontarla, ciascuno con le proprie forze e i propri strumenti narrativi, dalla forza del mugugno all’energia della satira, fino alla competenza giornalistica più tradizionale.
Cominciare a raccontare come non esistano due città una contro l’altra, una che si difende dall’altra; al contrario, il lavoro per la cura estetica e quello per la gestione politica di un quartiere fanno parte dello stesso impegno: come ha spiegato bene Marco Romano nel suo libro sulla città come opera d’arte, pane e rose sono il prodotto del medesimo progetto di politica culturale.
Immagine di copertina:
Suzy Hazelwood
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