Il libro “Il Museo che non c’è” (Erga Edizioni, 2021) di Orietta Sammarruco è strutturato come una mostra virtuale di 28 artiste nella storia. Le loro biografie costituiscono un caleidoscopio di relazioni con la cultura, la storia e la scienza delle differenti epoche prese in esame.
Il libro non ha il solo scopo di sottolineare la condizione femminile, ma evidenzia soprattutto una ricchezza d’arte dimenticata e non sfruttata.
La prefazione è per questo motivo affidata a un economista della cultura, il giornalista economista Giuseppe Cosenza, il quale scrive infatti che:
“Il terremoto provocato dal Coronavirus ha rapidamente avvicinato cinque settori economici, in apparenza diversi tra di loro, come le imprese culturali e creative, il turismo, i contenuti on-demand, la formazione e la scuola, il welfare e la salute”.
In questo spazio si muove l’autrice, in una ricerca che dà spunti spaziando tra il mondo dell’artigianato, quello medico, quello imprenditoriale, degli insegnanti e della moda.
Nel testo possiamo vedere alcuni esempi, accedendo a questa “galleria” di artiste quali la scultrice Properzia De’ Rossi, della seconda metà del ‘400, che scolpì meraviglie su noccioli di frutta inserendoli su gioielli in argento e oro; oppure Sofonisba Anguissola, tra il ‘500 e i primi del ‘600, che descrive minuziosamente guanti, gioielli e accessori che utilizza per caratterizzare i personaggi ritratti nei suoi quadri.
Altri esempi sono forniti dalle opere e dall’attività di Lavinia Fontana nella seconda metà del ‘500 e inizi del ‘600, ritrattista eccezionale che poneva grandissima attenzione ai particolari delle stoffe e degli abiti; Rosalba Carriera che fu icona dello stile rococò veneziano nella sua forma più sfavillante nel pieno del ’700; Angelika Kauffmann che fu la prima vera influencer dello stile tra neoclassicismo e romanticismo tra la seconda metà del ‘700 – inizi ‘800.
L’Autrice ha così verificato se effettivamente esistessero opere in pittura e scultura di artiste donne degne di essere ammirate, alla pari di quelle realizzate dai colleghi uomini, per esporle nei musei di tutto il mondo e la risposta è decisamente affermativa.
Il libro dimostra, attraverso le illustrazioni delle opere più significative, ciò che le donne dal XV secolo (“le pittore”, “le pittoresse”, “le scultore”) sono riuscite a produrre pur partendo da posizioni di svantaggio reale, una per tutte la condizione femminile che precludeva anche il semplice accesso a una bottega dove poter apprendere i rudimenti dell’arte.
I 28 capitoli del libro, uno per ogni artista, dalla prima Caterina De’ Vigri, “La Santa Patrona” (1413 – 1463) a Mary Cassat, “Un’Americana a Parigi” (1844 – 1926), non solo ci raccontano le loro vite, ma ci descrivono le società con le quali ognuna di loro dovette confrontarsi e misurarsi per realizzare la propria passione.
Si ritrovarono infatti a combattere contro le consuetudini sociali e, a volte, contro le loro stesse famiglie.
Cinque di loro, Caterina De’ Vigri, Antonia Doni, Plautilla Nelli, Lavinia Fontana e Orsola Caccia furono monache rinchiuse in convento dai loro padri, mentre Sibyilla Meriam nel 1669 si imbarcò con la figlia alla volta della Guayana Olandese (l’odierno Suriname) restandovi due anni resistendo al clima ostico e alla febbre gialla, per studiare e disegnare gli esemplari botanici e gli insetti sconosciuti in Europa, che andavano raccogliendo nella foresta. Cinquant’anni dopo i suoi disegni sarebbero stati utilizzati dall’eminente naturalista Carlo Linneo per diverse piante e più di cento nuove specie animali.
Oppure Camille Claudel, che fu internata dalla madre e dal fratello in un ospedale psichiatrico, dove rimase trent’anni, morendo probabilmente di fame nel 1943, perché considerata una bocca inutile.
Altre artiste come Sofonisba Anguissola, Elisabetta Sirani, Clara Peeters, Judith Leyster e Adelaide Labille Gaillard, riuscirono invece a vivere dei proventi della loro professione e a insegnare ad altre allieve. Judith Leyster sarà fra loro la prima donna a essere ammessa alla Gilda di San Luca di Haarlem e per tutto il XVII secolo, anche l’unica “Master Painter”.
Leggendo le vite, anche travagliate, di queste donne e ammirando le loro opere, inferiori solo per quantità, ma non per qualità a quelle degli artisti uomini, non possiamo fare a meno di chiederci di quanta bellezza l’umanità si sia privata, e questo libro può aiutare a riscoprirla.
Immagine di copertina:
“Il Museo che non c’è” (Erga Edizioni, 2021). Fonte Arcidiocesi di Lecce
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