Intervista a Gaia Bennati sulla sua malattia e la malasanità

Vorrei che anche i giovani e le giovani sapessero

Un disgerminoma ovarico, una diagnosi confusa, un viaggio fisico e mentale. In dialogo con Gaia su malattia, prevenzione e problematiche della sanità (vista da dentro).
10 Novembre 2023
11 min
5.3K views

Un giardino, gli abbai di una cagnolina vivace, il clac del cancello che si apre. “Ciao Piè” – “Ciao Piè”. Ci chiamiamo allo stesso modo.

È stato lui a contattarmi per questa chiacchierata, ma non è per lui che sono lì. Non principalmente, per lo meno.

Saliamo una rampa di scale, tra i convenevoli.
Mi guardo intorno: una casa dall’aria tranquilla.

Entriamo in cucina, tanti oggetti: un vecchio telefono nero, di quelli con la cornetta, una pietra ovale rosata, soprammobili. Un grosso tavolo al centro, alcune sedie intorno, sopra alcuni fogli scritti, altri disegnati. Succo all’ananas, birra, patatine, tisana. Un inizio invitante e apprezzato.


“Bene Gaia, io partirei da te: raccontami un pò chi sei, cosa fai…”
Si parte a ruota libera.

Gaia attacca, calma e allo stesso tempo travolgente come un fiume in piena. Nella sua voce c’è un trasporto appassionato, tipico di chi sta vivendo qualcosa di profondo.

Sembra quasi poter stendere su un telo immaginario i tantissimi pensieri che ha in testa, che negli ultimi mesi probabilmente si sono aggrovigliati molte volte.

Sì. Sono lì per lei. Per una chiacchierata con Gaia

“Definirmi serena sarebbe un eufemismo, ho sempre avuto molte ansie”.

Parte così, con un sorriso snocciolato già alla prima frase e poche parole in riga per sciogliere uno dei nodi di questa storia.

Ama le passeggiate, gli animali, preferisce il mare d’inverno e la montagna d’estate, si è iscritta alla facoltà di psicologia arrivando a un solo esame dalla tesi. Anni fa ha avuto alcuni disturbi alimentari, superati con forza di volontà e il supporto prezioso di alcune figure professionali.

Già in quella occasione, va detto, si era accorta di alcune mancanze e inefficienze connesse alla sanità, ma anche a causa della giovane età ci aveva dato poco peso.

Sono i tratti di una giovane ragazza di 24 anni, con i suoi entusiasmi, le sue passioni, le sue sfide e le sue difficoltà.

Un bel puzzle di umanità, che restituisce la voglia di prendere a pugni le paure e urlare al cielo i propri traguardi.

Riavvolgere il nastro dei ricordi è un processo importante quando si parla di sé, ci aiuta a posizionarci lungo un arco, creando un’interdipendenza tra il passato, il presente e il futuro. Capire chi eravamo, per comprendere meglio chi siamo e immaginare dunque chi vorremmo diventare.

Forse è soltanto un guardarsi l’ombelico senza conseguenze, o forse può avere reali implicazioni sul nostro sviluppo personale. In ogni caso, è una riflessione viziata da un pregiudizio di perfezione: come se la vita fosse un lunghissimo nastro che si srotola, a velocità costante, imperturbabile.

Così non è, lo sappiamo; non in questo mondo, almeno.
Possono esserci strappi in avanti, cadute, stop, sali e scendi imprevisti.

In alcuni casi, le cesure tra un prima e un dopo, possono risultare decisive. Tagli netti. Tratti da ricucire con cura e con amore. Da lì in poi, non solo può cambiare la propria vita, ma probabilmente anche il proprio modo di approcciarsi a essa.

La malattia e la malasanità

Il suo “prima e dopo” Gaia lo ha sperimentato con forza in un pomeriggio del gennaio 2023.

Me lo descrive con dovizia di particolari: la mamma che torna a casa cupa in volto, la passeggiata insieme per far uscire il cane e poi la fatidica domanda di Gaia: “Ma cos’hai? Hanno chiamato dall’ospedale?”.

La sua risposta, me la cita a memoria, è di quelle che ghiaccerebbero chiunque:

“Eh…non prenderla male, ma ti hanno diagnosticato un tumore”.

Giusto il tempo di tornare in camera, di aspettare che la mamma uscisse di nuovo per andare a fare la spesa, poi il pianto liberatorio, la paura, l’impotenza, la rabbia. Tutto insieme.

Un indecifrabile e doloroso mix di perchè, di visioni, di ricordi. Per raccontare bene questa storia e arrivare a questo punto del racconto, è necessario però riavvolgere il nastro almeno a quattro mesi prima. 

Agosto 2022:

Gaia, dopo due anni dall’ultima volta, si reca in uno studio ginecologico per effettuare alcuni controlli di routine. A spingerla per una visita è una piccola cistite.

Come capita a parecchie donne, era restia a prendere l’impegno di sottoporsi ai controlli annuali. Il medico le trova tuttavia un ovaio ingrossato, forse una semplice infiammazione?

Da qualche tempo, a dir la verità, percepisce un gonfiore sul basso ventre, come una sorta di “pallina” sottopelle. Ci ha dato poco peso, ma è esattamente da lì che si è aperto un capitolo che ancora oggi non ha potuto concludersi.

Autunno 2022:

Pur non essendo stata rilevata una situazione particolarmente grave, si decide di procedere con una serie di controlli ulteriori, che invece conducono alla necessità di effettuare un’operazione. I dettagli della stessa rimangono però piuttosto sfumati, così come le tempistiche.

Inizialmente l’appuntamento viene fissato nel mese di novembre 2022, ma una serie di situazioni confusionarie fanno propendere per uno spostamento in avanti della data, fino ad arrivare al tramonto dell’anno, proprio a ridosso del Capodanno.

30 dicembre 2022:

Nonostante le velate ritrosie di Gaia, che sperava giustamente di poter trascorrere tranquillamente l’inizio del nuovo anno con gli amici, questa risulta essere la data definitiva per la sala operatoria.

Si sottopone sotto i ferri senza sapere con chiarezza cosa la aspetti in definitiva. Gaia si addormenta sulle note di Sere Nere di Tiziano Ferro. Un tempo indefinito più tardi si sveglia, vede il grosso taglio sulla pancia, comprende e piange.

Asportazione dell’ovaio destro.

Gennaio 2023:

Quindi l’attesa snervante di tre settimane prima di ricevere il risultato dell’esame istologico.

A quel punto, una prima doccia fredda: si tratta di tumore. Il livello che le viene riferito però è di “primo stadio A”, ovvero il meno grave. 

Speranze, sospiri, adesso allungati adesso spenti.

In questo percorso purtroppo la realtà dei fatti si è spesso dimostrata più inclemente rispetto alle prospettive. A questo punto Gaia percepisce una dinamica un po’ particolare: nonostante le rassicurazioni, le viene infatti fissato un secondo intervento da svolgere a marzo, per controllare con diverse biopsie che fosse tutto “pulito”.

Nella tac pre-operatoria, però, un linfonodo risulta ingrossato.

“Tranquilla, sicuramente è reattivo all’intervento appena subìto. Non è nulla di preoccupante”, la tranquillizzano i medici di Genova.

Febbraio 2023:

Sul finire del mese, a causa dei solleciti di amici e persone a lei vicine, decide di salire a Milano per sottoporsi a quello che in gergo medico si definisce “second opinion”, ovvero un secondo parere specializzato, da effettuarsi altrove.

Avviene a Milano, presso l’INT (l’istituto Internazionale per i Tumori), un’eccellenza nel panorama italiano ed europeo. E’ proprio lì che accade l’inaspettato, una seconda doccia fredda che mescola il gusto amaro della frustrazione e quello insostenibile dell’incazzatura.

Il primario di ginecologia oncologica afferma che quasi sicuramente il linfonodo in questione è una metastasi. Si passa così da un semplice e innocuo primo stadio, ad un terzo.

Un giudizio che sovverte completamente la diagnosi tutto sommato positiva ricevuta in Liguria.

“Cara Gaia, mi auguro di non avere ragione, ma se gli esami confermeranno le mie impressioni ci vorrà la chemio”.

Ricorda di essersi isolata dalla conversazione da quel momento in poi, con le lacrime che iniziavano a scendere da sopra la mascherina anti-covid senza che se ne accorgesse.

Rabbia, frustrazione, domande. Di nuovo.
Rapporti rotti con il precedente ginecologo.
Il perché in testa di tutto quel ridimensionamento del problema, di tutta quella sottovalutazione, che ha fatto perdere tempo prezioso.

Metà marzo 2023:

Decide di operarsi non a Genova ma a Milano, dove si sente maggiormente a suo agio. Dopo una settimana e mezzo dall’intervento – nella metà del tempo richiesto a gennaio – riceve i risultati istologici.

Purtroppo gli accertamenti confermano le sensazioni del medico dell’INT: si tratta non di un primo, bensì di un terzo stadio tumorale.

Intervista a Gaia Bennati sulla sua malattia e la malasanità
Foto scattata in seguito alla seconda operazione, sostenuta a Milano. Foto di Gaia Bennati

Aprile – Giugno 2023:

Nuova pagina del viaggio dunque, nuove sfide. Tre cicli di chemioterapia da compiere, il supporto delle persone più care intorno, il calore delle amicizie, il ritorno di vecchie conoscenze inaspettate e l’offuscamento di altre.

Per motivi di comodità, a causa dell’invasività terapeutica, sceglie di rientrare in Liguria.

La stanza per il ricovero al San Martino si trasforma in un microcosmo, dove si dilatano e si comprimono continuamente i tempi, i sentimenti, le chiacchierate, i piccoli momenti di normalità rubata in compagnia del fidanzato.

Sono ben tre i ricoveri necessari in questa fase, ciascuno della durata di una settimana.

20 giugno 2023:

È il giorno che chiude il periodo di chemioterapia, è il giorno in cui può salutare alcuni dei volti conosciuti in quelle settimane intensissime e tornare a casa. Una foto insieme a uno degli infermieri con cui ha stretto amicizia chiude una parentesi segnante e pregna di significato.

Questa è soltanto una sintesi del decorso della malattia compiuto in meno di un anno. Gaia me ne parla mettendo in ordine cronologico una grande quantità di eventi, di risvolti, di situazioni, di sviluppi. Con lucidità.

Tuttavia non vuole soltanto presentare uno stato dell’arte dal punto di vista clinico. Anzi, l’accento più pesante risalta piuttosto situazioni che hanno a che fare con i fenomeni di malasanità di cui ha fatto esperienza, suo malgrado.

È nelle curve del suo tortuoso tragitto che giacciono le delusioni più grandi:

le diagnosi errate, la scarsa chiarezza, i macchinari medici guasti, la scarsità di empatia, i tempi lunghi per ricevere i risultati delle visite importanti effettuate in questi mesi, il sostanziale abbandono a sé stessa in fase di prenotazione ed espletamento delle numerose procedure burocratiche.

La sua perdita di fiducia coincide anche con la consapevolezza che le strutture ospedaliere che ha avuto modo di “respirare” si appoggiano a un organico probabilmente insufficiente.

“Io adesso ho paura al pensiero di entrare in un ospedale” – mi dice – nel flusso dei discorsi.

È una frase dura, ma emblematica. 

A fare da contraltare, c’è però un’altra riflessione che le esce dal cuore:

il sostegno costante ricevuto da infermiere, infermieri e OSS è stato per lei fondamentale. Prova profonda gratitudine per l’estenuante lavoro che compiono giorno e notte negli ospedali, giovani e meno giovani. Una presenza perenne la loro; generosa, preziosa, capace di darle coraggio e spinta anche nei momenti più difficili. 

A questo punto introduco l’ultima domanda, che poi poteva essere anche la prima. Asciutta, concreta:

”Perché siamo qua? Qual è la forza che ti porta a volerne parlare?”

Gaia ha sentito sempre più forte il bisogno di levare in alto la sua voce in merito alla gestione del suo caso, non per parlare di quello nello specifico, ma per ampliare la discussione.

È una voce arrabbiata la sua, ma ferma. Decisa, ma non aggressiva. Cosciente e delusa, terribilmente delusa. Sfiduciata da un sistema in cui non ha saputo trovare un rifugio, un’ancora di salvataggio, bensì una corsa a ostacoli. Una fonte di frustrazioni immotivata, e di certo non meritata.

Dal suo personale confronto tra Milano e Genova, in tal senso, emergono giudizi impietosi per la seconda, in termini di efficienza, di organizzazione, di gestione dei rapporti umani e di strutture. I tagli alla sanità ligure si percepiscono, questa è la chiosa del ragionamento.

“Una delle cose che mi agita di più è il fatto che i giovani conoscono poco o nulla delle dinamiche interne agli ospedali”.

Se così non fosse, probabilmente monitorerebbero con molta più attenzione la propria salute. È dunque importante che anche le ultime generazioni prendano consapevolezza di come funzionano, anche se l’argomento può non risultare piacevole.

Ci sono poi tanti aspetti correlati che andrebbero discussi, per esempio il tema delle spese da sostenere per una riabilitazione psico-fisica completa.

“Nel caso di un paziente oncologico – mi spiega – si ha un’esenzione (la 048), ma non tutti sanno che i costi nella vita di un malato oncologico arrivino ad avere un incremento importante”.

“Ci sono per esempio le spese dentistiche (la chemio devasta gengive e denti), quelle per un nutrizionista (è importante mantenere una dieta sana che contrasti le nausee da chemio), quelle per il supporto psicologico (praticamente non fornito dall’ospedale), per la fisioterapia post-chemio (ma anche durante), per l’acquisto di prodotti particolari (ad es per la pelle, per gli occhi, ogni zona del corpo diventa molto sensibile)”.

E poi gli spostamenti, non trascurabili. Ebbene, l’esenzione non copre nessuna di queste voci di spesa, ma serve più che altro ai pagamenti necessari per alcuni farmaci e diverse visite.

Interviene allora una logica potenzialmente classista, dove soltanto chi ha la forza economica necessaria, può sostenere senza preoccupazioni il decorso della malattia, al di là del piano prettamente fisico.

Intervista a Gaia Bennati
In ospedale durante il secondo ciclo di chemioterapia. Foto di Gaia Bennati

La salute non è un optional

Il tema della prevenzione, in chiusura della chiacchierata, è un altro concetto che vuole sottolineare con energia. I consulti ginecologici e le analisi del sangue, per esempio, non vanno sottovalutati. Sono strumenti che possono fare la differenza.

Quando Gaia ripensa ai giorni immediatamente successivi alla prima operazione, ricorda che accarezzando il basso ventre non sentiva più quella “pallina” che aveva percepito per settimane, senza darci troppo peso.

Aver realizzato quanto accaduto, con il senno del poi, le ha fatto gelare il sangue.

Ora sente di voler sfruttare tutto il potenziale mediatico a disposizione per invitare le sue coetanee e i suoi coetanei, altre ragazze e altri ragazzi, altre donne e altri uomini a prevenire problematiche di salute.

Al suo profilo Instagram, oggi, vuole attribuire soprattutto questa funzione: farsi megafono per sensibilizzare su un tema così importante eppure messo costantemente in secondo piano (ma anche in terzo, quarto e via dicendo) da chi ha meno di trent’anni.

La salute non è un optional. Ogni ragazza che le scrive di aver deciso di prenotare una visita ginecologica dopo essersi imbattuta nei suoi appelli – mi confida – è per lei una vittoria.

Una presa di responsabilità netta, visceralmente sentita.


Finiamo la chiacchierata dopo due ore.
Nel mentre, l’aria fuori si è fatta più fresca e il sole è ormai tramontato. Ci salutiamo ed esco dalla casa di Pietro, il fidanzato, che ha fatto da cornice.

Mi ritrovo in Corso Europa, con i lampioni che illuminano l’asfalto e le auto che mi sfrecciano accanto, veloci quanto i miei pensieri in testa. 

Voglio ringraziare Gaia per essersi aperta con naturalezza di fronte alle mie (poche) domande. Il flusso di coscienza e la ricostruzione del suo percorso sono stati tali da non aver avuto bisogno di input particolari da parte mia.

La sua storia e il suo bisogno di comunicarla, mi rendono partecipe della necessità che si parli della qualità dei servizi ospedalieri genovesi.

I focus emersi sono stati tanti:

la sanità privata non è un’opzione praticabile per tutte le famiglie; la pressione del personale sanitario richiede serie riflessioni; l’inefficienza burocratico-organizzativa può arrecare danni e rallentamenti nei pazienti; la messa a disposizione di un supporto psicologico professionale è un bisogno stringente.

Il fatto che una ragazza così giovane ne sia uscita fortemente sfiduciata è una sconfitta.

Nonostante tutto, nonostante soprattutto il fatto che le visite siano una realtà tuttora presente nella sua vita (da quando è terminato il terzo ciclo di chemioterapia sono intervenute diverse implicazioni collaterali: dalle cefalee alle parestesie, fino agli acufene e ai forti dolori alle mani, possibili conseguenze della tossicità indotta dagli agenti chemioterapici) la forza dell’umorismo non manca a Gaia, che collega spesso le sue frasi con battute di spirito.

E poi, e poi, sente “una grande fame di vita”.
Me lo dice con un tono squillante. Meraviglia.

Un sentimento che si rinnova insieme al ritorno delle energie.
Energie che si può avere paura di perdere in un ambiente asettico come una camera d’ospedale, ma che si riscoprono quando torni ad assaporare piccoli assaggi di quotidianità perduta.

Intervista a Gaia Bennati
Ottobre 2023, l’intervista. Uno scatto realizzato al termine di due ore intense di chiacchierata. Foto di Pietro B.

Immagine di copertina:
Foto di Gaia Bennati


Scrivi all’Autorə

Vuoi contattare l’Autorə per parlare dell’articolo?
Clicca sul pulsante qui a destra.


Gli azulejos della sala capitolare di Santa Maria di Castello
Articolo Precedente

Gli azulejos della sala capitolare di Santa Maria di Castello

Studio Florìda, Genova. Arte, condivisione e comunità
Prossimo Articolo

Studio Florìda. Arte, condivisione e comunità

Ultimi Articoli in Interviste

Giornata Internazionale di solidarietà con il popolo palestinese

LABIBA |  Giovane Palestina

Il 29 novembre ricorre la Giornata internazionale di solidarietà al popolo palestinese. Qual è il significato di tale giornata nel difficile momento storico attraversato dalla Palestina?
TornaSu

Don't Miss