Ma parmi sentire alcuno di voi dire: io non voglio fare l’inoculazione, perchè mio figlio è sano
Vescovo di Goldstadt, 1800 ca.
Nella seconda metà del ’700, il vaiolo in Europa rappresenta una delle principali cause di morte, le stime dell’epoca parlano di 400.000 decessi l’anno.
Nell’immaginario collettivo si tratta di un flagello molto temuto. Il corpo dei malati si ricopre di pustole e dopo vari giorni di febbre e dolori segue la morte. Chi sopravvive porta su di sé le cicatrici della malattia.
Nel 1796 Edward Jenner, medico inglese, sperimenta una nuova metodica per la prevenzione del vaiolo umano. Prima di allora era abbastanza diffusa la pratica della “variolizzazione”, tecnica antica importata in Europa dall’Oriente che consisteva nel prelevare del materiale dalle pustole di chi era affetto dal vaiolo umano per inserirlo nella cute di una persona sana. Questa metodica però era scarsamente efficace, in quanto portava una parte significativa delle persone ad ammalarsi comunque e ad essere quindi anche potenziale origine di un focolaio.
Jenner osserva che gli allevatori e i contadini sembrano non ammalarsi mai.
Essi però portano sulle mani i segni del vaiolo vaccino, malattia trasmessa dalle vacche, che non provoca sintomi gravi nell’uomo. Jenner deduce che in qualche modo il vaiolo vaccino (cow-pox) fornisce una protezione nei confronti del vaiolo umano (small-pox).
Decide quindi di mettere alla prova la sua ipotesi, inoculando il materiale prelevato dalle pustole delle vacche in alcuni bambini. Quando in seguito li espone al pus di vaiolo umano, questi non si ammalano. Da queste osservazioni nasce il primo “vaccino” (il nome deriva appunto dalla malattia che colpiva le vacche).
La scoperta di Jenner necessita di qualche tempo prima di ricevere il meritato riconoscimento dai colleghi della Royal Society, i quali ritengono la metodica “troppo rivoluzionaria”. Oltre agli attriti accademici, nascono presto resistenze da parte della popolazione, fomentate in buona parte da superstizione e credenze popolari (alcuni erano convinti che il vaccino potesse portare ad assumere sembianze bovine).
In Italia
In Italia la storia della vaccinazione vede come protagonista Luigi Sacco, nato a Varese nel 1769.
In una biografia postuma viene descritto come un “uomo d’alta e ben formata statura, […], di pulito ma disadorno vestire, sobrio nel vivere” di carattere “un po’ confuso, astratto e divagato” il quale “non faceva distinzione nel visitare il tugurio del miserabile e del povero o il palazzo del ricco o del principe”. (“Vita ed opere del grande vaccinatore italiano, dottore Luigi Sacco”; G. Ferrario; 1858)
Nell’ottobre del 1800 mentre pianifica una spedizione intercontinentale tra Africa, Asia e America, ha occasione di leggere la traduzione italiana del trattato in cui Jenner rendeva noti gli effetti immunizzanti del vaiolo vaccino. Intrigato dalla scoperta, Sacco inizia a cercare il modo di replicare le osservazioni del collega inglese.
Qualche mese dopo riesce a reperire un ceppo di vaiolo vaccino da una mandria di vacche provenienti dalla Svizzera. Con il materiale prelevato in quell’occasione inizia a cercare dei volontari.
Per convincere alcuni bambini a sottoporsi all’operazione Sacco sperimenta l’inoculazione su se stesso.
Come Jenner, anche Sacco si ritrova a dover fare i conti con lo scetticismo della popolazione. Per far fronte a questo ostacolo egli ritiene sia necessario trovare il supporto di un ente in cui la gente comune nutre fiducia e individua nell’appello all’autorità ecclesiastica un canale di comunicazione ideale. Decide quindi di riprendere le parole pronunciate dal vescovo di Goldstadt nella sua “Omelia sopra il Vangelo della XIII domenica dopo la Pentecoste”.
In questa occasione il vescovo apostrofa i fedeli, invitandoli ad accogliere la scoperta scientifica come un segno della divina provvidenza, e a comprendere che qualunque scetticismo sia da considerarsi come un affronto alla volontà di Dio.
“Qual torto mai, dilettissimi, fareste alla Divina bontà, se dopo una sì utile scoperta, lenti e ritrosi vi dimostraste ad approfittarne?
Qual stretto conto avrete voi a rendere un giorno di quelle vite, che potendolo sì facilmente, non avreste in tal modo salvate?
Voi sareste rei di tutti quei mali che potrebbero venire dal vajuolo naturale, e che non li avete voluti impedire.
Non esponetevi dunque ad avere questi rimorsi.
No, dilettissimi, non temete illusioni in questo nuovo rimedio, non vi è alcun interesse ad ingannarvi.
Credete al vostro Pastore, che volentieri coglie l’occasione di consolarvi con un si lieto annunzio.”
Non è possibile quantificare l’effetto di questa strategia comunicativa nel convertire l’opinione pubblica ad accettare la vaccinazione.
Ciò che è certo però, è che il vescovo di Goldstadt non è mai esistito.
L’omelia fu scritta da Sacco stesso, in un tentativo appunto, di convincere le persone a sottoporsi al vaccino.
Sono noti tuttavia i numeri forniti da Sacco relativi alla campagna vaccinale. Nei suoi scritti egli indica di aver raggiunto un milione e cinquecentomila persone, un terzo dei quali inoculati per mano sua.
Una volta conclusa la campagna vaccinale Sacco si cimenta nuovamente in nuovi interessi dall’ingegneria all’agricoltura, arrivando a brevettare un macchinario per ricavare lo zucchero dalle barbabietole. Negli ultimi anni della sua vita si dedica al giardinaggio, ed in particolare alla sua raccolta di migliaia di camelie.
Muore il 26 dicembre 1836, a 67 anni.
A Genova
In realtà Sacco non è l’unico pioniere del metodo jenneriano. Infatti nello stesso periodo un altro medico si occupa di portare in Italia la vaccinazione: Onofrio Scassi, nato a Cogoleto il 2 dicembre 1768.
I destini di Sacco e Scassi si incrociano già attorno al 1790, quando entrambi frequentano l’università di Pavia e seguono le lezioni di Johann Peter Frank, importante professore di igiene e sanità pubblica da cui entrambi apprendono l’importanza di una medicina indirizzata alle necessità di salute della popolazione.
Se a Sacco va il merito di aver operato per primo con materia vaccinica trovata in Italia nell’autunno 1800, sembra che nello stesso anno sia stato Scassi ad iniziare la vaccinazione antivaiolosa a Genova con del pus che gli era stato mandato da Ginevra. Risulta difficile stabilire precisamente se Scassi abbia anticipato Sacco nel portare in Italia la vaccinazione, i reportage dell’epoca citano “se non il primo in Italia, egli è certo dei primi, […] indubbiamente il primo in Liguria a praticare la vaccinazione”.
Negli anni Scassi ricopre vari ruoli accademici e amministrativi e nel 1830 diventa sindaco di Genova. Oggi il suo nome resta associato alla villa nel quartiere Sampierdarena, accanto alla quale sorge l’ospedale omonimo.
Fake news, comunicazione e appello improprio all’autorità
Nei secoli successivi le innovazioni nel campo delle scienze biomediche hanno portato a svelare i meccanismi immunitari alla base dell’efficacia dei vaccini, consentendo lo sviluppo di metodiche di produzione sempre più sicure e permettendo di ampliare il ventaglio di malattie che possiamo prevenire.
Nel 1967 l’OMS lancia il programma intensivo per l’eradicazione del vaiolo. L’ultimo caso viene registrato nel 1977 in Somalia e nel 1979 la malattia viene dichiarata ufficialmente “eradicata”.
Tornando a Sacco, se si guarda al suo espediente per contrastare l’antivaccinismo dell’epoca attraverso lenti contemporanee lo si potrebbe definire una sorta di “fake news”.
Oggigiorno questa strategia è chiamata “appello improprio all’autorità” e viene indicata come un possibile campanello d’allarme nelle notizie mirate a disinformare. Un esempio degno di nota è dato dal premio Nobel Luc Montagnier, che negli anni ha sposato varie teorie anti-scientifiche, ma che gode comunque di un certo seguito grazie al prestigio del riconoscimento conseguito in passato.
La sostanziale differenza è che l’intento di Sacco non era disinformare, bensì promuovere delle conoscenze basate sui fatti, appurate tramite il metodo scientifico e i mezzi dell’epoca.
La strategia che decise di adottare derivò appunto dall’intuizione che la fonte di diffusione dell’informazione gioca un ruolo cruciale nel persuadere le persone ad accettare una pratica nuova.
Da questa stessa intuizione negli anni sono derivate altre strategie simili.
Vale la pena menzionare uno degli esempi più riusciti: nel 1956, Elvis Presley si fece vaccinare contro la poliomielite in diretta TV portando ad una maggiore partecipazione da parte della popolazione alla campagna vaccinale.
Arrivando ai giorni nostri, dall’inizio della pandemia da COVID-19 non sono mancate le occasioni di assistere a casi in cui alla corretta informazione si sono associati gli effetti di una comunicazione inefficace.
Questo fenomeno ha portato l’OMS ad adottare il termine “infodemia” per indicare la circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento.
Il paragone tra notizie e virus regge anche in una chiave di prevenzione.
Attraverso un approccio più critico e attento alle fonti di informazione è possibile “immunizzarsi” dalle fake news e prevenirne i potenziali danni. Fortunatamente questo compito non è lasciato interamente al singolo individuo, esistono siti specifici che si occupano di “debunking” e “fact-checking”, ossia di verificare la veridicità delle notizie (per esempio: BUTAC). Ultimamente poi alcune piattaforme come Facebook e Youtube hanno iniziato a segnalare le notizie potenzialmente fallaci.
In quest’ottica l’aneddoto di Sacco e del vescovo di Goldstadt mostra che analogie e differenze col passato possono aiutarci sia a riconoscere le origini di alcuni problemi che ciclicamente si ripresentano che a ripensare i modi in cui cerchiamo le soluzioni.
Immagine di copertina:
Edward Jenner, vaccinating his young child, held by Mrs Jenner. Coloured engraving by C. Manigaud after E Hamman. Fonte Wikicommons
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