Urbanistica: quella scienza che studia la città e la pianifica, disegnandola dall’alto a riga e squadra. È questo l’immaginario comune che si ha dell’urbanistica. Ma tra quelle linee tracciate su carta, vive la gente, vivono persone reali, ciascuna con la propria vita e le proprie necessità. Urbanistica femminista
La città è lo specchio della società: il razzismo si traduce in quartieri di segregazione, le disuguaglianze economiche in eleganti quartieri centrali e quartieri popolari periferici, capitalismo e patriarcato in quartieri divisi per funzione (dove si produce, dove si consuma, dove si dorme) e per genere (dove si lavora e dove si accudisce la famiglia).
L’elenco potrebbe essere ancora lungo. La città si disgrega così in tanti frammenti di sé stessa, ciascuno adatto a un tipo di persona e non a un altro, aumentando le distanze, favorendo le discriminazioni (Un esempio recente? QUI).
È possibile agire sul tessuto urbano per favorire una società inclusiva e lo sviluppo di una città omogenea?
Zaida Muxí è architetta e urbanista argentina, specialista in questioni di spazio e genere, che rivendica il diritto a vivere in città inclusive.
Nel suo articolo Ciudad futura, ciudad inclusiva (Città futura, città inclusiva) per la fondazione spagnola Arquia, Zaida Muxí spiega come l’urbanistica femminista sia pianificazione urbana con l’applicazione di un’ottica di genere, che mira a osservare, analizzare e progettare le città a partire dalle donne e per le donne, ma non in maniera esclusiva o escludente.
L’urbanistica femminista intende facilitare quei compiti che sono stati tradizionalmente assegnati alle donne, ovvero quelli legati alla riproduzione della vita e all’assistenza, e che nel tempo non sono stati tenuti in considerazione dalle politiche pubbliche perché slegati dall’ambito della produzione, ovvero prendersi cura di bambinɜ e anzianɜ, accudire la famiglia e assistere persone in condizione di vulnerabilità.
Il femminismo applicato all’urbanistica mira a non perpetuare i ruoli assegnati, perchè quei ruoli, così come le disuguaglianze che da essi derivano, sono stati costruiti ed è necessario realizzare azioni concrete per ottenere la parità di genere, azioni che interessino anche la pianificazione urbana. Le differenze di genere non devono implicare disuguaglianze nel diritto a vivere la città.
Come si possono tradurre quindi a livello spaziale i principi dell’urbanistica femminista?
Zaida Muxí, nell’articolo citato, spiega come l’applicazione dell’ottica di genere nella pianificazione urbana generalmente non si riconosca in interventi di grande impatto; anzi, spesso si tratta di interventi puntuali, che però risultano imprescindibili per favorire l’uso quotidiano della città e per migliorare la qualità di vita e l’autonomia delle persone.
Il percorso casa-scuola è sicuro, agevole, facilmente attraversabile? I tempi di percorrenza casa-lavoro-scuola sono brevi? I marciapiedi sono larghi abbastanza per il binomio genitore-bambinə, adultə-anzianə? Vi sono sufficienti punti di sosta per le persone anziane o con mobilità ridotta? Gli attraversamenti sono sicuri? Vi sono zone verdi ricreative diffuse?
Misurare e mappare percorsi, tempi, compiti, ragioni e modalità di mobilità delle persone è la prima azione per riconoscere e dare visibilità alle diverse necessità e includerle in proposte urbane che tendano all’uguaglianza di opportunità nell’accesso e nel diritto alla città.
È necessario risolvere i conflitti urbani con soluzioni ad hoc e non con l’applicazione di modelli universali.
Qual è quindi nello specifico il modello urbano oggetto di critica da parte dell’urbanistica femminista?
Zaida Muxí, in un’intervista rilasciata a Pikara Magazine per l’articolo El urbanismo puede ser una herramienta de redistribución y de cuidado (L’urbanistica può essere uno strumento di ridistribuzione e cura), sottolinea come la città ad oggi sia pensata per compartimenti stagni.
Il modello urbano della pianificazione della città industriale e moderna, di cui le nostre città sono eredità diretta, unisce solo due punti: il lavoro e la casa. Quindi, considerando che fino al secondo dopoguerra le donne non erano ancora entrate a tutti gli effetti nel mondo del lavoro, tutti i punti che esse avrebbero dovuto raggiungere non sono stati contemplati nel modello e non sono relazionati tra loro.
L’urbanistica femminista nasce quindi come manifestazione della rivendicazione della presenza pubblica delle donne, dopo che a cavallo degli anni Cinquanta sono state ritratte dentro casa come in un paradiso sognato, nonché destino ineluttabile.
In termini di formalizzazione spaziale Zaida Muxí nel suo libro Mujeres, casas y ciudades. Más allá del umbral (Donne, case e città. Al di là della soglia) spiega come questa separazione di ruoli si sia materializzata nei quartieri suburbani e nelle periferie, eredità della città-giardino e della città moderna: entrambi, infatti, avevano suddiviso i territori per classe e genere, soddisfacendo le aspettative capitalistiche e patriarcali.
Così le superstrade, gli enormi spazi aperti, le residenze unifamiliari periferiche e i distretti con un’unica attività funzionale venivano celebrati come unico modello possibile di vivibilità.
Esistono invece esempi di città che abbiano già applicato l’ottica di genere nella pianificazione urbana?
Contemporaneamente, nel secondo dopoguerra, alcune donne urbaniste si sono distinte per aver operato con un approccio differente, che trova origine nella considerazione della quotidianità delle azioni. Iniziative che ad oggi si definirebbero “bottom-up” in quanto partono dal basso, ovvero da proposte avanzate dalla cittadinanza.
Un approccio opposto a quello della città moderna? Complementare ad esso? Semplicemente alternativo? Forse solamente più umano e non celebrativo dell’automobile e della velocità.
Zaida Muxí nello stesso libro riporta che Jakoba Muldern, del Dipartimento di Pianificazione Urbana di Amsterdam, aveva ideato un processo amministrativo per facilitare la creazione di spazi pubblici dedicati al gioco infantile. Lɜ cittadinɜ avevano la possibilità di segnalarne la necessità e proporre nel quartiere possibili vuoti urbani dove collocarli, mentre il dipartimento avrebbe verificato la fattibilità del progetto.
Grazie a questo sistema, tra il 1948 e il 1978 sono stati realizzati 700 parchi infantili distribuiti per tutta la città di Amsterdam, progettati da Aldo Van Eyck, architetto nell’ufficio delle opere pubbliche della città. Piccoli interventi urbani puntuali, forme semplici che danno origine a spazi dinamici che stimolano la creatività dellɜ bambinɜ e rendono accoglienti e vitali spazi residuali della città, in questo modo riqualificati e resi sicuri.
Spostando lo sguardo sulla storia più recente, Zaida Muxí porta un esempio austriaco. A Vienna Eva Kail, a partire dal 1998 e contando sull’appoggio di altre collaboratrici esperte, è stata una figura determinante per l’introduzione degli aspetti specifici di genere nella pianificazione urbana della città, introducendo in vent’anni criteri centrati sugli interessi specifici femminili e infantili e basandosi sui loro schemi di mobilità.
La riqualificazione del distretto viennese Mariahilfer è stato selezionato come progetto pilota dell’applicazione dei criteri di genere nel 2002.
Tra gli interventi si prevedeva l’ampliamento dei marciapiedi, la messa in sicurezza degli incroci stradali, l’aumento del tempo per gli attraversamenti pedonali, l’incremento dell’illuminazione pubblica e il posizionamento di panchine lungo tutti i percorsi.
La connessione tra questi interventi e l’ottica di genere?
Una città progettata affinché tutte le persone, indipendentemente dal genere, dall’età o dalla capacità motoria, possano percorrerla e viverla a piedi il più possibile in autonomia e sicurezza.
Molte altre sono state e sono ad oggi le donne che hanno contribuito nel tempo a studiare, analizzare e intervenire sulla città affinché l’ottica di genere diventi un normale criterio di pianificazione e non un eccezionale esempio da citare. Zaida Muxí, tra le altre, nel libro sopracitato riporta i nomi di Lotte Stam-Beese, Odilia Suárez, Jane Jacobs e delle donne componenti delle cooperative Matrix e Col·lectiu Punt 6.
Diffondiamo quindi il loro operato, interiorizziamo i principi e richiediamo interventi. Questo è attivismo urbano non soltanto femminile, perché da una città omogenea e inclusiva tuttɜ traggono beneficio, anche tu.
Immagine di copertina:
wall:in media agency su opera di Ambra Castagnetti, HONEY.
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[…] Un altro aspetto che mi ha colpito non poco nel libro, riguarda quanto l’urbanistica e la progettazione dei servizi utili alla comunità (mobilità, pianificazione delle aree commerciali, localizzazione degli uffici rispetto agli alimentari), in alcune situazioni, abbiano risposto principalmente alle esigenze di una sola metà della popolazione (abbiamo approfondito l’argomento qualche giorno fa nell’articolo Urbanistica femminista. Differenza, non disuguaglianza nel vivere la città). […]
[…] La realizzazione in un tunnel è particolarmente simbolica in questo senso: spesso molestie e aggressioni avvengono proprio in sottopassaggi e gallerie, luoghi bui e poco frequentati, luoghi di solo passaggio, che le donne non si sentono sicure ad attraversare (leggi il nostro articolo Urbanistica femminista. Differenza, non disuguaglianza nel vivere la città). […]